1 settembre 2021
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Biografia di Keanu Reeves (Keanu Charles Reeves)
Keanu Reeves (Keanu Charles Reeves), nato a Beirut (Libano) il 2 settembre 1964 (57 anni). Attore. «Vorrei fare dei film più intimi, dove per dire qualcosa non devi necessariamente far esplodere tutto» • Canadese • Figlio di un’inglese e di un hawaiano con ascendenze cinesi, inglesi, irlandesi e portoghesi. «Nato a Beirut […] dall’incontro tra un geologo e una ballerina che pensavano a una serata in compagnia e si ritrovarono con un figlio. Lo chiamarono Keanu, forma abbreviata dell’hawaiano Keaweaheulu, che dovrebbe significare “brezza leggera che sale dal mare verso i monti”. […] Si sposarono subito, ma dopo due anni finì (lei ci ha riprovato altre tre volte, poi ha smesso)» (Renato Franco). «La famiglia, che si era trasferita in Australia, si separò. La madre, Keanu e la sorella minore Kim andarono a vivere a New York. Il padre rimase a Sydney e conobbe persino il carcere, per spaccio di eroina» (Francesca Scorcucchi). «Lo rivedrà, racconta lo stesso attore, qualche volta, l’ultima quando ha 13 anni, in vacanza, poi per dieci anni nessun contatto: né una lettera, né una visita. Nel mentre, la madre si è trasferita con i figli a Toronto, Canada. Lì colleziona mariti e compagni di vita. Intanto a scuola le cose per Keanu non vanno bene: alle superiori cambia quattro istituti, lo bollano come poco intelligente, in realtà è dislessico. Per questo è costretto ad abbandonare gli studi a 17 anni senza mai conseguire il diploma. Appassionato di hockey su ghiaccio, diventa una piccola star» (Annalisa Grandi). «Avevo cominciato molto presto, quand’ero a Toronto: giocavo in porta, non malaccio, tanto che progettavano di passarmi professionista per le Olimpiadi. Mi chiamavano “the wall”, il muro. Ma è finita con un brutto incidente alle ginocchia, che tra l’altro m’impedisce da allora di praticare il surf» (a Mario Serenellini). «La mia fortuna è stata quella di avere le idee chiare su quello che volevo fare da grande, e quello che volevo fare era recitare». «Ha debuttato in Canada nel serial televisivo Hangin’ In, ma la sua vera carriera cinematografica è iniziata […] quando si è trasferito da Toronto a Hollywood» (Silvia Bizio). «A Hollywood […] ancora ragazzo ho cominciato a fare l’attore. Intanto, mia madre era diventata costumista, e io trascorrevo ore e ore negli studi di registrazione. Mi ricordo il folclore delle regine del country rock, Dolly Parton ed Emmylou Harris, e di Alice Cooper, alle prese con Welcome to My Nightmare: mi ero abituato alle stranezze, tutto mi appariva normale». «Dopo una serie di ruoli secondari, ha ottenuto la sua prima parte da protagonista in I ragazzi del fiume, presto diventato “cult movie”. Da allora, Reeves […] è stato un cortigiano del 18° secolo in Le relazioni pericolose (1989), un giovane sceneggiatore in Zia Giulia e la telenovela (1990), un agente surfista dell’Fbi in Point Break (1991), un prostituto bisessuale figlio di un sindaco in Belli e dannati di Gus Van Sant (1991). […] Ha interpretato l’affascinante Jonathan Harker nel Dracula di Francis Ford Coppola, […] il malefico Don John, il fratellastro di Denzel Washington, nel film di Kenneth Branagh Tanto rumore per nulla, da William Shakespeare» (Bizio). Nel 1993 Reeves prese anche parte a Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci, in cui «è il principe Siddharta, che dopo l’illuminazione viene chiamato Buddha. Per interpretare il ruolo di Siddharta […] Keanu Reeves ha digiunato fino a ottenere un corpo etereo, magrissimo, con i capelli lunghissimi. “Ho scelto Keanu dopo un’approfondita ma inutile ricerca in India”, ha detto di lui il regista. […] “Volevo un protagonista indiano, ma dal teatro, dal cinema, dallo spettacolo in generale, tutti gli attori che mi venivano mostrati sembravano emuli di Stallone o Schwarzenegger, che lì sono i modelli dominanti. Poi mi è venuto in mente Keanu Reeves, che ricordavo in Belli e dannati. La prima volta che l’ho visto sono rimasto colpito dalla sua innocenza. Una persona che a 27 anni non è mai uscita dal suo palazzo, che a quell’età non sa cosa sia la vecchiaia, la malattia e la morte, deve essere di una tale innocenza da sconfinare nell’idiozia”» (Bizio). L’anno successivo vide il suo primo grande successo commerciale «grazie al film d’azione Speed (quello dell’autobus con una bomba a bordo che non può fermarsi altrimenti salta in aria), che giudicò severamente sotto il profilo della qualità: “Diciamo che non è Shakespeare”, spiegò asciutto, gelando tutto l’apparato pubblicitario della produzione» (Matteo Persivale). «Anche mentre lo interpretavo avevo la testa altrove. Pensavo all’Amleto». «Il 1999 con Matrix è l’anno della consacrazione nell’Olimpo di Hollywood. […] “Ricordo di quando ho avuto a che fare con la reazione del pubblico. C’era chi non lo aveva capito e mi chiedeva spiegazioni, chi lo aveva capito subito e chi, magari anni dopo, mi ha spiegato che Matrix gli aveva cambiato la vita. A quelle persone ho sempre risposto che Matrix aveva cambiato anche la mia”. Nel 2003 arrivano Matrix Reloaded e Matrix Revolutions» (Scorcucchi). «Con il ruolo di Neo in Matrix (1999) e nei due sequel di A. e L. Wachowski, dove indossa un cappotto di pelle nera e maneggia armi con impressionante destrezza, diventa un’autentica icona del cyberpunk, operazione che non gli era riuscita in precedenza con l’analogo ruolo del protagonista di Johnny Mnemonic (1995) di R. Longo. Interpreta quindi un detective paranormale e accanito tabagista in Constantine (2005) di F. Lawrence, un dentista paranoide in Thumbsucker (2005) di M. Mills, il giovane architetto nel romantico La casa sul lago del tempo (2006) di A. Agresti, per poi tornare a un corpo maledetto e virtuale in A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare (2006) di R. Linklater e alla freddezza dell’antieroico protagonista di La notte non aspetta (2008) di D. Ayer» (Gianni Canova). Nonostante i suoi tentativi di reinventarsi come «regista di Man of Tai Chi, thriller arabescato di kung-fu, e produttore di Side by Side, inchiesta sull’epocale cine-trapasso dalla pellicola al digitale, dove, da inatteso cinefilo, intervista maestri del grande schermo, da Lynch a Scorsese, Lucas, Von Trier, Boyle, Cameron» (Serenellini), Reeves pareva ormai prematuramente avviato al viale del tramonto quando, nel 2014, la sua carriera fu rilanciata da John Wick, primo capitolo della saga d’azione di Chad Stahelski. «Un successo inaspettato. Era un revenge movie senza nessuna motivazione narrativa se non “il protagonista uccide tutti perché gli hanno fatto fuori il cagnolino”, e tanto è bastato a renderlo un cult prima sotterraneo, poi globale. […] Keanu Reeves è di nuovo una star» (Mattia Carzaniga). «È tornato anche alle commedie romantiche. Con la sua moglie cinematografica preferita, Winona Ryder. E poi è arrivato Matrix 4. […] La pandemia da Covid-19 ha bloccato le riprese sul più bello. Ma l’attesa per questo appuntamento, anche se rimandato, rimane altissima» (Sara Sirtori). Per il 2022 è inoltre previsto il quarto capitolo della saga di John Wick, «personaggio […] che non riesce a trascorrere un minuto senza prendere o dare cazzotti. “Ogni anno che passa diventa sempre più difficile per il mio fisico”, confida: “certe volte esco dal set con talmente tanti dolori da non riuscire a salire le scale di casa”» (Scorcucchi) • Primo grave lutto «a ventinove anni, quando perde per un’overdose di eroina il migliore amico, River Phoenix, il magnifico giovane attore di Stand by Me – Ricordo di un’estate. Si erano conosciuti sul set di Belli e dannati di Gus Van Sant» (Scorcucchi) • Ancora più dolorosi gli anni successivi. «Alla fine degli anni ’90, Keanu aveva conosciuto […] Jennifer Syme, […] che allora lavorava come assistente del regista David Lynch. Colpo di fulmine, e l’arrivo di una bambina: la vita sembrava perfetta. Purtroppo, la figlia della coppia, Ava Archer Syme-Reeves, è nata morta a 8 mesi il 24 dicembre 1999. Da quel momento la vita della Syme e di Reeves non è stata più la stessa. Poco dopo la fine della loro storia, Jennifer è morta in un incidente stradale. Stava tornando alla festa a base di droghe e alcol, a casa di Marilyn Manson, dalla quale era stata appena portata via da alcuni amici. Uno schianto contro altri veicoli parcheggiati: la morte è stata istantanea. Nell’auto altro alcol e altra droga. […] Keanu Reeves è rimasto schiacciato da questo avvenimento. […] “Il dolore cambia forma, ma non finisce mai”, ha dichiarato» (Sirtori) • «La sorella di Keanu Kim (di due anni più giovane di lui), a cui il divo è legatissimo, è malata di leucemia. La malattia le è stata diagnosticata nel 1991, nel 1999 era considerata in remissione. Da anni Kim vive in Italia: nel 2018 l’attore venne fotografato a Roma, insieme a lei, in lacrime in strada. E in precedenza, nel 2017, dopo essere stato ospite al Festival di Sanremo, era corso nella capitale per andare a trovare sempre Kim, allora ricoverata al Policlinico Gemelli» (Grandi) • Dal 2019 è sentimentalmente impegnato con l’artista Alexandra Grant (classe 1973), alla quale era stato in precedenza legato per una decina d’anni da un rapporto d’amicizia • «Non ha abbandonato l’idea di avere un figlio, ma “da ragazzo ho sofferto separazioni e distacchi in famiglia, e vorrei un figlio soltanto se le circostanze mi offrissero un rapporto stabile e complice in ogni aspetto dell’esistenza quotidiana”» (Giovanna Grassi) • «Lineamenti perfetti ed esotici, […] espressione imperscrutabile» (Maria Pia Fusco). «Da qualche anno a questa parte Reeves nasconde il volto dietro una zazzera lunga e una barba incolta, nerissime entrambe [da ultimo, in realtà, la sola barba è brizzolata – ndr], e forse è questa – la probabile tinta – il suo unico vezzo. Un contrasto evidente con la chioma di quella che, nelle pagine di cronaca rosa, è descritta come la sua nuova fidanzata, l’artista Alexandra Grant. […] L’argento dei capelli della donna è stato oggetto di feroci critiche. Persino il fatto che fra i due passino “solo” otto anni, che Reeves non faccia come il collega DiCaprio che sostituisce la fidanzata – sempre ventenne e bionda – a ogni cambio dell’armadio, ha suscitato commenti e critiche» (Scorcucchi) • Autore di due libri, Ode to Happiness (2011) e Shadows (2014), illustrati dalla Grant. «“M’immergo in un caldo bagno di dolore/ nella mia stanza della disperazione/ con la mia candela dell’infelicità che brucia/ lavo i miei capelli con lo shampoo del rimpianto/ dopo essermi pulito con il sapore del dolore”. Questa […] è la prima strofa della poesia Ode alla felicità di Keanu Reeves. […] Alexandra aveva illustrato le poesie di Keanu, con disegni così annacquati che sembravano sciolti dalle lacrime. Però lui spiega: non era tristezza vera. “Era solo sarcasmo e voglia di fare ironia”. […] Nel 2015 lui e Alexandra Grant collaborano a un secondo volume, Shadows, e l’anno seguente fondano insieme una casa editrice di libri d’arte, la X Artists’ Books» (Scorcucchi) • Reeves è inoltre, insieme a Matt Kindt, ideatore e autore della serie di albi a fumetti BRZRKR, illustrati da Ron Garney, dalla quale Netflix ha deciso di trarre una serie, il cui protagonista dovrebbe essere lo stesso Reeves. «Il fumetto, intitolato BRZRKR (da pronunciare “berzerker”), racconta le imprese di un guerriero immortale, in tutto simile a Reeves, che cerca di scoprire le sue origini e vorrebbe tanto farla finita, dopo secoli e secoli di vita» (Riccardo De Palo) • Molto riservato. «Keanu Reeves scende in moto dalla sua casa sulle colline di Hollywood, va nelle librerie che predilige, non frequenta night o tappeti rossi se non per le prime dei suoi film» (Grassi). «Mi piace stare seduto in poltrona e guardare fuori dalla finestra, per ore. Mi piace essere contemplativo. […] Sono un po’ timido, sicuramente introverso» • Notoria la sua prodigalità. «Reeves, senza mai mettersi in mostra nelle sue azioni generose, ha donato molti soldi a persone in difficoltà. L’ha fatto iniziando proprio da chi gli è vicino tutti i giorni sul set, ascoltando i problemi quotidiani degli altri e osservando quello che lo circonda. Un’empatia che l’ha portato anche a trascorrere alcune ore con un senzatetto e condividere la colazione con lui» (Enrico Rossi). «Al termine delle riprese dei due sequel di Matrix regala a ogni stuntman – una ventina in tutto – una Ducati nuova fiammante» (Persivale). «Ho una fondazione con la quale aiutiamo i bambini bisognosi di Los Angeles ad avere un’istruzione, e ci occupiamo anche della loro salute. Poi svolgo attività in difesa dell’Amazzonia e in aiuto delle comunità indigene che vivono in quell’area» • «Uno dei personaggi più anomali, deliziosi, inquieti e fuori dal coro che l’industria del cinema abbia mai saputo concepire. […] Dei soldi, non gli importa. Del suo ingaggio per Matrix, il film che nel 1999 lo rese famoso, ha regalato 80 milioni di dollari (su 114) in beneficenza: “Con quello che ho già guadagnato potrei vivere le prossime 100 vite”, dice. A chi gli chiede il perché di tanta generosità, risponde: “Perché mi va”» (Scorcucchi) • «Sono depresso solo quando leggo chi mi descrive come un individuo infelice, che deve fare i conti con la morte di persone a lui care e con una malinconia perenne. Ho una vita serena, in verità, e tendo all’isolamento, ma non sempre. Quando organizzo con gli amici scorribande in moto sulle strade della California mi sento pieno di energia e prospettive» • «Il tempo che scorre inesorabile è fonte di riflessioni: “La decade dei cinquanta si sta facendo notare. È iniziata con campanelli fisici, a un certo punto non ero più così flessibile, e poi ho iniziato a pensare che un giorno non sarò più parte di questo mondo. Prima non ci avevo mai pensato. Non ho rimpianti, però: quelli, vengono solo quando non vivi appieno la vita, e allora in occasione della crisi di mezza età ti compri un’auto sportiva”. In realtà, Keanu Reeves, la crisi di mezza età, l’aveva già subita un decennio prima. Compiuti i 40, si era comprato una Ferrari, poi una Porsche: “Le avevo anche dato un nome, si chiamava The Sled, la slitta, ma mi è stata rubata”» (Scorcucchi) • «Ama le gare di Formula Indie e le motociclette, con le quali non è raro vederlo sfrecciare per le strade di Los Angeles. Su una di queste ebbe anche un incidente piuttosto serio, uno scontro con un’auto che gli provocò la rottura di un incisivo e una ferita alla gamba destra» (Scorcucchi). «Sono un motociclista spericolato, fan delle Norton, la moto per eccellenza, e adesso anche costruttore dilettante di cilindrate» • Altra sua grande passione quella per la musica. «“A ventitré anni mi ero comprato una chitarra sul Sunset Boulevard. Volevo imparare. M’incantava Peter Hook, bassista dei Joy Division, specie in pezzi come Love Will Tear Us Apart, Ceremony, Atmosphere. Qualche tempo dopo scopro un vicino con la maglietta da hockey. Anche lui è attore: Robert Mailhouse. Siamo diventati fratelli di hockey e di musica”. Dopo i primi album, Our Little Visionary del ’96 e il successivo Happy Ending, […] la musica […] è rimasta solo un hobby? “Sono stato bassista di band come i Dogstar o i Becky e ho contribuito al repertorio con le mie ‘ditties’, canzonette. Abbiamo inciso dischi. Ce la spassiamo. Questo è hobby? Non so. Ci facciamo pagare: questo è professionismo? Okay, diciamo che è un hobby professionistico”» (Serenellini) • Particolare predilezione per William Shakespeare, e in particolare per Amleto. «“Ne conosco a memoria sonetti e soliloqui, in viaggio ne ho sempre una copia con me, mi piace recitarne i passaggi a voce alta quando sono in camera da solo”. […] Ha a che fare anche con le sue vicende familiari? Madre risposata, padre fantasma… “Vero. Quel che ho scoperto nel recitare Amleto è che si è fatto carico per me di tutta la rabbia che sentivo nei confronti di mia madre. Ne sono stato sorpreso: era già tutto lì dentro e non me ne ero mai accorto”» (Serenellini) • «Attore dallo sguardo imperscrutabile, dimostra un solido talento interpretando una sorprendente varietà di ruoli» (Canova). «Keanu emana un’intelligenza emotiva viscerale, rintracciabile solo tra i migliori attori dotati di talento naturale» (Bernardo Bertolucci). «Keanu ha qualcosa di monastico. Per certi versi è un eremita. Ed è un ottimo strumento nelle mani di un regista: è sensibile come uno Stradivari» (Alfonso Arau). «Non è mai stato un interprete eccelso, ma ha marcato come pochi altri la storia cinematografica di fine Novecento. Basta una parola: Matrix. Non è mai sembrato il tipo che fa calcoli di carriera, ma si è mosso, forse per caso o per colpi di fortuna, tra cinema d’autore e blockbuster pop senza strategia e senza snobismo, dunque alla fine con una certa intelligenza» (Carzaniga) • «Finora è stato in gara per riconoscimenti come “peggior attore protagonista” (Razzie Awards). Sul red carpet degli Oscar è stato soltanto in veste di accompagnatore, e non di candidato» (Paola Caruso) • «Tra i registi con cui ha lavorato, ce n’è qualcuno più importante di altri? “Ce ne sono tanti: ci sono Bertolucci e Frears, che mi hanno introdotto al cinema europeo, Branagh mi ha fatto esplorare Shakespeare, ai fratelli Wachowski devo l’avventura di Matrix. Non posso nominarli tutti. Uno che mi è particolarmente caro è Gus Van Sant: con lui ho fatto Belli e dannati, con River Phoenix. Era il mio migliore amico, ancora mi manca”» (Fusco) • «Ho superato, me ne stupisco sempre, i 50 anni […] e non credo di voler continuare a essere un attore in primis di storie d’azione, né ho accantonato l’idea di passare dietro la cinepresa in un film indipendente» • «Non tutti i sogni di ragazzo si sono infranti: mi è rimasto quello di andare nello spazio. Non dispero un giorno di realizzarlo» • «Inforco la moto appena posso, in ogni scampolo di tempo libero, quando ne ho abbastanza del cinema, della chitarra e persino di Amleto. Di giorno, di notte, prendo e, in un ruggito, via dalla città. Assaggi di catarsi: tutto alle spalle».