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 2021  ottobre 29 Venerdì calendario

Parla l’ad della Rai Carlo Fuortes

È lo stupore il sentimento prevalente in Carlo Fuortes, neo-ad Rai al tempo dei migliori: va di pari passo con la soddisfazione per il varo «all’unanimità» del suo piano industriale. Quando prima dell’estate accettò l’incarico pensava di salire sull’aereo più pazzo del mondo, scosso dalle turbolenze della politica. E invece non solo «i partiti non bussano alla mia porta», ma l’azienda è «tutt’altro che ingovernabile».
Prova ne è «l’armonia con cui si lavora in Cda, fuori da logiche di maggioranza e opposizione», dice. «E con la presidente Soldi c’è un’intesa perfetta sul futuro di Rai e su come deve fare servizio pubblico»
Il piano appena approvato ricalca quello della precedente gestione. Salini aveva fatto un buon lavoro?
«Quello votato è solo una parte del piano, ovvero la trasformazione dell’organizzazione per generi. È l’unico modo in cui può evolvere un broadcaster internazionale per diventare una media company innovativa e digitale. Succede in tutta Europa, non è che si doveva inventare altro».
Una parte? L’altra quando si farà e, soprattutto, cosa ci sarà dentro?
«Nei prossimi mesi c’è da ridefinire il ruolo strategico del servizio pubblico con il contratto di servizio in scadenza. Dovremo costruire il restante pezzo di piano in base a ciò che concorderemo con il governo».
Cosa l’ha spinta a passare dalla storica organizzazione verticale a una orizzontale, fondata sui generi che alimentano i diversi canali?
«È una grande opportunità che può aiutare a interpretare meglio il ruolo di servizio pubblico. Io che ho diretto teatri e istituzioni culturali sono sempre stato convinto che bisognasse pensare innanzitutto agli utenti. Ecco, questa trasformazione ci consentirà di dare ai cittadini un prodotto migliore. La scommessa sul futuro si vince solo mettendo al centro il prodotto e la sua qualità».
Salini aveva un Trasformation Officer e un Dg incaricati di mettere a terra il piano industriale. E lei? Da chi si farà aiutare?
«La rivoluzione che inizia oggi, e non è esagerato usare questo termine, riguarderà il 60% del personale Rai, quindi ognuno dovrà essere protagonista: non credo ci possa essere un deus ex machina che crea questa trasformazione. Verranno rimesse in gioco risorse umane ed economiche di tutta l’azienda. Sarà uno choc, ma credo molto positivo per valorizzare le energie interne».
Ora le toccherà nominare i dieci nuovi superdirettori: la politica ha già bussato o farà di testa sua?
«La politica non sta bussando alla mia porta e non vedo problemi. I direttori saranno scelti in base alle competenze e porterò la proposta in Cda. Credo anzi che il nuovo modello potrà servire ad allontanare i partiti che qualche volta, in passato, hanno mostrato una certa invadenza».
Vale anche per i direttori dei Tg?
«Certo, vale anche per loro».
In Rai chi tocca l’informazione muore e nel suo piano non c’è nulla a riguardo: prima o poi penserà a riorganizzare anche le testate giornalistiche,magari mettendo in piedi la newsroom unica, o ci ha già rinunciato, memore dei fallimenti di Gubitosi e Campo Dell’Orto?
«Per ora l’area informativa rimane strutturata su tre testate generaliste, più quella regionale, che hanno comunque una grande audience. Tra le prime cinque testate, 4 sono della Rai. Inoltre stiamo valorizzando Rainews24, che presto avrà veste nuova e nuovi studi; da dicembre partirà Rainews.it che sarà l’unica testata giornalistica online del Gruppo per rivoluzionare l’offerta digitale finora troppo povera»
Quindi continueremo ad avere tre telegiornali orientati in base alle maggioranze di turno?
«Adesso è più importante procedere con una trasformazione da reti in generi che interessa due terzi della Rai: la principale azienda culturale d’Italia e leader dei broadcaster, cosa rara fra i servizi pubblici europei.
L’informazione è solo un pezzo del servizio pubblico, che in 70 anni di vita ha saputo ben interpretare il Paese e ad accompagnarlo nel suo sviluppo, tenendo insieme cultura bassa e alta. L’intrattenimento, la fiction e gli altri generi sono una parte fondamentale: dimostrano che popolarità e qualità vanno considerate insieme».
A proposito di approfondimento la striscia serale su Rai 3 si farà o resta “Un posto al sole”?
«La striscia è un progetto al quale tengo molto. È in fase di studio sia la fascia oraria, sia la rete. Non ho intenzione di ridimensionare o danneggiare Un posto al sole né il centro di Napoli, che va valorizzato».
In Vigilanza ha detto che i conti destano molta preoccupazione.
Siete sull’orlo del predissesto?
«Ma no. La Rai è un’azienda particolare, le risorse di cui dispone si basano sul canone e sulla pubblicità, che una legge in via di approvazione rischia di ridurci. Dal 2008 a oggi sono già diminuite di 700 milioni e per ottenere il pareggio di bilancio sono stati tagliati molti costi esterni relativi al prodotto. Come quest’anno ho dovuto fare anch’io per frenare la crisi finanziaria. Ma al di sotto dei valori attuali non si può svolgere il servizio pubblico richiesto dal contratto di servizio».
La Tv di Stato incassa dal canone 1,8 miliardi l’anno, non vi basta?
«Attenzione, io non ho chiesto l’aumento del canone annuo, che è di competenza di Parlamento e governo, ma che quella parte di canone ancora trattenuto dallo Stato venga destinato per intero alla Rai.
Faccio presente che le nostre sorelle europee hanno budget più elevati. La Francia ha il 50% di introiti da canone in più, la Germania quasi 3 volte».
Ha però chiesto la restituzione dei 110 milioni versati ogni anno al fondo per l’editoria, che è ossigeno puro per la stampa. Le pare giusto?
«Io non mi sono mai sognato di dire che il fondo vada annullato, forse però può essere finanziato con la fiscalità generale e non con l’imposta di scopo del canone che gli italiani pagano per il servizio radiotv».
Ha proposto pure di far pagare il canone a smartphone e tablet.
«Non è una tassa sul telefonino. Ho fatto un altro ragionamento: in base a una legge del 1938 il canone in Italia è legato al possesso di un apparecchio radiotelevisivo, mentre negli altri Paesi si paga in base alla possibilità di vedere le trasmissioni. E poiché oggi tutti i device possono accedere ai programmi Rai attraverso Raiplay, sarebbe bene adeguarsi anche noi».
La storia di Mietta non vaccinata a “Ballando con le stelle” non è una bella pagina di servizio pubblico…
«Non sono d’accordo. La Rai, come tutte le aziende, è tenuta a rispettare le leggi dello Stato. Chi partecipa ai programmi deve esibire il Green Pass. Ed è stato fatto. Non esiste obbligo vaccinale e noi non possiamo costringere dipendenti, conduttori o autori a vaccinarsi».