Corriere della Sera, 28 ottobre 2021
I numeri di Taipei ne fanno un Paese?
Sembra che l’Amministrazione Biden abbia deciso di aiutare Taiwan a uscire dalla posizione di paria internazionale nella quale è relegata da quattro decenni. Martedì scorso, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha emesso un comunicato nel quale dice che l’esclusione di Taipei dai lavori di molte agenzie delle Nazioni Unite «mina l’importante lavoro dell’Onu e dei suoi organismi collegati, i quali tutti beneficerebbero grandemente dai suoi contributi». Questo dopo che lo stesso Joe Biden aveva detto di essere pronto a difendere Taiwan nel caso fosse aggredita da Pechino. Il che solleva alcune domande. È forse arrivato il momento in cui Washington si prepara a dichiarare che la Cina non è una, come ha accettato di sostenere cinquant’anni fa, ma che ce ne sono due? Ci stiamo avviando verso la fine della cosiddetta «ambiguità strategica», in base alla quale gli Stati Uniti non hanno mai reso chiaro se avrebbero reagito alla riconquista dell’isola da parte di Pechino? Ci avviciniamo addirittura a riconoscere Taiwan come Paese ormai indipendente, dopo che si staccò dalla madrepatria quando i comunisti vi presero il potere nel 1949? Taiwan ha un territorio; ha una popolazione che in grande maggioranza vuole rimanere indipendente; ha un sistema legale e ha un sistema politico democratico da tre decenni. In più è, nonostante i soli 23,5 milioni di abitanti, una potenza economica e tecnologica. Nel 1951, quando il Paese era di fatto dipendente dagli aiuti americani, il Pil pro capite era di 154dollari. Nel 2020 è stato superiore ai 28 mila dollari e se lo misuriamo in termini di parità di potere d’acquisto, siamo a 55 mila dollari nel 2019 (dati del Fondo monetario internazionale). Sempre in termini di potere d’acquisto, quella di Taiwan è la ventesima economia del pianeta. Dal punto di vista tecnologico, Taiwan ha produzioni indispensabili su scala globale: in particolare, forgia il 63% dei microchip poi utilizzati nel mondo, necessari a una miriade di settori, dai computer all’auto alla Difesa. Nonostante tutto ciò e nonostante i suoi scienziati, Taiwan non può fare parte dell’Onu e nemmeno di parecchie delle sue agenzie. Chiedere che le siano aperte almeno alcune porte, come pare essere la propensione di Washington, scatena però l’opposizione dura di Pechino: lo considera un passo verso la sovranità di Taiwan.