La Stampa, 30 ottobre 2021
2100, cronache dal mondo sommerso
Sono nato il 30 ottobre del 2021, ora che entriamo nel nuovo secolo vado per i 79 anni. Ho passato gli ultimi quaggiù; del mondo di sopra poco so, ma molto ricordo. Quando sono venuto alla luce, particolarmente forte quel giorno a Roma, mio padre arrivò in ritardo. La città era blindata, molte strade chiuse, traffico impazzito. I cellulari non prendevano, non poté neppure seguire il parto a distanza. Tutto per proteggere i Venti Grandi che dovevano salvare il nostro futuro, il mio. Ecco fatto.
Non voglio dare la colpa a loro o alla generazione dei miei genitori, ma io e quelli come me siamo arrivati dopo, come certi calciatori che entrano a un quarto d’ora dalla fine sotto di tre gol. E li sento ancora i discorsi a casa, i primi che ho ascoltato e capito: «Ma tra i diritti e le bollette, a noi di cosa frega veramente?». Io ci stavo a pensare, poi avrei capito che era una domanda chiamata retorica. L’ambiente per cui mia madre era più preoccupata era il soggiorno. Le piante, quelle sul davanzale. A scuola c’era una maestra molto coinvolta, ci fece una lezione sullo scioglimento dei ghiacciai. Alla fine alzò la mano Bonetti e chiese: «Signora, ma esattamente a che cosa serve un ghiacciaio?». Suonò la campanella e non lo sapemmo mai. Anche perché di ghiacciai poi, in Italia, non ce ne sono più stati. L’ultimo, quello della Marmolada, è sparito quando io stavo preparando la tesi di laurea e avevo altro a cui pensare. E comunque nei siti era una notizia di quelle per cui devi scrollare, c’erano foto di com’era-com’è, ma faceva lo stesso effetto di quegli attori belli diventati grassi e calvi. Si faceva riferimento anche alla Groenlandia, ma lì neanche sapevano bene chi comandava: la famiglia reale danese, gli eschimesi o il clima. Crescere con Internet ci ha abituati a utilizzare e capire i link, ma forse mancava la colorazione azzurra per andare dall’assenza di ghiacci nell’Artico ai due gradi di media in più nelle nostre città, ai sessanta in cui due miliardi di persone vivevano per un’intera stagione, alle inondazioni nel Sud Est Asiatico. Che poteva mai significare se a Calcutta c’era acqua per strada o si innalzava di 60 centimetri il livello della superficie del Golfo del Messico? Poi è sparita la Florida. Così, un po’ alla volta. Adesso dovrebbe essere totalmente sommersa, immagino. Comunque gli americani hanno cominciato a lasciare le coste, prima a Est, poi anche a Ovest. Anche New York? Anche New York. Tutti quei grattacieli, spenti. Ci avevano promesso una vita verticale e lo è stata, ma nell’interno. Chi se le aspettava, le torri nell’Ohio? Eppure ci sono e ci vivono soprattutto emigranti della West Coast. È stato il nuovo “Furore”, cacciati dal caldo verso un gelo che non c’è più. Ma la vera verticalità è arrivata dopo e l’avevano prevista in pochi.
Con le previsioni hanno sbagliato in tanti. Prima avevano detto che nel 2100, cioè oggi, saremmo stati 10 miliardi. Poi hanno corretto: 8 miliardi. Minore fertilità, dicevano, 183 Paesi su 195 non in grado di sostituire i morti con i nati. Eccola la vera grande sostituzione, per demografia, non per religione, anche se a fare più figli sono sempre stati i più religiosi. Io non ho fatto figli. Ho avuto una moglie, ma solo per un breve periodo. I miei genitori sono ancora vivi, credo, da qualche parte qua sotto. Superare i cent’anni è diventato normale. Lo scoglio è superare i 30, poi comincia la discesa. Per questo pare che oggi gli umani sopra e sotto la Terra siano esattamente quanti erano alla mia nascita. Il cerchio chiuso. Dei miei amici solo un paio si sono riprodotti, a suo tempo. Le nascite crollarono con il diffondersi delle malattie causate dall’inquinamento. Tutti si controllavano i polmoni, nessuno immaginò che il bersaglio fosse la pelle. Quando avevo quarant’anni si andava tutti in giro con le mascherine sul viso, proprio come nelle fotografie di quando sono nato, nel 2021. Non era più per la pandemia, ma per lo smog. Di pandemie, a proposito, ce ne furono altre due, una più leggera, una più grave. Poi è venuta questa idea dello sviluppo verticale, ma a vite, piantato nella Terra. Hanno creato queste colonie sotterranee, cominciando a costruirle nel 2060, strutture in profondità, collegate tra loro, con necessità ridotte. Vite incapsulate, fruizioni minime e determinate, ma con un effetto immediato: spopoli sopra e lo rendi un mondo migliore. Si scende sotto a 65 anni, quando si smette di essere produttivi. Io sono qui da 14, dunque. Ora non so bene che cosa succeda sopra, abbiamo collegamenti non sempre affidabili e ci sono complottisti secondo cui le notizie che riceviamo, i video che vediamo (molto belli, sembrano pubblicità) siano tutti fasulli, confezionati, propaganda. Ci dicono che la situazione ora è completamente cambiata, o meglio, è tornata come era cent’anni fa. Gli Stati Uniti sono di nuovo la prima potenza mondiale, il regno della Cina è durato poco. L’aria è respirabile ovunque tranne in Nigeria (che si era sovrappopolata in modo incontrollato). Si stanno riformando le calotte artiche. Si scia ad alte quote e non si fa più il bagno in mare d’inverno, non senza muta. Sta risorgendo New York, e piazzano parchi a tema nel deserto della Florida. La gente è, o appare, felice, gioca, si riproduce, ma con cautela, comunque sa che c’è un limite. Certo, a 54 anni incontreranno il loro limite, ma se tutto gli andrà bene ne vivranno altrettanti qui, sotto la superficie. Il cerchio chiuso. Non era così anche prima, anche nel 2021? Una parte del mondo che sta sopra e se la spassa e una che sta sotto e vive con poco? Non è sempre stato così?