la Repubblica, 28 ottobre 2021
La svolta dei sauditi tra idrogeno e petrolio
RIAD — I pesci tropicali che nuotano in un’acqua che più azzurra non si può. Le architetture fantascientifiche di Neom, la città del futuro, in costruzione in un’area incontaminata della costa. E poi ancora, The Line, la zona senza auto né emissioni di CO2. Vista dai saloni che ospitano la Future Investment Initiative (Fii), la conferenza che ogni anno riunisce alcuni fra i più importanti capitani d’industria e investitori di tutto il mondo, l’Arabia Saudita è il Paese del futuro. Taglio delle emissioni, energie alternative, sicurezza alimentare sono i temi al centro del dibattito: il petrolio, di cui il Paese è il maggiore produttore mondiale e da cui dipende circa l’80 per cento del Pil, qui alla Fii è quasi sparito.
Negli ultimi giorni, fra lampadari di cristallo e stucchi dorati, da questi palchi si sono susseguiti una serie di annunci spettacolari: l’obiettivo di raggiungere emissioni zero di Co2 entro il 2060, per primo. Poi quello di produrre 4 milioni di tonnellate di idrogeno verde per il 2030, diventando leader mondiali del settore. E infine due iniziative regionali del valore di più di 10 miliardi di dollari per combattere il cambiamento climatico. Una rivoluzione con cui il principe ereditario Mohammed bin Salman, che di fatto guida il Paese, punta a trasformarsi nel punto di riferimento nel campo delle energie pulite per il Medio Oriente. Tutto oggi a Riad parla di questo: i titoli dei giornali, i nuovi progetti disseminati per la città, dalle auto elettriche alla metro in perenne costruzione. Fino alle scommesse sopra le righe come la trasformazione di una delle maggiori piattaforme petrolifere nazionali in un parco divertimenti. Solo questo diventerà dunque nel futuro il nuovo “oro nero” su cui da decenni si basa l’essenza dello Stato saudita? Non proprio.
«Gli idrocarburi resteranno parte importante del nostro futuro», ha ribadito il ministro dell’Energia Abdulaziz bin Salman. E basta un giro per Riad per capire che la realtà è più complessa. In parte la racconta il King Salman Park, alla periferia della città: una zona semidesertica dove, secondo un progetto annunciato nel 2019, dovrebbe nascere un parco grande cinque volte Hyde Park a Londra e quattro Central Park a New York. Nonostante il progetto sia stato assegnato e i rendering ampiamente diffusi, l’area si distingue poco da quelle che la circondano. Parchi per bambini e qualche strada alberata: un abisso rispetto alle immagini dei giornali sauditi.
Il timore sussurrato a bassa voce fra i partecipanti della Fii è che altre idee possano fare una fine simile. Grandi promesse, grandi investimenti e risultati che faticano ad arrivare. O che si rivelano diversi da quanto sperato: «È solo quando petrolio e gas raggiungono al destinazione finale e vengono convertiti in benzina o energia elettrica che creano emissioni. Quindi le emissioni vanno a finire nel calcolo dell’inquinamento relativo al Paese che acquista non di quello che lo produce», spiega ad esempio Simon Henderson, direttore del Bernstein Program sulle Politiche energetiche dei paesi del Golfo del Washington Institute for Near East Policy, smontando la rilevanza della promessa sul taglio delle emissioni entro il 2060. Ma l’Arabia Saudita non è disposta a farsi intimidire e continua ad annunciare progetti e impegni.
Scommesse sul futuro certo, ma anche sul presente. «Dall’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi in poi, Mbs è stato emarginato dalla quasi totalità dei leader occidentali. Biden finora ha rifiutato incontri ufficiali. Ha bisogno di resettare la sua immagine nei consessi politici occidentali: ne ha provate tante, con la questione climatica però sembra aver trovato la strada più promettente, data la potenza politica del tema in Europa e negli Usa», spiega Cinzia Bianco, analista dello European Council on Foreign Relations che nei giorni scorsi ha pubblicato uno studio sul tema.
Una scommessa che vale comunque la pena di andare a guardare: se l’Arabia Saudita riuscisse a realizzare anche solo parte di ciò che ha promesso, il suo peso specifico muterebbe gli equilibri della regione in termini di energia, impatto ambientale e cambiamento climatico. E a guadagnarne sarebbero in molti: «Per rispettare i propri obiettivi climatici, l’Europa avrà bisogno di idrogeno verde. Diventare il partner principale dei Paesi del Golfo su questo darebbe all’Europa vantaggi commerciali e geopolitici enormi», conclude Bianco.