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 2021  ottobre 28 Giovedì calendario

“LA POESIA DI UNA CRAVATTA” – A MILANO, ALLA FONDAZIONE PRADA OLTRE 100 OPERE RACCONTANO DOMENICO GNOLI – LUCA BEATRICE: "SI TRATTA DELLA PIU’ ESAUSTIVA E IMPORTANTE MOSTRA REALIZZATA IN ONORE DI UN CASO PRESSOCHÉ UNICO NELL'ARTE ITALIANA DEL SECONDO '900. RICERCATO E SNOB, PERSINO ARISTOCRATICO SENZA MAI USCIRE DAL PARADIGMA DELLA FIGURAZIONE, DOMENICO GNOLI È UNA CERNIERA TRA DIVERSI MONDI..." -

Ricercato e snob, persino aristocratico senza mai uscire dal paradigma della figurazione, Domenico Gnoli è un caso pressoché unico nell'arte italiana del secondo '900. Una vita e una carriera breve prevalentemente ancorate all'era pop, ma sarebbe alquanto riduttivo confinarne l'esperienza nella storia-gli anni '60 e il loro entusiasmo mediatico e consumista-o nella geografia-Roma, che fu sia il tramite internazionale sia la forte localizzazione per quartieri, gallerie, amicizie e complicità, intense seppur provinciali.

Piuttosto Gnoli rappresenta una cerniera tra diversi mondi: una prima fascinazione informale, materica, sabbiosa, la memoria dell'antico verso i grandi maestri della pittura rinascimentale che amava e studiava senza per questo citarli perché il postmoderno ancora non si conosceva, l'approdo sempre più deciso verso un'imagerie stralunata cui non si può negare di aver aperto le porte alla pittura concettuale.

In mezzo i riferimenti abbondano: realismo magico, surrealismo, art brut. Ci sta tutto tranne, forse, l'iperrealismo perché a Gnoli la fotografia proprio non interessava, disdegnava il freddo analitico "a tavolino" cui giungeranno ad esempio Carlo Maria Mariani o i pittori della Figuration Critique, non amava la ripetizione e prediligeva temperature calde, a tratti retrò, con una tavolozza di terra che fa "salotto di nonna Speranza" senza che "le piccole cose di pessimo gusto" prendano il sopravvento .

MORTE PREMATURA Come già accaduto con altre riletture storiche, Fondazione Prada fa le cose in grande, presentando nella sede di Milano da domani al 27 febbraio 2022 la più esaustiva e importante antologica di Domenico Gnoli di cui ho memoria, la più bella e completa.

È passato poco più di mezzo secolo dalla morte dell'artista, che malato di cancro scomparve prematuramente a New York nel 1970 (era nato a Roma nel 1933), ed è trascorso appena un anno e mezzo dall'addio improvviso di Germano Celant, che questa mostra l'aveva immaginata e impostata, lasciando la sensazione di un testamento spirituale raccolto e completato da uno staff curatoriale giovane (Mario Mainetti, Carlo Barbatti, Giulia Lotti, Cristina Tagliabue).

Filologico e scrupoloso il reperimento dei dipinti più famosi di Gnoli, in musei, fondazioni, collezioni private di tutto il mondo, organizzati per temi - i capelli, gli abiti e le scarpe, i letti, le ombre, gli arredi e oggetti della vita quotidiana-arricchiti da materiali rari, in molti casi addirittura sconosciuti, allestiti dallo studio 2x4 di New York al piano superiore del Podium, che vanno dalle illustrazioni alle scenografie, dai disegni ai documenti e includono cataloghi, inviti, locandine, fotografie per ricostruire passo a passo la rapida storia di un protagonista dell'arte italiana inserito nel fervido dibattito del tempo, che pure scelse di correre da solo, percorrendo la strada della non appartenenza.

Ecco perché non è improprio riprendere la formula iniziale, "il caso Gnoli", pittore figurativo, persino popolare (quante volte abbiamo visto i suoi quadri riprodotti su manifesti e libri), al contempo così distante, mentale, esclusivo soprattutto nelle valutazioni di mercato.

CAMPIGLI E MAGRITTE Certe opere, si diceva, guardano indietro e visi ritrovano echi di Savinio, Marino, Campigli, Magritte, Dubuffet, del primo Manzoni catramoso.

Altre aprono, come squarci, ai linguaggi che stanno per decretare la fine provvisoria della pittura mentre si afferma l'Arte Povera. Dipinge il retro della tela come Giulio Paolini, traccia gli spazi interni con la precisione di Richard Artschwager, studia le trame di tovaglie bianche, passamanerie, fodere per poltrone, esagera con close up feticisti di décolleté, tacchi a spillo, trecce annodate, monumentalizza il nodo della cravatta regimental e la lana del vestito gessato.

Diciamolo, è anche divertente. Menzione speciale la merita il catalogo della mostra, indispensabile e definitivo sull'artista, concepito dalla graphic designer olandese Irma Boom, ritenuta la migliore in assoluto per i libri d'arte. Sopportando il piccolo fastidio dei testi in italiano radunati sul fondo, il volume offre una ricostruzione contestuale eccellente, seguendo le linee di Celant che non ha fatto in tempo a redigere un nuovo testo e di cui si pubblica il saggio uscito sulla rivista "Interni" nel 2013, arricchito dal contributo di Salvatore Settis, dalle lettere, dalle corrispondenze, dai racconti di Gnoli non privi di qualità letteraria. Costa tanto, 90 euro, però vale la pena spenderli per quei pochi libri che resistono nel tempo.