6 ottobre 2021
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Biografia di Desmond Tutu
Desmond Tutu, nato a Klerksdorp (Sudafrica) il 7 ottobre 1931 (90 anni). Arcivescovo emerito anglicano del Sudafrica. Premio Nobel per la Pace 1984 per «il suo ruolo come figura unificante nella campagna per risolvere il problema dell’apartheid in Sudafrica».
Titoli di testa «Siate buoni con i bianchi, hanno bisogno di riscoprire la loro umanità» (alla cerimonia del Nobel).
Vita Suo padre Xhosa era un preside delle elementari e sua madre Tswana lavorava come tuttofare in una scuola per non vedenti. Erano poveri e discriminati: «Lo sapevamo sì, ma eravamo felici lo stesso. Ci bastavano due fili per costruirci dei giochi da soli e divertirci» [Smash] • Capitava che il padre, in preda ai fumi dell’alcol, picchiasse sua madre: «Un’esperienza che non augurerei a nessuno, e meno che mai a un bambino. Quando mi soffermo su questi ricordi, mi trovo a desiderare di fare del male a mio padre come lui lo faceva a mia madre, e come io non ero in grado di fare da bambino». Alla fine gli concesse il suo perdono: «Se scambiassi la mia vita con quella di mio padre, se avessi provato le tensioni e le pressioni che provò lui, se avessi dovuto sopportare i fardelli che sopportò lui, mi sarei comportato come si è comportato lui? Non lo so. La mia speranza è che sarei stato diverso, ma non lo so» [Gariwo] • Era un bambino brillante e curioso con una passione per la lettura. Amava particolarmente leggere anche i fumetti Esopo’s Favole e le opere teatrali di William Shakespeare • Cresciuto tra i cartelli «Ingresso vietato ai nativi e ai cani», rimane esterrefatto il giorno in cui passeggiando con sua madre Trevor Huddleston, un prete bianco di nome Trevor Huddleston, inclina il cappello verso lei per renderle omaggio. È la prima volta che un uomo bianco avere rispetto per una donna di colore. Capisce che la religione potrebbe essere un potente strumento per sostenere l’uguaglianza razziale [Smash] • Trasferitosi con la famiglia a Johannesburg all’età di 12 anni, si prende la tubercolosi e passa un anno in un sanatorio. Vuole diventare medico, ma i suoi non possono permettersi di pagare gli studi • Tutu studia al Pretoria Bantu Normal College dal 1951 al 1953 poi, seguendo le orme del padre, insegna alla Johannesburg Bantu High School: «Ho cercato di essere ciò che i miei insegnanti erano stati per me» • Nel 1957 si dimette in segno di protesta contro l’approvazione del Bantu Education Act, legge che abbassava gli standard di istruzione per i sudafricani neri, che garantiva che imparassero solo ciò che era necessario per una vita di servitù: «Io e Leah giurammo che avremmo fatto tutto quello che era in nostro potere per garantire che i nostri figli non fossero mai sottoposti a quel lavaggio del cervello che in Sudafrica spacciavamo per istruzione» [Gariwo] • Studia teologia e nel 1960 viene ordinato sacerdote anglicano • Diventa cappellano all’Università di Fort Hare, una delle poche università di qualità per gli studenti neri del Sudafrica meridionale • Nel 1962 vola a Londra, al King’s College, dove prende il Bachelor e il Master in teologia • Tornato in Sudafrica nel 1967 tiene lezioni cariche di messaggi che evidenziano le tristi condizioni della popolazione di colore • Tutu scrive una lettera a John Vorster, Primo Ministro sudafricano, nella quale descrive il Sudafrica come «un barile di polvere da sparo che può esplodere in qualsiasi momento». Non riceverà mai risposta • Nel 1972 Tutu torna in Inghilterra dove viene nominato vicedirettore del Fondo per l’Educazione Teologica del Consiglio Mondiale delle Chiese • Nel 1975 è di nuovo in Sudafrica dove è nominato diacono della Cattedrale di St. Mary, a Johannesburg, è il primo nero a essere investito da tale carica: «Il sogno di Dio è che noi tutti realizziamo di essere un’unica famiglia e che siamo stati creati per stare insieme ed essere compassionevoli» • Nel 1976 dopo le proteste di Soweto Tutu appoggia il boicottaggio economico del suo paese • Vescovo del Lesotho dal 1976 al 1978, viene nominato Segretario generale del Consiglio Sudafricano delle Chiese e continua la sua lotta contro l’apartheid: «La teologia nera è quella che si interessa a questa parte dell’umanità, a questi uomini e donne che hanno acquisito la coscienza del loro valore in quanto persone, che si rendono conto di non doversi più scusare per il fato di esistere, che credono di avere un’esperienza qualitativamente distinta da quella degli altri, e che tale esperienza richiede di essere studiata e compresa in relazione a ciò che Dio ha rivelato di sé e tramite il figlio, Gesù Cristo» • Nel settembre del 1984 scoppia un’altra protesta nel ghetto di Soweto. Lui incoraggia la sua gente a non arrendersi alle discriminazioni. Ma le cose non cambiano. Solo con il Nobel per la pace riesce a smuovere il governo, a far sentire la sua voce: «Aver ricevuto il Premio Nobel per la pace mi fa sentire in obbligo verso la società e l’umanità intera» • «Era il 1984, l’apartheid schiacciava la società sudafricana, Mandela era in carcere, l’African National Congress bandito, la sua leadership costretta alla clandestinità. Quella del vescovo anglicano Desmond Tutu era una delle poche voci in grado di sollevarsi oltre la cortina del silenzio imposta dal regime razzista del National Party» [Rep] • Nel 1985 è vescovo di Jonnesburg, nel 1986 è anche il primo nero a ricoprire la posizione più alta nella chiesa anglicana sudafricana, arcivescovo di Città del Capo. Manterrà questa carica per 10 anni conservando poi il titolo di arcivescovo emerito • Dopo l’elezione di Nelson Mandela nel 1994: «Non ho mai dubitato che alla fine saremmo stati liberi, perché alla fine sapevo che non c’era modo in cui una bugia potesse prevalere sulla verità, sulla luce, sulla morte o sulla vita» • Mandela gli affida la guida della Commissione per la Verità e la Riconciliazione: «Fu grazie alla sua statura morale [...] che centinaia di ex carnefici accettarono di sfilare davanti alla Commissione. E migliaia di vittime scelsero di mettere da parte la ricerca di vendetta personale. [...] “Quando l’apartheid finì molti pensavano che da un momento all’altro i neri avrebbero cacciato i bianchi, che avrebbero cercato vendetta per quello che avevano patito. Non è accaduto, e questo in buona parte si deve alla Commissione [...] abbiamo tentato in tutti i modi di riconciliare, piuttosto che nascondere. Abbiamo cercato di far luce sul passato, senza mai far finta che non ci fossimo fatti delle cose orribili l’uno con l’altro [...] Il fallimento maggiore è il fatto che non abbiamo convinto i bianchi a collaborare come avremmo voluto. Ma in questo molte responsabilità sono da attribuire anche alla leadership bianca di allora, che non ha spiegato bene ai suoi che magnifica chance avevano: i neri erano pronti ad offrire perdono piuttosto che a cercare vendetta. Per i bianchi era una magnifica occasione per mettere da parte il passato: invece in molti hanno visto nell’intero processo solo una forma di umiliazione [...] A chiedere amnistia sono arrivati molti pesci piccoli e pochi di quelli grandi. Questo è stato uno dei nostri punti deboli. L’altro è stato invece strutturale: non siamo stati in grado di fornire direttamente compensazioni alle vittime dell’apartheid. Non c’è stata in questo senso un’autorizzazione del governo, come quella che invece ci permetteva di garantire l’amnistia. La questione economica è stata demandata al governo, che non l’ha gestita bene: così è sembrato che la Commissione fosse più dalla parte dei carnefici che non delle vittime [...] Le cifre date a chi ha sofferto in quegli anni sono state meno che generose. E lo sono state con persone che hanno sofferto moltissimo e con le quali tutti noi sudafricani abbiamo un debito”» [Caferri, Rep] • Nel 2004 Tutu fa ritorno nel Regno Unito per tenere il discorso di commemorazione per il 175° anniversario del King’s College. Visita inoltre il nightclub dell’associazione degli studenti, intitolato “Tutu’s” in suo onore, dove è presente un busto che lo raffigura • A Tutu si deve l’espressione Rainbow Nation («nazione arcobaleno»), solitamente utilizzata per descrivere un nuovo Sudafrica multirazziale • S’è battuto per il movimento indipendentista della Papua Occidentale («Molti popoli continuano a soffrire un’oppressione brutale, in cui la loro fondamentale dignità come esseri umani viene negata. Uno di questi popoli è quello della Papua Occidentale»), contro gli abusi dei diritti umani nello Zimbabwe (definì il presidente Robert Mugabe una «caricatura di un dittatore africano»). Espresse il suo disappunto dopo l’elezione di Benedetto XVI, si aspettava un papa più aperto riguardo l’utilizzo di contracettivi nella lotta per la diffusione di malattie veneree come l’Aids [DiLei] • Nei primi anni Novanta fonda il Desmond Tutu HIV Centre che poi diventerà la Desmond Tutu Health Foundation che oltre all’aids si occuperò di tutte le infezioni che affliggono il Sudafrica • Nel 2009 ha ricevuto la Medaglia presidenziale della libertà degli Stati Uniti • Nel 2010 promise alla Fifa «un biglietto di prima classe per il paradiso se il Sudafrica ospiterà i Mondiali 2010» • Il 7 ottobre del 2010 si è ritirato a vita privata • Del 2013 una campagna per l’uguaglianza dei diritti dei gay in Africa: «Mi rifiuterei di andare in un paradiso omofobo. Direi mi dispiace, no grazie, preferirei cento volte andare altrove. Non potrei mai lodare un Dio omofobo, la mia è una convinzione radicata». Più tardi lancerà un appello al presidente ugandese Yoweri Museveni affinché non promulghi la legge che prevede l’ergastolo per gli omosessuali recidivi, paragonando la normativa alle persecuzioni naziste • Nel 2015 pubblica Il mio dio sovversivo: «Quando i potenti della terra ci rimproveravano perché facevamo quella bruttissima cosa che è mescolare la religione con la politica, eravamo soliti rispondere: “Ma voi, quale Bibbia leggete?”» • Del 2016 Il libro della gioia con il Dalai Lama, libro nato da un incontro fra i due a Dharamsala, in India, in cui hanno affrontato tutti gli ostacoli che possono frapporsi tra noi e il raggiungimento della piena felicità • Nel 2016 s’è espresso in favore dell’eutanasia: «I morenti dovrebbero avere il diritto di scegliere come e quando lasciare la Madre Terra ma a migliaia di persone in tutto il mondo venga negato il diritto di morire con dignità». Nel giorno del suo 85esimo compleanno ha aggiunto: «Per tutta la vita mi sono opposto all’idea della morte assistita. Due anni fa dissi che ci avevo ripensato. Ma sull’eventualità che io stesso potessi farvi ricorso, ero rimasto sul vago. “Non mi importa”, dicevo allora. Oggi che sono più vicino al terminal delle partenze, lo affermo con chiarezza: ci sto pensando, sto pensando a come vorrei essere trattato quando verrà l’ora. Non mantenetemi in vita a tutti i costi» • Nel 2020 ha ricevuto la visita di Harry, Meghan e del piccolo Archie. Era il primo tour del royal baby • In favore del vaccino contro il covid a 89 anni, in carrozzella s’è lasciato fotografare con un cappello da marinaio in testa mentre faceva la fila per la seconda dose: «In tutta la mia vita ho cercato di fare la cosa giusta e vaccinarsi contro questa malattia ora è la cosa giusta da fare».
Amori Nel 1955 sposa Leah Nomalizo dalla quale avrà quattro figli: Trevor Thamsanqa, Theresa Thandeka, Naomi Nontombi e Mpho Andrea. Tutti frequenteranno la famosa Waterford Kamhlaba School.
Titoli di coda Noto per il suo senso dell’umorismo: «Noi tendiamo a prenderci troppo sul serio. Noi dobbiamo ridere molto di più di noi stessi... Noi siamo in effetti creature ridicole e, tuttavia, siamo tutti speciali. Così io vorrei dare a tutti un cappello da clown, e dire, alla fine, che la vita è in effetti divertimento, godetevela».