Corriere della Sera, 28 ottobre 2021
L’illusione della fine della scarsità
In uno dei libri più importanti della letteratura scientifica del Novecento, Che cos’è la vita?, il premio Nobel Erwin Schrödinger scriveva che in realtà non sono gli atomi ad essere piccolissimi, vicini a uno spessore di un decimiliardesimo di metro (l’ångström), ma siamo noi essere umani ad essere molto grandi proprio per poter sopravvivere a una scala dove le turbolenze degli elettroni non possono arrivare a scombinare le nostre giornate. Una sorta di «umanità di misura» creata dall’evoluzione. Il libro è importante per ben altro: ispirò Francis Crick, James Watson e Maurice Wilkins nella scoperta della struttura del Dna. Pochi anni prima Albert Einstein aveva anche dimostrato, con l’esempio dei due lampi che colpiscono lo stesso treno, che due eventi «simultanei» non esistono in fisica, ma dipendono dal sistema di riferimento degli osservatori. Ma quella relativizzazione della misura delle cose e del tempo non è fondamentale solo per la scienza, ma anche per l’economia: per secoli il principio di scarsità ha difatti definito il valore delle cose, il prezzo della domanda e dell’offerta. La scarsità cronica dell’oro puro in natura ha, fin dall’epoca di Creso, dato un senso alla moneta come base del commercio. Chiunque poteva trovare e scambiarsi conchiglie, ma solo in pochi potevano possedere monete coniate in oro e argento. E questa è rimasta la legge naturale della moneta fino alla fine del gold standard. Poi, pochi decenni fa, all’inizio del Duemila è arrivata la buona notizia per l’umanità: la fine della scarsità. Il digital e e la digitalizzazione dei servizi prima ma anche dei prodotti musicali, culturali, editoriali, ha promesso la replicabilità infinita delle cose, a un costo marginale vicino allo zero. Un film, non avendo più bisogno di un supporto fisico, può essere distribuito senza limiti a tutti i consumatori della Terra. A pensarci bene la stessa legge sembrava poter valere anche per i prodotti fisici: il car sharing è una forma di «replicabilità» di un’automobile che in altre condizioni sarebbe rimasta parcheggiata per il 95 per cento del proprio tempo per anni.
Peccato che il mondo si stia riempiendo sempre più di prodotti tecnologici e la crisi dei componenti per i microprocessori e l’esplosione del costo dei container sono solo indizi di un fenomeno più ampio: l’illusione della fine della scarsità.