Tuttolibri, 30 ottobre 2021
Intervista a Sveva Casati Modignani
La villetta «della Sveva» è come lei, accogliente e diretta. Ti dà il benvenuto con i fiori rossi alle finestre e ti avverte con una placchetta all’ingresso «Chien fort méchant et peu nourri». Poi viene la Sveva in persona ad aprire e la prima parola è «Vaccinata?». «Sì due volte», «E io tre». Bene, patti chiari intervista lunga anche se lei ancora una volta spiazza con la sua franchezza: «Domandare è lecito, rispondere è cortesia».
Poi però risponde a tutto, Sveva Casati Modignani, del resto ogni curiosità è giustificata su questa signora di 83 anni che 40 anni fa ha scritto il suo primo libro ed è finito subito in cima alla classifica, e in queste settimane ha fatto lo stesso con il nuovo: in breve una carriera di 36 titoli (per ora), dodici milioni di copie vendute e lettrici che ringiovaniscono invece che invecchiare. Merito, pare, anche dell’aggiornamento costante che riceve dalle due nipoti cui non a caso ha dedicato questo L’amore fa miracoli.
Di lei si sa già molto perché nasconde poco, a cominciare dal nom del plume che sancì il matrimonio letterario - oltre che sentimentale - di Bice Cairati con il marito Nullo Cantaroni scomparso nel 2004. Anche di tutto questo però riuscirà a dare una versione meno leggendaria e più vera. Perché quello che colpisce di lei è soprattutto la schiettezza, la sprezzatura naturale con cui, per esempio, da regina del bestseller che racconta tanti amori altoborghesi abbia deciso di vivere qui dove è nata, nella casa della nonna, in un dedalo di strade e case basse in stile un po’ eclettico - anzi anarchico - a un passo da via Padova e dalla sua sequenza infinita di sale giochi, kebab e outlet della capsula caffè.
Rosa sì, ma anche rock, la vedi quieta sul divano pastello con la maglia girocollo ciclamino e pensi che quand’era giornalista ha sottratto il vassoio a una cameriera d’hotel ed è entrata nella stanza dei Beatles; che in pieno Me Too ha difeso Asia Argento e insomma che non scantona mai dal dire quel che pensa.
Nella top ten 40 anni fa e oggi. Come si può andar bene nel 1981 e nel 2021?
«Non lo so, i ragazzi dicono che sono "strong" o "eh, ma la Sveva è troppo avanti". Forse è perché mi piace stare coi giovani. Quanto a Anna dagli occhi verdi, è ormai un testo di storia. È cambiato tutto. La grande rivoluzione è stata la tecnologia. Allora i giornalisti scrivevano con la macchina da scrivere. C’erano i primi computer ma li usavano in pochi, come Luciano De Crescenzo perché era ingegnere all’Ibm, ma poi era disperato perché scriveva e perdeva le cose».
I suoi firmacopie pare durino ore. Ed è vero che prima le ragazze precisavano "questo è per nonna" o "per mamma" e ora "è per me"?
«Mi dicono "ho imparato a conoscerla da mia mamma che l’ha conosciuta dalla mia nonna". Una volta si sono presentate in tre: nonna mamma e figlia. La ragazza mi ha detto: "Lei nel 1981 dedicò un libro alla nonna...". C’è un senso di continuità e io sono felice di fargli le dediche e scrivere una parola gentile».
Spesso fa dire alle sue protagoniste cose su cui ha una sua opinione, per esempio la discussione su Carlotta che vuole essere chiamata direttore - non direttrice- dello studio.
«Questo femminismo spinto agli eccessi del ridicolo per me non è femminismo. Presida o presidessa per un preside donna? Forzature brutte, anzi orrende».
Anche a Trump non le manda a dire: Andreina che ha un amore negli Usa dice che gli americani sono "selvaggi che hanno scelto Trump".
«È Andreina che lo pensa ma non è lontana dal vero, a vedere le immagini dell’assalto al Parlamento che cos’erano se non selvaggi?».
In "Anna dagli occhi verdi" parlava della Spagnola, qui del Covid e si toglie qualche sassolino dalla scarpa: punte di sarcasmo sullo spettacolo dato dalla Regione Lombardia e sui "coristi idioti delle sere del lockdown". Non ha paura di farsi dei nemici?
«Se dire la verità significa farsi dei nemici vuol dire che ho ragione io e viviamo in un mondo assurdo».
Nei suoi libri c’è sempre una mappa immobiliare aggiornata di Milano. Non ci sono City Life e grattacieli. Non le piace la nuova città che sale?
«No e non ne ho mai fatto un mistero, l’ho detto in pubblico presente il sindaco. Ho detto che sono amareggiata e delusa da questi nuovi quartieri che secondo me non hanno un’anima e non rispecchiano l’essenza di Milano. Il Bosco Verticale poi con i suoi costi spaventosi mi sembra un assurdo. Mentre privano il centro storico della sua personalità e vita. Non c’è una visione affettuosa nei confronti degli abitanti di una città».
Lei abita qui da sempre, mai avuto la tentazione di traslocare? E se sì dove?
«Mai. Anche se ora qui è il Bronx. Quando mi son sposata siamo andati in un grande condominio, ma c’era sempre un problema con quello di sopra e quello di sotto e il custode e l’ascensore che si bloccava e il traffico. Appena ho potuto ho detto io torno alle mie origini».
Lei parla di sorellanza ma cita soprattutto giallisti maschi: Robecchi, Vitali, Malvaldi.
«Li conosco tutti ed è vero mi piacciono molto, ma anche della Gazzola ho parlato bene e un giorno ci incontreremo. La Stefania Bertola la adoro, sto leggendo la storia della casalinga, dovrebbe scrivere di più. Le altre scrittrici stanno a Roma e ho notato che sono molto importanti e il loro peso culturale lo fanno notare e io che mi considero poca cosa non oso...».
In "Anna dagli occhi verdi" parla del vizio comune di citare autori che non si sono letti e tacere quelli che si leggono. Là citavano D’Annunzio e leggevano "Mimi Bluette". Oggi citano Houellebecq e leggono...?
«Magari proprio la Gazzola che è di lettura più piacevole. Ma le letture che sembrano più facili non sono le più stupide. E quando uno è veramente bravo non ha bisogno di ricorrere agli artifici della frase complessa fino a essere incomprensibile. Un capolavoro della letteratura italiana è Pinocchio e tutti lo capiscono; e il Vangelo? Quanta semplicità c’è dietro la complessità del pensiero cristiano. Ora non per osannarmi ma la Feltrinelli sta facendo una antologia pescando da Novel of the World, racconti di scrittrici per Expo 2015, e il mio è l’unico italiano che hanno scelto. Eran solo due pagine e mezza, iniziavano così: "Questa storia accadde nella primavera del 1919 e ha due protagoniste, una bambina e la fame, la bambina era la mia mamma, la fame era quella di un operaio disoccupato».
In 40 anni di recensioni che cosa l’ha offesa e lusingata?
«Offeso niente, sa che di critiche negative non ne ho ricevuto mai? E per carattere non colgo le lusinghe e quando le colgo le dimentico».
Vero che la sua collaboratrice domestica è la sua prima lettrice? Le fa anche critiche?
«Mica legge solo i libri miei, ma le sue recensioni sono tranchant: "questo mi è piaciuto", "questo non vale niente"».
Una parte importante e seria del libro è sulla necessità di affrontare i conflitti materni. Pensa che le insicurezze di tante donne vengano da lì?
«Queste mamme, specie quelle della mia generazione, di guasti ne han fatti tanti, anche se in fondo erano a loro volta innocenti, il modo di ragionare era quello lì».
Nel "Diavolo e la Rossumata" parla della sua mamma che sembra un po’ anaffettiva, ma lei non pare insicura.
«Mia mamma era davvero anaffettiva con me e riteneva un suo dovere esserlo, pensava che i figli si baciano solo quando dormono. Perché non bisogna mostrarsi deboli. Questo mi ha creato insicurezze pazzesche che tuttora mi perseguitano. Forse non si vede perché son brava a nasconderlo ma mia madre ha fatto grossi guai con me».
La scrittura: per anni lei ha scritto con suo marito, che vuol dire scrivere insieme?
«Vuol dire che io raccontavo e scrivevo, lui correggeva e suggeriva cose. A volte giuste. La leggenda del romanzo a quattro mani è andata avanti finché lui è morto ma è stato malato 20 anni. Però la convinzione era che mio marito scrivesse e io promuovessi, e quando lui è morto tutti pensavano "Vabbe’ Sveva Casati Modignani è finita". Invece scriveva da vent’anni e ha continuato a scrivere».
Nei suoi romanzi ci sono anche cose un po’ inverosimili tipo l’ex fidanzato chef che fa recapitare ogni giorno pranzo e cena. In tv Geppi Cucciari le disse che quando parla di uomini così non fa letteratura romantica ma fantascienza.
«Ah mi ha detto così? È possibile che io faccia fantascienza, ma un uomo innamorato queste cose le fa».
Lei ha detto che si è pentita di non aver conosciuto meglio Enzo Jannacci, la Boccassini ha scritto di essere stata innamorata di Falcone, secondo lei ha fatto bene a farlo in un libro che parlava soprattutto del suo lavoro?
«Il libro non l’ho letto ma le critiche le trovo così scadenti..., credo si parli di un innamoramento anche di tipo intellettuale, professionisti che si ritrovano a pensarla alla stessa maniera su tante cose, non voglio tirarmela citando Goethe ma sono proprio affinità elettive… Io non mi sono innamorata di Jannacci, mi è dispiaciuto di aver perso l’occasione di fare un "balètto" come voleva fare lui».
Lei dice che crede in un Dio madre, contenta che Francesco abbia dato il via alla beatificazione di Papa Luciani?
«Che papa Luciani sia stato un religioso illuminato sì, ne sono convinta, nella sua semplicità aveva intuito che l’amore è uno spirito materno».
Ci sono vite di donne vere che sarebbero da romanzo?
«Marta Marzotto l’ho raccontata un po’ in Suite 405, l’ho incontrata: simpaticissima, bella, intelligente e spiritosa, aveva una marcia in più e non a caso è stata amata follemente».
E "Il falco" è Leonardo Del Vecchio? Si è arrabbiato?
«So che ne è stato felice. So anche che molti suoi dipendenti lo chiamano "il falco" e si sono divertiti come bisce a leggere il romanzo. Lui però non l’ho mai conosciuto e le informazioni le ho prese tutte dai giornali, il resto me lo sono inventato».
Lei si documenta sempre sui mondi in cui ambienta i suoi romanzi?
«Io ho fatto la giornalista e l’intervista era il mio mestiere. Per scrivere un libro devo prima leggere e poi ascoltare i diretti interessati».
Tipo Landini per il libro sul mondo operaio… chissà come c’è rimasto quando l’ha chiamato.
«Felicissimo, era in vacanza con la moglie a Gabicce mare come tutti i metalmeccanici in agosto, sono andata da loro qualche giorno, un uomo delizioso, una bella testa, e cucinava anche. Guardi, è lì nella foto sulla mensola, con la camicia e la maglietta della salute sotto, la porta fin da bambino».