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 2021  ottobre 30 Sabato calendario

Hollande, la politica da «uomo libero»

PARIGI «Essere utile, per un ex presidente, è essere libero», scrive François Hollande nel saggio appena pubblicato Affronter (Stock). Il capo di Stato francese dal 2012 al 2017 accoglie il Corriere della Sera nel suo studio, davanti al giardino delle Tuileries, per parlare con estrema libertà di Francia, Italia e Europa, di G20, America e Asia, e di una campagna presidenziale che vede il trionfo – per ora mediatico – di Eric Zemmour. 
Signor presidente, lei dedica il libro a suo padre, da poco scomparso, che «credeva di averle viste tutte». Si riferisce alla pandemia, o più in generale a un mondo imprevedibile? 
«Mio padre ha vissuto la II guerra mondiale, la decolonizzazione, la guerra fredda, il Sessantotto, le crisi economiche a ripetizione. Alla fine, se ne è andato durante una pandemia che non avrebbe mai immaginato, che l’ha portato a ritrovarsi solo in una casa di riposo, isolato dalla propria famiglia. Non possiamo prevedere tutto, ma dobbiamo affrontare il mondo senza limitarci a osservarlo». 
A proposito del tradimento in politica, lei cita De Gaulle, che fu accusato di tradire la Francia non accettando la capitolazione ai nazisti, e Pétain, che il suo Paese lo tradì davvero. E poi Pompidou, Chirac, Balladur, Sarkozy. E Emmanuel Macron, l’ha tradita? 
«C’è un momento in cui una generazione si sbarazza della precedente per accedere al potere, e l’ambizione è legittima. Più che tradirmi, Macron ha mancato di franchezza e di sincerità. In ogni caso i tradimenti che contano non sono quelli fatti alle persone, ma alle speranze suscitate». 
Macron ha tradito quelle speranze? Lei lo definisce «un viaggiatore senza bussola». La fine delle ideologie si rivela un boomerang? 
«Non esiste democrazia senza un grande partito con idee forti. Senza ideologie che strutturano le opinioni, i populisti trovano spazio». 
Che cosa pensa di Marine Le Pen e del suo terzo tentativo di conquistare l’Eliseo? 
«Ha cercato di farsi accettare da un settore più largo dei francesi, ma così ha lasciato campo ad altri populisti che la accusano di essere troppo timida. E qui arriviamo all’impresa di Eric Zemmour». 
Perché «impresa»? 
«Perché è tale in tutti i sensi del termine. Zemmour è un’impresa con risultati finanziari sostenuta da un gruppo mediatico (quello di Vincent Bolloré, ndr). Zemmour va molto più lontano di Marine Le Pen sull’Islam e la parità uomo-donna. Quel che trovo molto grave, è che nei confronti di Zemmour non viene tentato alcuno sbarramento democratico, quando invece una diga era stata eretta contro la famiglia La Pen». 
Perché, secondo lei? 
«Zemmour è presente da tempo nello spazio pubblico, da editorialista del Figaro e di alcune trasmissioni. Fa parte del mondo mediatico-politico, è passato da un universo all’altro. Beppe Grillo aveva cominciato come comico poi è entrato in politica. A quel punto è difficile negare spazio perché se lo sono già preso».  
Zemmour è un Trump alla francese? 
«Trump è passato dai reality in tv alla Casa Bianca. Ma era il candidato del Partito repubblicano, mentre Zemmour è il candidato di un gruppo audiovisivo. Abbiamo rimproverato a Silvio Berlusconi di mettere le sue tv al servizio della carriera politica, ma adesso c’è un gruppo privato, quello di Bolloré, che ha scelto in Zemmour il portavoce dei suoi interessi». 
Quando ha conosciuto Mario Draghi? 
«Quando io ero all’Eliseo e lui alla Bce. C’è un momento chiave nella lotta per la salvezza dell’euro: nel giugno 2012 il premier Mario Monti e io facciamo capire che non si possono imporre altre dosi di austerità ai popoli, e il mese dopo Draghi pronuncia quelle poche parole in inglese (whatever it takes, ndr)». 
Giugno 2012 è stato uno dei momenti in cui più si è parlato dell’Europa del Sud e di un asse franco-italiano contrapposto alla coppia Parigi-Berlino che è talvolta fonte di gelosie in Italia. Che cosa pensa degli equilibri europei post-Merkel? 
«Sì, mi è capitato di comprendere questa irritazione. Ma se vogliamo che l’Europa avanzi, Francia e Germania devono mettersi d’accordo. I grandi Paesi fondatori più qualche altro come Spagna e Portogallo ora potrebbero integrarsi di più senza aspettare i 27. Certo bisognerebbe vedere se sono pronti, per esempio, alla difesa comune. Non è facile in Germania, ma neanche in Italia mi pare». 
Biden e Macron si sono visti a Roma in occasione del G20. L’altro grande momento di crisi tra Washington e Parigi, prima della crisi dei sottomarini, c’è era stato durante la sua presidenza, quando Obama all’ultimo momento rinunciò a intervenire in Siria. 
«Avevamo fissato una linea rossa, l’uso delle armi chimiche da parte di Assad. Quella linea rossa venne oltrepassata, ma Obama preferì non fare nulla. Gli Usa non vogliono più intervenire lontano dalle loro frontiere, il loro sguardo oggi è rivolto verso il Pacifico, come dimostra la vicenda dei sottomarini. L’Europa ne tragga le conseguenze, ridefinendo anche il ruolo della Nato». 
Per chi voterà alle elezioni della primavera 2022? 
«Sono socialista, voto sempre per i socialisti, quindi per Anne Hidalgo. Il progetto per la Francia però non può essere quello pensato per Parigi. Il punto non è più biciclette e meno auto, ma come diminuire la quota di energie fossili, e come redistribuire le risorse. È la socialdemocrazia». 
Lei non pensa di tornare alla politica attiva? 
«Non l’ho mai lasciata, intervenendo nel dibattito pubblico senza necessariamente aggiungere la mia candidatura a quella di tutti gli altri».