5 ottobre 2021
Tags : Emilio Isgrò
Biografia di Emilio Isgrò
Emilio Isgrò, nato a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) 6 ottobre 1937 (84 anni). Pittore. Anche poeta, scrittore, giornalista, drammaturgo. Noto per le Cancellazioni. «La mia cancellazione è una forma di omeopatia, una forma di difesa contro tutte le censure».
Vita «“Fino alla metà degli anni Cinquanta restai in Sicilia. Lì si è svolta parte della mia formazione. L’ambiente culturale era tutt’altro che depresso. Le prime letture me le consigliò Rosanna Pirandello. Nella provincia del messinese trovavano ancora credito i futuristi. C’erano ancora echi di Balla e Depero ospiti di un ricco possidente. Al liceo, più grande di un paio d’anni, vedevo Vincenzo Consolo. Era nato a Sant’Agata di Militello, mentre a Barcellona Pozzo di Gotto c’era il poeta Bartolo Cattafi. Più grande di una decina di anni, si aggirava fino a giugno inoltrato con un montgomery e gli scarponi. Allora non sapevo che li avrei rivisti a Milano”. Quando decise di trasferirsi? “Giunsi a Milano nel 1956. Una delle prime persone che incontrai fu il poeta Quasimodo. ‘Hai gli occhi spiritati dei barcellonesi’, disse”. Va a Milano con quali desideri? “Il desiderio del distacco innanzitutto. Dire allora Milano era come dire America o Polinesia: un luogo della mente e della fantasia. Avevo vent’anni e la velleità del poeta. Scrissi una raccolta di versi che il collezionista e editore Arturo Schwarz mi pubblicò. Le poesie piacquero a Pasolini che le recensì favorevolmente”. Come si chiama il libro? “Fiere del Sud, in pratica raccontavo in versi la storia di un ragazzo del meridione. Il tono non era solenne né amaro. Si distingueva dal meridionalismo imperante in quegli anni per una vena dissacrante. Conobbi Franco Fortini, Luciano Anceschi, Raffaele Crovi che cominciò a pubblicare i miei libri per Mondadori. Ero un ragazzo destinato a una carriera letteraria”. Cosa le fece cambiare idea?
“In quel momento nulla sembrava più interessante di uno scambio di parole con Montale o Pasolini. Ricordo però che cominciai a frequentare la Galleria Apollinaire di Guido Le Noci. E lì, per la prima volta, provai un’emozione fortissima davanti ai monocromi blu di Yves Klein. Pierre Restany aveva curato la mostra. Ricordo che alla presentazione si aggirava un uomo elegante e discreto: Lucio Fontana. Aveva un vestito di lamé” Cosa la colpì di Klein?
“Lo spazio, la sua organizzazione concettuale. Compresi immediatamente che lo spazio non era solo una questione geometrica ma anche mentale. A quel tempo non c’era nessuna intenzione. Frequentavo alcuni artisti. Divenni amico di Piero Manzoni con il quale, insieme ad altri, ci si vedeva tutti i giovedì sera a casa di Violetta Besesti” […] Come si manteneva? “Soldi, pochissimi, arrivavano in parte dalla famiglia e in parte da lavoretti. Il poeta Elio Pagliarani mi trovò una collaborazione all’Avanti. Fui notato da Giuseppe Longo, direttore del Gazzettino di Venezia che mi offrì il posto di redattore alle pagine culturali. Fu così che nel 1960, insieme a Brigitte (Kopp, la prima moglie, ndr), ci trasferimmo a Venezia” […] La sua arte si lega al gesto della cancellatura. Come è nata questa idea? “Germinò davanti a un foglio pieno di cancellature. Era un articolo tormentato di Giovanni Comisso per il Gazzettino. Pensai che le nostre vite sono piene di ripensamenti, di rimozioni, di ricordi e di gesti cancellati. E vidi in quella traccia come la testimonianza più profonda dell’essenza umana. Nel frattempo sentivo il richiamo di Milano. La crisi con Brigitte accelerò il distacco da Venezia. Tornai a Milano nel 1967. Si avvertiva un vento nuovo. Lasciai il lavoro di giornalista e divenni artista. Avevo molte conoscenze. Ero amico di Volponi e di Ottieri. Schwarz appoggiò l’idea della “cancellatura” e così realizzai la mia prima e importante istallazione: Il Cristo cancellatore” Una specie di Cristo giustiziere. “Un Cristo per niente povero che invece di assumersi i peccati del mondo, li cancellava. Pierre Restany commentò con arguzia che avevo assunto l’identità di Gesù, come un pazzo che si crede Napoleone. Avevo già lavorato sulle cancellature: su libri e giornali. C’era il manifesto della Wolkswagen del 1964”» (ad Antonio Gnoli) • Il Cristo Cancellatore era del 1969. L’anno successivo cancello il primo volume dell’Enciclopedia Treccani «L’idea era di sovvertire un’immagine accademica e codificata del sapere» • Ha partecipato alla Biennale di Venezia nel 1972, 1978, 1986, 1993. Ha vinto il primo premio alla Biennale di San Paolo nel 1977 • «Isgrò non nasconde la sua passione civile: l’ha inseguita da sempre, con le performance, con il suo lavoro di poeta, di uomo di teatro che ha inventato gli spettacoli di Gibellina, di artista a tutto tondo che crede nella necessità di misurarsi sulle questioni del vivere contemporaneo. Ma sempre con un linguaggio diretto, senza rinunciare per questo alla profondità e all’ eleganza: “Tanto più ho sperimentato, tanto più ho cercato di avvicinare i giovani e un pubblico più ampio possibile. Non mi compiaccio di essere capito da pochi, come forse si compiacciono altri, lo vivrei come una sconfitta […] Il mio modello è Grosz: lui, che aveva dipinto i pescecani della finanza tedesca col collo taurino, esule a New York, amava passeggiare con la lobbia per Wall Street, elegantissimo, sembrava un vero banchiere. Nessuno avrebbe immaginato che era Grosz. Mentre oggi l’ orizzonte di attesa è la retorica della provocazione, in tutti i campi. E bisogna disattendere queste aspettative di provocazione così care anche a molti artisti» (a Colin)» (Gianluigi Colin) • Nel 2011 ha cancellato la Costituzione italiana. Nel stesso anno ha realizzato per l’Università Bocconi l’opera Cancellazione del debito pubblico, un enorme quotidiano economico, di quattro metri per tre, da cui emergono tracce di titoli, istogrammi, grafici e soprattutto numeri. «Quando, Severino Salvemini, curatore della galleria della Bocconi, mi ha invitato a realizzare un’opera per l’università non sapevo esattamente che fare. All’origine si era pensato di cancellare un classico dell’economia neoliberista come Milton Friedman. Ma in questo caso, la cancellatura avrebbe assunto una forte connotazione politica. Poi, si era pensato al Capitale di Marx, nell’originale tedesco: anche qui, naturalmente, la connotazione politica non sarebbe mancata. Allora, per disperazione appunto, gettai lì una frase al mio amico e sponsor Andrea Manzitti: “Quasi quasi cancello il debito pubblico”. Non l’avessi mai detto, perché Andrea, più felice che sconcertato, ne parlò immediatamente a sua moglie, Cristina Jucker, e a Severino Salvemini. Fu una specie di rivelazione. […] Perché così tanti zeri? Perché voglio esasperare l’idea di un debito pubblico che cresce ogni giorno e con esso il malessere del nostro Paese. Sul piano concettuale, non è azzardato accostare la cancellatura allo zero: la cancellatura funziona infatti come lo zero in matematica, chiamato a formare, da solo, tutti i numeri, tutti i valori. Uno zero semantico, insomma. Ma non dimentichiamoci che il numero 2, seguito da dodici zeri, è più o meno l’ ammontare del nostro debito pubblico» (a Colin) • Nel 2017 la Triennale di Milano ha ospitato la mostra I multipli secondo Isgrò (a cura di Marco Bazzini), semi d’arancia in ceramica. E nello stesso anno il gigantesco Seme dell’Altissimo di sette metri, realizzato per l’Expo di Milano del 2015, è stato collocato nei giardini della Triennale • Nel 2019 è stato protagonista di una mostra antologica alla Fondazione Cini di Venezia curata da Germano Celant. «Alcuni lavori selezionati sono indispensabili per tracciare un percorso storico, ma in particolare ho voluto puntare su opere meno conosciute o mai esposte che fanno emergere meglio la mia pittoricità. In parte mi considero un pittore, il che in passato mi ha creato qualche problema con gli artisti mentalisti, per non usare il termine concettuale. Ad esempio c’è la Storia rossa del 1969 in cui si evidenziava già allora il tema del rapporto tra parola e immagine» (a Luca Beatrice) • Nel 2020 ha cancellato con colore rosso carminio I provvedimenti per la difesa della razza italiana del 1938. L’opera, intitolata Colui che Sono, è entrata a far parte della collezione del Quirinale • Tra i libri L’avventurosa vita di Emilio Isgrò (Il Formichiere 1975, candidato al Premio Strega), Marta de Rogatiis Johnson (Feltrinelli 1977), Polifemo (Mondadori 1989). Tra i testi teatrali l’Orestea di Gibellina da Eschilo (Agamènnuni, 1983; I Cuèfuri, 1984; Villa Eumènidi, 1985). Nello 2017 ha pubblicato per Sellerio l’autobiografia Autocurriculum •
Amori Dopo un primo matrimonio con la tedesca Brigitte Kopp, nel 1984 ha sposato la giornalista Scilla Velati, «una friulana con gli occhi a mandorla: mongola di faccia e siciliana di cuore, non mel’aspettavo». Vivono a Milano, «in una palazzina in una traversa tranquilla di viale Monza. Nel cortile silenzioso una pianta di chinotto è il discreto omaggio fatto alle origini siciliane dell’artista dalla moglie Scilla, sua amorosa e pratica alter ego, completamente votata alla causa (“ha fatto l’inenarrabile per me” riconosce lui). È uno spazio di circa 1.500 metri quadrati su due livelli: al piano terra un piccolo, intimo studio riparato da una libreria, un salotto con un tavolino basso, volumi d’arte e videocassette dei film di Walt Disney negli scaffali. Una porta conduce all’archivio (diretto da Scilla), pieno di faldoni e di opere, collegato con il grande laboratorio che un tempo era la sartoria di una signora che qui faceva anche le sfilate: “Me l’hanno venduta le figlie, ex modelle, delle spilungone molto belle ma già anziane” ricorda Isgrò che ha anche un laboratorio più grande a Bergamo» (Cristina Taglietti).
Politica «Polemico sempre, militante spesso, organico a nulla. Noi siciliani vogliamo sempre tenere insieme gli opposti: da noi c’è stato il futurismo, ma con una coloritura bucolica… Mi piace il motto di Trockij per cui “la rivoluzione salta sulle spalle del passato”. Perché altrimenti avrei scritto in dialetto l’Orestea di Gibellina? Quelli del Gruppo 63 mi hanno guardato con simpatia, dell’avanguardia mi piace lo spirito d’avventura ma non l’idea protonovecentesca per cui dai principi non si deroga. Io invece derogo solo da quelli! Ero amico in gioventù di un poeta triestino, Guido Costantini: per metà ebreo, partigiano, iscritto al Pci… Io non sono mai stato iscritto a un partito, ma ho sempre votato da quella parte. Quando avevo vent’anni lui venne cacciato dal Partito e mi disse: “Non bisogna mai partire dal presupposto che l’avversario abbia torto; se ha ragione devi avere il coraggio di riconoscerglielo”» (ad Andrea Cortellessa).
Religione Ateo. «L’artista non è oggetto di dibattito. E non ha bisogno di credere in Dio se crede nel proprio lavoro» (a Gnoli).