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 2021  ottobre 12 Martedì calendario

Biografia di Sacha Noam Baron Cohen

Sacha Noam Baron Cohen, meglio noto come Ali G, Borat, Brüno o Abbie Hoffman. Nato a Londra il 13 ottobre 1971 (50 anni). Attore, produttore, sceneggiatore.
Titoli di testa «Penso che se vieni da una storia di persecuzione devi sviluppare il senso dell’umorismo».
Vita La leggenda di famiglia narra che nel 1880, dalla Bielorussia e dai suoi pogrom, il nonno fuggì in Gran Bretagna. Non appena si stabilì in patria, Chaïm Baron aggiunse Cohen al suo cognome, per suggellare a testa alta un’identità a testa alta. Sacha Baron Cohen ha accettato questa eredità e la rivendica [Blumenfeld, Le Monde] • Figlio di Gerald Baron Cohen, a questo punto gallese, e di Daniela Weiser, israeliana. Ha due fratelli, Erran e Ammon • Padre contabile, mamma e nonna istruttrici di aerobica (quest’ultima l’ha insegnato in Israele fino ai 97 anni d’età) [Blumenfeld, cit] • Cresce nel quartiere di Hammersmith come fan dei Monty Python e di Peter Cook, ma una volta ha detto che Peter Sellers è stato «la forza più determinante» nel plasmare le sue prime idee sulla commedia [Brent Lang, Variety, ripubblicato su RollingStone] • Nel 1993 si laurea in Storia all’Università di Cambridge, con una tesi sugli Ebrei nella lotta per i diritti civili dei neri negli anni Sessanta • Inizia a farsi conoscere come comico in diversi locali di Londra • La notorietà arriva nel 1998, programma televisivo The 11 O’Clock Show. Qui ha presentato per la prima volta il personaggio di Ali G, un rapper inglese di origini giamaicane • «Ben presto diventa una star planetaria: persino la divina Madonna si invaghisce del nostro pischello, tanto da volerlo nel videoclip di Music. Il fenomeno Ali G è inarrestabile a tal punto che nel 2002 si tramuta in film» [MyMovie] • Nel 2006, Borat arriva sul grande schermo nel pluripremiato Borat - Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan che gli frutta, addirittura, il Golden Globe come miglior attore protagonista in una commedia: «Borat Margaret Sagdiyev, il giornalista televisivo kazako considerato la creazione più popolare di Baron Cohen, fa risalire le sue origini a una serie di scenette che il comico ha realizzato in un programma di Granada Talk TV da tempo dimenticato, visto che il canale televisivo britannico andò in onda per poco meno di un anno dal 1996 al 1997. Inizialmente noto come Alexi Krickler e successivamente come Kristo Shqiptari, il personaggio di Borat è stato in parte ispirato da un tassista russo che Baron Cohen ha incontrato durante i suoi viaggi. Nel corso degli anni, Borat è apparso in Da Ali G Show, dove era uno dei tanti personaggi assurdi in lizza per l’attenzione del pubblico, prima di passare alla celebrità del cinema a tutti gli effetti con Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan [Lang, cit.] • Borat, che nel 2006 incassò 260 milioni di dollari a fronte di un costo di appena 18 • Del 2009 un nuovo personaggio, lo stilista Brüno Gehard: «Prendendo di mira la vacuità del mondo della moda e gli stereotipi di un certo tipo di cultura clubbing e omosessuale, il personaggio di Brüno giocava sulla sensibilità e sul moralismo delle persone che intervistava, inserendo continuamente sfacciate allusioni sessuali o giocando sulla propria nazionalità austriaca per fare pesanti riferimenti al nazismo (per far giudicare un abito, uno stile o un tema ai suoi intervistati, li faceva rispondere “Teniamoli nel ghetto” per dimostrare apprezzamento o “Treno per Auschwitz” in caso di bocciatura). Per il lancio del film, Baron Cohen organizzò diversi stunt mirati ad aumentare il buzz sull’uscita: irruppe ad esempio sulla passerella di un paio di sfilate durante le settimane della moda di Parigi e Milano, e durante un Mtv Video Music Awards, vestito da angelo, atterrò coi propri genitali sulla faccia di Eminem, che lasciò lo show indignato (salvo capire poi che era tutto organizzato). Anche qui le reazioni indignate non si fecero attendere, soprattutto da parte della comunità lgbt+, infuriata per la perpetrazione di stereotipi quali la superficialità e l’ipersessualizzazione» [Armelli, Wired] • Nel 2012 Il dittatore: «Ecco, c’è quel comico assai amato, quello che si fece il marchio con un reggiscroto ascellare, insomma – Baron Cohen – che ha fatto un film ovviamente geniale prendendo spunto da Muhammar Gheddafi. Ecco, deve essere proprio il libico ad averlo ispirato per recitare il ruolo del dittatore e non ci sono dubbi perché la divisa, gli occhiali, la cotonatura, la pistola d’oro perfino, rimandano a quella specie di eversione estetica che fu l’autore del Libro Verde della Rivoluzione. Molti degli entusiasti spettatori di Sacha Baron Cohen, ai tempi, avevano di sicuro simpatizzato per il Beduino. Ci fu un tempo in cui i gruppettari flirtavano con il Terzo mondo, fosse pure per vedere spuntare tra le dune quelle rivoluzioni che tutti i loro ’68 non sapevano apparecchiare. Ecco, dunque, vedere la faccia citrulla di questo genio, così fantastico, prendersi il vantaggio della risata verso quello che è stato sparato come un cane, attufato nel buco di un cesso e poi esposto nella carnezzeria della civiltà, ecco, è una cosa che fa schifo» [Buttafuoco, Foglio] • «Mi chiami Generale. Dittatori ce ne sono stati tanti, ma i più amati sono tutti morti: Saddam, Gheddafi. Avevo una predilezione per Kim Jogn-Lì, un brav’uomo compassionevole: ammazzava solo che gli stava sulle palle» (Sacha Baron Cohen che intervistato da Roberto Croci gioca a rispondere come il Dittatore Aladeen, personaggio del suo ultimo film) [Coco, Gioia] • In occasione della scomparsa del dittatore nordcoreano Kim Jong-il, il Dittatore Sacha Baron Cohen ha diffuso un comunicato ufficiale di condoglianze_ «Comunicato ufficiale da sua eccellenza ammiraglio generale Aladeen - leader supremo, generale tutto trionfante e capo oftalmologo della repubblica popolare di Wadiya. Sono rattristato nel venire a conoscenza della scomparsa del mio caro amico Kim Jong-Il. Il nostro pensiero va a sua moglie e ai suoi 813 bambini. ‘K-Jo’ era un grande leader, un buon amico e un mediocre compagno di gioco a badminton. Un uomo straordinario, ha fatto molto per diffondere la compassione, la saggezza e l’uranio nel mondo. A nome mio, e di Ahmadinejad, Chavez e Newt Gigrich, diamo il benvenuto a suo figlio Kin Jong Un nell’Asse del Male» • L’attore parla sempre alla stampa in nome dei suoi personaggi. Vive nella loro pelle. Indossa i loro vestiti. Anche quando la fotocamera non è più in funzione. Così ha vestito per sei anni l’emblematico costume beige di Borat. Costume che non è mai stato lavato. L’attore ha accettato di indossare anche la sua biancheria sporca, prodotta in Russia o in una delle ex repubbliche sovietiche. «Nei panni di Borat, non poteva correre il rischio, se mai qualcuno si fosse impossessato delle sue mutande, che l’etichetta di un marchio americano lo smascherasse [Blumenfeld, cit.] • «Parto sempre dalla voce per costruire il personaggio. Studio la cadenza, il linguaggio, la sintassi, la punteggiatura e, poi, gioco con l’accento e il ritmo. Soltanto dopo passo ai movimenti del corpo, alla fisicità» [Venezia, Io donna] • Nel 2016 Nobby Butcher in Grimbsy, «un hooligan dalla vita piuttosto degradata, che vive coi suoi 11 figli nella città portuale di Grimsby, e non vede il fratello Sebastian, diventato nel frattempo una spia dell’MI6, da 28 anni. Ovviamente l’occasione del ricongiungimento scatenerà una serie di vicissitudini che includono svariate assurdità, fra cui Daniel Radcliffe (l’attore di Harry Potter) che contrae accidentalmente l’hiv» [Armelli, cit.] • «Nel novembre 2019, ha lasciato a casa protesi e parrucche per il summit Never Is Now dell’Anti-Defamation League. Lì, l’attore ha tenuto un discorso in cui ha attribuito la colpa all’aumento dei crimini d’odio e dei pregiudizi a Facebook, Twitter, YouTube e altre piattaforme di social media. Ha sostenuto che il loro rifiuto di sorvegliare annunci politici e rimuovere commenti inesatti in nome della libertà di parola sovralimenti le teorie del complotto e metta in pericolo gli ideali democratici. «Su Internet, tutto può sembrare legittimo», aveva detto Baron Cohen. «Breitbart pare la BBC. I Protocolli dei Savi di Sion sembrano validi quanto un rapporto dell’ADL – Fighting Antisemitism and Hate. E le lamentele di un pazzo sembrano credibili quanto le scoperte di un vincitore del premio Nobel. A quanto pare, abbiamo perso un senso condiviso dei fatti fondamentali da cui dipende la democrazia». Poi a proposito di tutti i Mark Zuckerberg e Jack Dorsey del mondo «La mia conclusione è che queste sono persone molto carine che stanno facendo cose orribili, e si giustificano affermando che non c’è bene senza male. Non sono d’accordo con questo principio. Penso che dovrebbero provare a portare avanti un business positivo e cercare di sbarazzarsi della parte negativa» [Lang, cit.] • «Sono una celebrità molto riluttante. Ho passato tutta la mia carriera cercando di evitare la notorietà. Sono anche molto diffidente nei confronti dell’idea che un personaggio famoso forzi in qualche modo le proprie opinioni su altre persone» • «L’attore ha contribuito a creare Stop Hate for Profit, una coalizione di gruppi per i diritti civili e organizzazioni di difesa come NAACP, Color of Change, Free Press e ADL, pensati per ritenere le aziende tecnologiche responsabili dei discorsi di odio sulle loro piattaforme. Per questo il gruppo ha convinto celebrità di serie A, vedi Katy Perry e Kim Kardashian West, a boicottare Instagram per 24 ore. Ha anche organizzato un esodo di inserzionisti come Coca-Cola e McDonald’s da Facebook per fare pressione affinché la società prendesse provvedimenti contro la disinformazione diffusa dagli utenti […] E i giganti della tecnologia hanno iniziato a rispondere: Twitter ora include disclaimer sui falsi tweet di importanti personalità politiche come Trump, mentre Facebook ha accettato di rimuovere le “fake news” sul vaccino contro il coronavirus» [Lang, cit.] • Nel 2020 esce Processo ai Chicago 7 di Aaron Sorkin. Aveva accettato di girarlo già nel 2007 quando dietro la macchina da presa c’era Steven Spielberg. «Quando ha sentito che la produzione si stava rimettendo in moto e che avremmo girato il film, si è messo in contatto con me per chiarire che la parte era ancora sua e che non avrei preso in considerazione altri attori per il ruolo», afferma Sorkin, che ha ereditato la regia. «Ha scoperto Hoffman per una tesi che stava scrivendo sul coinvolgimento degli ebrei nel movimento per i diritti civili americano. Baron Cohen è stato attratto da Hoffman perché comprendeva il potere dell’umorismo per attirare i sostenitori del movimento per la pace. “Sapeva che diventando uno stand-up comedian avrebbe avuto un impatto maggiore sulla folla, e il suo scopo era influenzare le persone, convincerle a correre rischi enormi contro la guerra in Vietnam”, dice Baron Cohen. “Ha usato lo humor per ispirare la gente e si è reso conto che giocare con l’assurdo era un modo per minare istituzioni che pensava fossero corrotte” […]. Sul set, Baron Cohen ascoltava i discorsi di Hoffman tra una ripresa e l’altra in modo da poter padroneggiare il suo particolare stile retorico. I risultati sono sorprendenti […]. Aaron Sorkin: “Sono già stato su set in cui la troupe e le comparse applaudono alla fine del take, ma non avevo mai visto nulla di simile all’esplosione di applausi che ha travolto Sacha quando ha finito la sua testimonianza. Era una combinazione di ‘Wow, è stato fantastico’ e ‘Wow, non sapevo che Sacha Baron Cohen fosse in grado di farlo’”» [Lang, cit.] • Appena prima delle elezioni americane il ritorno di Borat-seguito di film cinema (sottotitolo: Consegna di una prodigiosa tangente al regime americano a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan): «Non voglio sostenere egoisticamente che le persone, una volta visto Borat, non avrebbero votato per Trump, ma questo era l’obiettivo» • «L’eccentrico, folle giornalista kazako Borat Sangdiyev (Cohen), dopo 14 anni di lavori forzati, è costretto dal presidente del suo paese a tornare in America e a far dono di una scimmia dalle alte capacità sessuali all’attuale vicepresidente Mike Pence. Ma una volta arrivato scopre che invece della scimmia nella gabbia è arrivata la figlia di 15 anni, Sandra Jessica Parker Sangdiyev (l’attrice bulgara Maria Bakalova), e decide di regalare lei: se non a Pence a Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, inscenando una finta intervista con Giuliani in un hotel dove Cohen, questa volta nella veste di un microfonista e poi di un travestito, entra nella camera d’albergo dove telecamere nascoste rivelavano un Giuliani in imbarazzante posa con le mani letteralmente nei pantaloni. Cohen continua a beffare i potenti» [Bizio, Rep]: «Sono davvero felice che, ogni volta che il suo nome viene menzionato quando cerca di minare il risultato delle elezioni, venga ricordato alla gente che quello è il tizio con le mani nelle mutande» [Lang, cit.] • «Ho capito che per fare un sequel di Borat mi dovevo mettere in situazioni scomode. Una delle prime scene che abbiamo girato è stata alla manifestazione pro National Rifle Association, dove i suprematisti bianchi avevano minacciato una sparatoria di massa. Lo sapeva anche l’Fbi, e io ero andato con una T-shirt che non era esattamente a favore delle armi, quindi per la prima volta nella mia carriera mi sono messo un giubbotto antiproiettile; l’ho usato anche durante le scene del concerto a Olympia. C’erano tanti di quei mitragliatori che se pure non fossi stato l’obiettivo avrei potuto comunque essere ammazzato. Ho temuto per la mia vita. Quando hanno capito chi ero si sono buttati sulla macchina cercando di trascinarmi fuori e non sarebbe finita bene. Sono stato fortunato» [a Bizio, cit] • «Ho capito che Borat è il personaggio perfetto per Trump, appena più estremo di lui: entrambi misogini, razzisti, con visioni antiquate del mondo e ridicoli. E ho capito parlando nei panni di Borat con i suoi sostenitori che avrei potuto vedere fino a che punto si sarebbero spinti» [Bizio, Rep] • «Borat – Seguito di film cinema ha avuto successo oltre le ambizioni di Baron Cohen, ma non aspettiamoci un terzo capitolo di Borat. Sacha è pronto ad appendere i baffi del personaggio al chiodo: “Ho riportato Borat sullo schermo a causa di Trump. C’era uno scopo molto preciso in questo film, e non vedo davvero motivi per farlo ancora. Quindi sì, l’ho chiuso nell’armadio”» • Sacha Baron Cohen ha un patrimonio stimato di 130 milioni di dollari. Ha una casa a Londra e una villa a Beverly Hills.
Amori Sacha Baron Cohen e Isla Fisher si sono fidanzati nel 2004 e sposati a Parigi nel 2010. Hanno avuto tre figli: Olive, nata nel 2007, Elula, nata nel 2010, Moses, nato nel 2015.
Titoli di coda «Mi è piaciuto essere anonimo».