il venerdì, 22 ottobre 2021
Un libro raccoglie 80 interviste a Pier Vittorio Tondelli
Alberto Moravia, esasperato, chiude così: “Io non sono mai stato a Riccione. Non ho mai messo piede su quella costa. Vado a Capri, prima andavo al Forte. La smetta”. Pier Vittorio Tondelli sta tentando di dare dignità letteraria alla Riviera romagnola, dopo averla tanto raccontata, nella sua irrimediabile vitalità estiva, ma viene liquidato dagli autori illustri che tormenta. Riccione e Rimini, proprio no.
Il fatto è che Tondelli sa parlare al presente, della fine degli anni Settanta e dei nuovi anni Ottanta, è curioso, straordinariamente interessato a quello che sta succedendo, non importa se succede al Posto Ristoro di Reggio Emilia, a Rivabella, Amsterdam, Berlino o Rimini. A trent’anni dalla morte (il 16 dicembre del 1991), ci sono molti modi per ricordarlo in pubblico – convegni, ristampe, concerti, biglietti degli amici – e ce ne è uno per farlo in privato, leggerlo, rileggerlo.
Era nato nel 1955 a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. E qualcuno un giorno potrebbe studiare questa zona, da Scandiano a Luzzara, dalla bassa agli Appennini, dove ci sono stati Luigi Ghirri e Cesare Zavattini, la Dc di Dossetti, il busto di Lenin in mezzo a una piazza, il punk filosovietico e l’Emilia paranoica dei CCCP, solo per riassumere. Era nato a Correggio e aveva studiato a Bologna, al Dams, lavorando su Bachtin, aveva letto molto, tantissimo, tutto quello che si doveva, e poi Arbasino, Celati, Celine, Testori, Handke, Ingeborg Bachmann, Chandler, Kerouac, Baldwin, Isherwood. Ascoltava musica continuamente, i Clash e i Tuxedomoon, Bob Marley e i Ramones, Lou Reed, gli Smiths e Freak Antoni (ma anche Luna di Togni, poi rinnegata), lo aiutava a “far cantare la macchina da scrivere”. Sono cose che lui racconta in una raccolta curata, molto ben curata, da Fulvio Panzeri, Viaggiatore solitario. Interviste e conversazioni 1980-1991, che Bompiani pubblica per l’anniversario. Sono più di ottanta interviste che, pagina dopo pagina, ci mettono davanti a molte “solite domande” e tante risposte educatamente eversive. Sono uno specchio, non tutte ovviamente, di quel che si doveva chiedere a Tondelli e della sua capacità di ribaltare il gioco.
Il primo libro di Tondelli, Altri libertini, esce nel 1980, lui ha 25 anni e viene processato (e poi assolto) per oscenità. Il successo del libro e lo scandalo del racconto – giovani sbracati, in cerca di felicità, omosessuali, marginali, con una creatività ingovernabile, in fuga, tossici – lo rendono un caso interessante. Un caso. Lo scrittore giovane o il giovane scrittore, come lo chiamano tutti, un po’ maledetto, per chi non distingue opere e vita, il Bukowski emiliano. Nel male stravincono i cliché, nel bene Tondelli è, dopo tante stagioni, il primo scrittore che diventa celebre sotto i trent’anni, contemporaneo, noto a ogni tipo di testata, richiesto e poi ricusato da Domenica in. Tondelli si fa intervistare e finisce col dire sempre quello che gli interessa. La sua idea di scrittura, la voglia di creare nuovi luoghi dell’immaginario – “facciamo le Nashville come gli americani” – di raccontare la gente in platea, di parlare di omosessualità, di spiritualità, di sentimenti a modo suo. Lo chiamano tutti, dalle prime firme dei giornali, Giovanni Giudici, Natalia Aspesi, ai cronisti dell’Unione sarda e del Giornale di Sicilia, viene coinvolto dall’Espresso in un forum sul futuro della letteratura con Sanguineti e Guglielmi, e dà un parere su Bologna a 100 Cose, risponde a Mondo Operaio e a Lotta Continua, ad Amica e a Ciao 2001, a Famiglia cristiana e a Babilonia. Le interviste accompagnano le uscite dei suoi libri, dopo l’esordio seguiranno Pao Pao, Rimini, Camere separate, Biglietti agli amici, Un weekend postmoderno, e quelli dei suoi progetti per gli altri, Giovani blues Under 25 e Panta. Mentre risponde c’è il suo stile non più parlato, che cambia e cambia storie, fino alla solitudine e all’amore di Camere separate, c’è il suo sguardo che vuole tutto, la musica, i fumetti (Pazienza, certo), l’effimero, come si diceva, la moda, l’arte, l’on the road che ci possiamo permettere da Carpi lungo la via Emilia, le letture.
"Non un protagonista, ma un osservatore”, ricordava del ragazzo che era, quello che faceva pochi cortei, e stava di lato nel movimento del ’77. E resta un osservatore adulto, dalla sua provincia non provinciale, dell’Italia più futile, “partygiana”, che va verso la leggerezza, l’individualismo, la novità. Cresciuto lontano dalla società letteraria degli amici del sabato e della domenica di Roma e dall’editoria milanese, costruisce una voce – non solo urla nelle piazze – e uno stile per i suoi romanzi sempre diversi. All’inizio, come racconta l’amico Nicola Fangareggi, che sta tenendo sulla sua “tondelliana” pagina Facebook una bella storia a puntate dell’epoca, c’è una libreria, quella di Nino Nasi a Reggio Emilia: “Non eravamo molto ideologizzati, avevamo questo luogo affascinante, né cattolico né comunista, frequentato da anarchici e libertari”. Nino aiuta Pier Vittorio per il dattiloscritto di Altri libertini. “Con quel libro c’è un cambio d’epoca. Lui riesce a interpretare i mutamenti della vita pubblica, con lui c’è lo sbarco verso l’Europa. Tondelli ama la vita, ama i giovani, ha un’idea anche pedagogica del lavoro e li fa crescere con le antologie, è la sua idea di impegno. Senza di lui molta letteratura non ci sarebbe stata perché “troppo giovane”, come rimproverarono una volta ai suoi personaggi”.
Con Tondelli arriva una nuova generazione di autori (De Carlo, Del Giudice, Busi, Tabucchi, Palandri, che in realtà era stato il primo ad esordire nel ’79 con Boccalone, e di Tondelli era amico), generazione di biograficamente lontani, ognuno per conto suo, senza somiglianze e spesso con qualche antipatia, ma nuova. La prima che viene presa sul serio.
A Tondelli piace andare nei posti, visitare. E guardare. La Riviera, con i suoi chilometri di divertimento per tutti (il “di massa” che, messo proprio lì, appare per la prima volta), grottesca e quasi mitica, fauna umana universale, l’Italia tutta dal Bar Lina alla Baia Imperiale. La voglia di emergere e di farsi notare. La vacanza, il kitsch irresistibile, la Rimini in pieno agosto, così lontana dal fuori stagione felliniano, tanto che Tondelli lo può citare senza paura nel suo Grand Hotel. Gli piace visitare gli spettacoli, le mostre, le lauree, Firenze, Budapest, Vienna e Salsomaggiore. Scrive per il teatro e per i giornali. Scrive. Come spiega ad Amica che chiede consigli per principianti: “Osservare la realtà come se si venisse da un’altra galassia, Sono già stati abbastanza rovinati, i ragazzi, dal tema in classe che terminava sempre con la frase: “Che cosa ne pensi?”. E i poverini pensavano, pensavano e pensavano...”.