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 2021  settembre 21 Martedì calendario

Biografia di Roberto Saviano

Roberto Saviano, nato a Napoli il 22 settembre 1979 (42 anni). Scrittore. Giornalista • «Il profeta televisivo, l’eroe della repubblica dei buoni, la star dei festival letterari» (Luca Mastrantonio, Corriere della Sera, 27/8/2013) • «Il sogno di qualunque giovane giornalista di razza dovrebbe assomigliare al profilo di Roberto Saviano: sguardo limpido, fiuto per scovare le storie, abilità e simpatia per trattare con le fonti e una penna capace di trasformare ogni reportage in buona letteratura» (Pablo Ordaz, El Pais, 16/2/2014) • Enorme successo con il best seller Gomorra (Mondadori 2006), romanzo-inchiesta sulla camorra, da cui sono stati tratti uno spettacolo teatrale, un film e una serie tivù di Sky. Dal 13 ottobre 2006, per via delle minacce ricevute dal clan dei Casalesi, vive sotto scorta. Tra le sue altre opere: i romanzi ZeroZeroZero (2013), La paranza dei bambini (2016) e Bacio feroce (2017); le raccolte di racconti Il contrario della morte (2007) e SuperSantos (2012); il libro testimonianza In mare non esistono taxi (2019); il saggio Gridalo (2020); i fumetti I teschi dei ladri (disegni di Tanino Liberatore, 2021) e Sono ancora vivo (disegni di Hanuka A., 2021). Un David di Donatello per la sceneggiatura di Gomorra (Matteo Garrone, 2008) e un Orso d’argento a Berlino per quella di La paranza dei bambini (Claudio Giovannesi, 2019). In televisione ha condotto, assieme a Fabio Fazio, Vieni via con me (Rai 3, 2010) e Quello che (non) ho (La7, 2012). Ha scritto per la Repubblica, L’Espresso, il Washington Post, il New York Times, El País, Die Zeit, The Guardian e The Times. Dal 2021 è collaboratore del Corriere della Sera • Ha detto: «Volevo diventare uno scrittore e mi è toccato in sorte di essere un testimone».
Titoli di testa «Mi sta sui coglioni, però è bravo. È un esibizionista, un attore, si mette lì, con la barba lunga. È uno che recita il suo personaggio, gli piace fare il carbonaro, il perseguitato, eppure, non fa altro che andare in giro a fare conferenze. Ha il difetto tipico degli intellettuali: credersi i salvatori del mondo. A me i suoi libri danno noia perché sono barocchi: io sono piemontese e lui è napoletano. Questa è la differenza» (Giorgio Bocca).
Vita «Sono nato a Napoli, nella clinica Mediterranea. Poi ci trasferimmo quasi subito nel Casertano, dove ho trascorso infanzia e adolescenza. La mia era una famiglia particolare, nata dall’innesto di una doppia radice, non solo geografica ma anche sociale e sentimentale» (a Simonetta Fiori, il venerdì, 20/9/2019). La madre, Maria Rosaria Ghiara, professoressa di mineralogia, origini liguri ma nata a Trento, ebrea sefardita ma di famiglia laica, «figlia dell’Italia illuminista e di tradizione mazziniana», «bellissima e colta, da piccolo mi infastidiva che gli uomini la guardassero», «incarnava il Nord, la razionalità pura della scienza, l’operoso rigore di una donna che si era costruita con la sua sola forza e quella della sua passione per i minerali». Il padre, Luigi, medico di famiglia, «rappresentava al contrario istinto e ferinità, la vita contadina del Mezzogiorno, miseria, stenti, fatica, il dialetto stretto delle sue parti», «con lui ho imparato a correre, a giocare a calcio, a tenere il volante dell’auto, a leggere le contraddizioni e le mille facce della realtà». «Mio padre è stato il lato lupesco della mia formazione, anche se lo ricordo timido, estraneo all’arroganza diffusa […] Un giorno eravamo a pranzo in un ristorante vicino a Castel Volturno quando d’un tratto lo vidi diventare molto nervoso. Erano entrati due camorristi e lui non sopportava l’idea che fossero serviti al tavolo prima di noi. Pativa il sistema e lo interiorizzava, ma non c’era in lui l’elemento della sfida o della rottura. Quello l’avrei introdotto io più tardi con la denuncia. Mio padre soffriva la sua diversità perché in quelle terre la diversità si pagava a caro prezzo» • «Mi piace pensare di essere stato il frutto di una grande passione, anche di un’intesa fortemente carnale. Quando i miei genitori si separarono non provai sofferenza. L’ansia non arrivava dal conflitto famigliare, ma dalla zona di guerra che era allora il Casertano. I miei zii mi hanno raccontato che da bambino ero ossessionato dai morti a terra. “Lo vedi quell’incrocio”, dicevo a zio Umberto passeggiando per Casal di Principe, “là hanno ammazzato uno”. E poco dopo: “E da quella parte ho visto morire un altro”. Mio zio preoccupatissimo chiese a mia madre: ma al bambino che film fate vedere? Purtroppo non era cinema, ma la guerra di mafia. Il sangue non mi impressionava perché era come il primo nudo di donna o la sigaretta proibita: mi faceva sentire grande. E io non vedevo l’ora di crescere, di capire le cose». «Ora vedo tutto con un’altra percezione, ma allora ero stordito. Sentivo il dolore di non saper menare o maneggiare un coltello, di non essere all’altezza della vita di strada. In prima media un ragazzino mi riempì di botte. “A limoò”, mi urlò alle spalle, alludendo alla mia testa a forma di limone. “A limooò”. E io risposi: “A maammetaa”. Allora lui mi afferrò il capo colpendolo con forza ripetutamente. Finsi di svenire. Credendomi morto lui scappò via terrorizzato. Mi rialzai tutto sgommato di sangue, ma avevo paura di tornare a casa perché non avevo vinto io, aveva vinto l’altro. Io ero un perdente». Dopo la separazione dei genitori, Roberto e suo fratello Riccardo crescono con la madre, la zia Silvana («Ancora oggi zia Silvana vorrebbe sapere se mangio, se mi copro bene e se non metto i gomiti sul tavolo») e il nonno materno, Carlo Ghiara, colonnello carrista nella seconda guerra mondiale. «Era partito volontario su qualsiasi fronte, dalla Grecia all’Africa Orientale. Da lui credo di aver ereditato la dimensione naturale della pugna, del combattimento, anche se la mia è una battaglia fatta di parole, di scrittura. I suoi cugini erano andati a lottare in Spagna nel 1936 al fianco dei repubblicani anarchici. Anarchico era stato anche suo padre, mio bisnonno, cacciato da New York perché indesiderato: distribuiva volantini a favore di Gaetano Bresci, l’assassino di Umberto I. Quando ero bambino, nonno Carlo mi fece leggere una pagina del diario di Felice Orsini, l’attentatore dell’imperatore Napoleone III. Una frase la porto sempre con me: “Non mi piace il mare se non quando è in tempesta”. Da vecchio riconosceva in me tratti della sua irrequietudine che l’aveva portato a cercare fronti dove combattere, a lasciare un lavoro sicuro, e una sera me lo disse: “Sono preoccupato, e molto”. “Perché?” gli chiesi. “Perché sei uguale a me”» • Roberto studia al liceo scientifico Armando Diaz (compagno di banco del fratello minore di Pietro Taricone, Maurizio). Poi si iscrive alla facoltà di filosofia della Federico II (allievo del meridionalista Francesco Barbagallo), fa l’Erasmus a Düsseldorf, in Germania, si laurea in soli tre anni. «Alla maturità ottenne un punteggio poco superiore alla sufficienza, 42. Ottimi voti in italiano, ma pessimi nelle materie scientifiche e in tedesco. “Gli ho messo anche un 3 e qualche 4, non era particolarmente ferrato” ricorda il docente di matematica, Luciano Antonetti. Sul suo banco c’erano scritte e slogan contro la Chiesa e gli Stati Uniti, però Roberto era orgoglioso del suo giubbotto verde della squadra di basket dei Boston Celtics e qualcuno lo trovava incoerente. All’epoca aveva i capelli ricci e lunghi. Girava col Manifesto sottobraccio: con il quotidiano comunista riuscì addirittura a collaborare grazie all’intercessione dell’allora assessore regionale di Rifondazione Corrado Gabriele» (Giacomo Amadori e Simone Di Meo, Panorama, 26 novembre 2018). Il giovane Saviano, infatti, è di ultrasinistra. A 17 anni legge tutto Il Capitale di Marx. Anche se lui, da grande, non ne parlerà più, il Partito marxista leninista ricorda di quando, da studente, scriveva al giornale Il Bolscevico definendosi «un ragazzo da sempre impegnato nella lotta di classe e militante della sinistra rivoluzionaria extraparlamentare», diceva di sentirsi «guevarista/trotzkista», prometteva di affiggere i manifesti del partito «alla prima notte propizia» e di lottare «con tutte le mie forze per la rivoluzione proletaria e per una scuola libera e gratuita», annunciava di volersi iscrivere a filosofia «per approfondire i padri del socialismo» e chiedeva che il Partito gli inviasse il Libretto Rosso di Mao e i ritratti di Marx, Engels e Lenin. Nel 2000, durante un convegno alla Federico II dal titolo Terrorismo ieri, oggi, domani?, davanti a giornalisti, storici, politici e magistrati, Roberto prende il microfono, e difende i terroristi rossi: «Erano la parte sensibile di un grande movimento operaio di cui il Pci con la sua scelta socialdemocratica aveva tradito le aspettative rivoluzionarie. La rivoluzione si fa con il fucile. La polizia sparava per le strade, la polizia uccise Francesco Russo, Giorgiana Masi, quindi la polizia era armata. Chi faceva resistenza doveva armarsi. In fondo non è che un magistrato, un poliziotto, un politico, fanno qualcosa di più lecito, se parliamo di etica, di quello che fa un rivoluzionario sparando» (vedi l’archivio di Radio Radicale, qui le parole di Saviano) • Subito dopo gli studi le prime collaborazioni giornalistiche e i primi pezzi dal ventre di Napoli. Il suo primo giornale è il Corriere del Mezzogiorno, edizione locale del Corriere. «Ricordo quando aspettavo accanto alla sua scrivania che Mirella Armiero, la responsabile della pagina culturale, tornasse dalle riunioni per raccontarle quello che osservavo in giro nei quartieri. Lei ascoltava incredula, però mi dava fiducia e, minuta dietro i suoi occhi chiari, difendeva il mio lavoro dalle insinuazioni e dalla diffidenza. Volevo che gli articoli fossero pubblicati in cultura, non in cronaca. Mi ricordo l’Osservatorio sulla Camorra, i primi articoli. Ero laureato da poco, stavo cominciando una ricerca con lo storico Francesco Barbagallo da cui ho molto imparato, autore di due libri fondamentali per conoscere la camorra ma sarebbe meglio dire per conoscere la storia del nostro Paese attraverso il potere criminale. Iniziai a proporre pezzi di ricerca e analisi, cercavo di sperimentare un nuovo approccio al tema oltre la cronaca giudiziaria, oltre l’inchiesta, disinteressato agli scoop. Insomma nasceva forse il mio genere di scrittura proprio da queste pagine…» (a Enzo d’Errico, Corriere del Mezzogiorno, 23/1/2021). Si sintonizza sulle frequenze della polizia per arrivare con la sua Vespa insieme alle pattuglie sui luoghi dei delitti, studia le carte giudiziarie. Free-lance, scrive anche per Lo Straniero, la rivista diretta da Goffredo Fofi, e pubblica un racconto nella raccolta Napoli comincia a Scampia (l’Ancora del Mediterraneo 2005). Nell’agosto 2005 è vittima di un’aggressione durante un servizio: dopo aver intervistato gli ormeggiatori a Mergellina, molti sotto inchiesta per abusivismo («Mi informavo sui prezzi»), viene accoltellato a un braccio da un rapinatore a cui stava consegnando cento euro • Roberto, però, più che il gironalista, vuole fare lo scrittore. Scrive dei racconti e li manda a Goffredo Fofi perché li legga. «Erano di stile surreale, onirico, alla Tommaso Landolfi, uno degli scrittori più originali e misteriosi che l’Italia abbia avuto. Fofi gli rispose di lasciar perdere il gotico ciociaro risciacquato in Arno di Landolfi e di aprire la finestra della sua stanza e scrivere di quello che vedeva affacciandosi. Saviano lo prese in parola e si guardò intorno. Così nacque Gomorra» (Antonio D’Orrico, Corriere della Sera, 6/4/2013) • «L’ho scritto nei Quartieri Spagnoli a Napoli, in una casa in piazza Sant’Anna di Palazzo. L’ho scritto soprattutto con un intento letterario: raccontare la vita attraverso uno stile che mettesse insieme il rigore della realtà e la suggestione della letteratura, il fascino del romanzo; la concretezza del dato e lo slancio della poesia. Desideravo raggiungesse una verità assai più complessa di quella che possono veicolare un saggio, un’inchiesta, articoli di giornale. Fui colto da una sorta di demone, lo stesso che s’impossessa sempre dello scrittore e a cui lo scrittore non può sottrarsi se non assecondandolo: volevo incidere sulla carne del reale, lo volevo più di ogni altra cosa» (a la Repubblica, 10/5/2016) Gomorra è inserito dal New York Times e dall’Economist tra i migliori cento libri del 2007. In Gran Bretagna è censurato (l’editore teme che fare il nome di un boss non ancora condannato possa portare all’accusa di diffamazione). Più tradotto del Manzoni (è arrivato in 43 paesi), supera in Italia il milione e mezzo di copie. Vince, oltre al Viareggio Opera prima, i premi Giancarlo Siani, Stephen Dedalus. «La cosa più bella è stata vedere gli spacciatori di Secondigliano con il mio libro tra le mani». La vita di Roberto in pochi mesi cambia radicalmente. «Se il libro fosse rimasto confinato al paese, a Napoli, alla mia realtà locale, allora gli andava anche bene, anzi, i camorristi se lo regalavano tra loro, contenti che si raccontassero le loro gesta. Avevano perfino cominciato a farne delle copie taroccate da vendere per la strada e un boss aveva rimesso le mani in un capitolo riscrivendosi alcune parti che lo riguardavano». Arrivano le prime lettere minatorie, telefonate mute. I boss hanno mal tollerato il successo del libro che ha imposto i loro traffici all’attenzione nazionale. E sono «infuriati per la sfida che Saviano ha portato nel loro feudo, nella Casal di Principe che negli anni Novanta aveva il record di omicidi» (l’Espresso). Sul palco accanto a Fausto Bertinotti, il 23 settembre, chiama i padrini per nome ed esclama: «Non valete niente, ve ne dovete andare da qui». In ottobre gli viene assegnata la scorta e il ministero dell’Interno caldeggia il suo trasferimento, lontano da Napoli. Ora, per una sua visita a Casal di Principe, devono essere schierati i cecchini sui tetti. «Pensa che mi fecero fare testamento a 27 anni, quando arrivò la condanna dei casalesi. Un consiglio della sicurezza: vai dal notaio e risolvi le tue cose, così stai più sereno. Sereno? Ma chi è che fa testamento a quell’età?».
Amore Si è vociferato di suoi flirt con Sofia Passera, figlia di Corrado Passera, e con l’europarlamentare del Pd Pina Picierna. Ora pare che stia con tale Maria Di Donna, classe 1972, cantante, ex membro dei 99 Posse, si dividono tra Roma e New York.
Politica Si è opposto a Berlusconi, Salvini («il ministro della malavita») e De Magistris. Ha appoggiato lo Stato di Israele, la cannabis legale, il movimento Occupy Wall Street, le Sardine, il sindaco di Riace Mimmo Lucano, il ddl Zan. La sinistra ha più volte tentato di candidarlo, ma lui s’è sempre negato.
Religione Ateo. Legge spesso testi religiosi ebraici. «In uno dei racconti che mi piace di più ci sono due rabbini che dibattono se un forno per alimenti, in formelle sigillate con sabbia, sia puro o impuro. Uno dei due dichiara: “Se ho ragione io, che il fiume cambi corso”. E d’improvviso il fiume cambia corso. “Se ho ragione io, che gli alberi abbiano le radici in cielo e le fronde in terra”. E gli alberi fanno un gran rumore, si sradicano e si ribaltano. Gli studenti che osservano la scena sono immobili. Il rabbino insiste: “Se ho ragione, che Dio dica con la sua voce che ho ragione”. E il cielo si apre e Dio dice: “Hai ragione”. Al che gli studenti dicono: “Vabbè, abbiamo visto, ma ora dimostracelo” Questa storia descrive il mio modo di sentire. Non c’è obbedienza, neanche la voce di Dio può dirmi che una cosa è giusta, ci si deve arrivare attraverso il continuo ragionare intellettuale ed empirico. È un continuo combattere con l’angelo della verità”».
Vizi Ha confessato di aver fumato canne e di non disdegnare i film porno. «Il suo rapporto con il cibo è complicato come quello dei bambini. Accade che lui ti chiami e ti chieda di andarlo a trovare nella sua tana del momento: “Sono solo. Non mi va di rompere le palle ai ragazzi. Perché prima non passi da un cinese? Va bene anche un Big Mac”. La stranezza non è in gusti gastronomici così corrivi. Semmai nel modo con cui Saviano tratta quella sbobba. Mangia con gli occhi più di quanto non faccia con la bocca. Si avventa sul cibo con aria famelica, ma si sazia subito» (Alessandro Piperno, Corriere della Sera, 24/12/2008).
Curiosità Alto 1 metro e 70 • L’Unione Astronomica Internazionale gli ha dedicato l’asteroide 278447 • Suo padre, Luigi, fu sospettato di avere rapporti con giudici tributari coinvolti in un’inchiesta per riciclaggio di denaro gestito dalla camorra. Le indagini accertarono poi che la persona sospettata era un omonimo • Il fratello Riccardo oggi fa l’infermiere • È finito nell’album Fenomeno di Fabri Fibra (tiene un monologo a favore della cannabis legale) • Oggi il Partito Marxista Lenisista lo accusa di vergognarsi del suo passato «di fronte alla classe dominante borghese, nazionale e internazionale, che lo ha accolto nei suoi “salotti” più prestigiosi» • Le sue serie tivù preferite: Breaking Bad, Mad Men, The Americans, I Borgia • Per ogni puntata di Vieni via con me la Rai gli pagava 80 mila euro • Tifa per la squadra di pallacanestro di Caserta. Nel calcio si è detto «grande tifoso del Napoli e della Nazionale, specie quando giocano calciatori meridionali» • Ha praticato basket, pugilato e pallanuoto • «Ogni tanto prendo dei tranquillanti per dormire. Non me ne vergogno: la mia è una situazione insopportabile» • Al collo porta una piastrina militare con nome, cognome, gruppo sanguigno, una frase latina di Terenzio: «Che nulla di umano sia a me estraneo». «L’ho voluta dopo essere stato ai funerali di un pugile di San Prisco saltato su una mina in Afghanistan» • «Ho capito che la fama è una cosa terribile un giorno in cui ero con la mia scorta in un ristorante, una persona a distanza riprendeva con l’iPhone tutto il tempo. Il mio caposcorta evitò di intervenire. Alla fine gli chiesi “ma cosa ci fai con questa ripresa?” Mi rispose “a casa leggo il labiale, così capisco cosa vi siete detti a pranzo”. Ecco, la fama è anche questa brutta roba. Morbosità».
Titoli di coda «Ogni tanto annuncia (via sms) che ha un brutto presentimento. Lo chiami e lui non risponde. Altre volte ti spiega con tristezza, come se la cosa non lo riguardasse, che è inutile farsi illusioni, tanto quelli “non dimenticano”. Sicché dalla sua enciclopedia dell’orrore stipata di atti criminosi tira fuori un paio di storie istruttive: “Ale, si tratta di persone dotate di una pazienza infinita. Quando tutti si saranno stancati di questa storia, loro agiranno. Te l’ho detto, per i casalesi tutto è cinema. L’happy end è il mio cadavere”» (Piperno).