Avvenire, 28 ottobre 2021
Nonostante la pandemia le spese militari mondiali hanno raggiunto un nuovo picco, mai toccato dalla fine della Guerra fredda
Alcuni avevano sperato che il mondo postpandemia sarebbe stato meno bellicoso. E invece le cose vanno di male in peggio. Le spese militari mondiali hanno raggiunto un nuovo picco, mai toccato dalla fine della Guerra fredda. Nonostante le economie indebolite dal coronavirus, gli eserciti del mondo hanno drenato l’anno scorso 1.981 miliardi di dollari, facendo registrare una spesa aggiuntiva del 2,6% in un anno. Soldi che sono stati sottratti a capitoli di spesa più impellenti, in un momento in cui l’economia globale ha perso il 4,4% della ricchezza complessiva.
Sono dati che emergono dal rapporto 2021 dell’Istituto per la pace di Stoccolma (Sipri). A cinque paesi si deve il 62% della spesa militare mondiale. Gli Stati Uniti primeggiano (39%), seguiti dalla Cina, dal-l’India, dalla Russia e dal Regno Unito. L’Italia è quattordicesima. Dal 2019 sta costantemente aumentando il bilancio della difesa. Nel 2020, Roma aveva speso 22,95 miliardi. Quest’anno è arrivata a 24,58 miliardi, con un balzo di ben 1,65 miliardi.
Le tensioni geopolitiche fra Stati Uniti, Cina e Russia stanno prefigurando una nuova corsa agli armamenti: i 778 miliardi del Pentagono sono tributari dei fortissimi investimenti nella ricerca
e sviluppo di nuove armi e del peso crescente del nucleare, fitto di piani di ammodernamento. Il Sipri smaschera ogni anno anche le spese militari cinesi, valutandole in 252 miliardi, molto superiori a quanto dichiarato ufficialmente da Pechino (212 miliardi). Gli investimenti cinesi e la rivalità con l’India, spiegano i 72,9 miliardi spesi da Delhi in armi e soldati.
Le mire cinesi sull’Indo-Pacifico stanno poi costringendo i Paesi dell’area a riarmare: è il caso del Giappone (49,1 miliardi), della Corea del Sud (45,7) e dell’Australia (27,5). Non meno dirompente è l’aumento di spesa in Russia (+2,5%), pari a 61,7 miliardi. Anche in Africa si spende di più, specie in Mali (+22%), Mauritania (+23%), Nigeria (+29%) e Ciad (+31%), alle prese con il fronte jihadista.