23 settembre 2021
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Biografia di Sergio Lepri
Sergio Lepri, nato a Firenze il 24 settembre 1919 (102 anni). Giornalista, saggista e accademico italiano. Direttore dell’Ansa dal 1961 al 1990.
Titoli di testa «Sergio Lepri, lei va per i 101 anni. Qual è il segreto della longevità? “Poco cibo, un bicchiere di vino rosso, molto sport”.
Vita Figlio unico di un papà contabile e di mamma casalinga: «In casa non c’era la luce elettrica, il fuoco si accendeva col carbone, ci si lavava con l’acqua fredda. Niente carta igienica, ci si puliva con il giornale, per chi lo comprava» [Concetto Vecchio, Rep] • È nato nella stessa via di Ettore Benabei, due anni prima • «Che ricordi ha del fascismo? “Ci aiutavano i silenzi. Mio padre non lo amava, infatti non lo nominava mai. A scuola avevo dei professori fascisti, che ne tessevano le lodi, e antifascisti, che invece non ne accennavano mai. Il silenzio come unica possibilità di manifestazione di idee. E poi rammento l’indifferenza, cioè l’accettazione passiva dei provvedimenti del regime, perfino, nei primissimi giorni, delle leggi razziali. La dittatura ti toglie la libertà, ottunde”» [Vecchio, cit.] • Si laurea con una tesi sull’estetica di Croce. «Il relatore, che pure mi aveva dato 110 e lode, mi disse: “Lei l’ha distrutta senza costruirne una sua’. Pensai: ’Mi dia tempo, ho solo vent’anni”» [Vecchio, cit.]. Era il mattino del 10 giugno 1940, «nel pomeriggio Mussolini dichiarò guerra» [Cazzullo, cit.] • Non entra nel corso allievi ufficiali perché troppo basso: «L’altezza minima, che prima era un metro e 54 come quella del re, era stata portata a un metro e 60; e io ero un metro e 59 e otto millimetri […] Mi mandarono al reggimento. Caporale, caporalmaggiore, sergente: ufficio operazioni comando della Quinta Armata. E posso dire che la storia dell’armistizio a sorpresa e dell’esercito lasciato senza ordini è un po’ una leggenda autoassolutoria: già nella notte tra l’11 e il 12 agosto arrivò l’ordine per le divisioni costiere di ruotare l’artiglieria di 180 gradi. I cannoni non erano più puntati sul mare in funzione antisbarco; perché gli Alleati non erano più nemici» [Cazzullo, cit] • «Lei cosa fece l’8 settembre? “Scappai a piedi, da Firenze a Reggello. Mi nascosi nella villa di un amico, anche lui disertore. Venne il maresciallo dei carabinieri a dirci: ‘Ho l’ordine di arrestare tutti i giovani sbandati. Ma sono le 5 del pomeriggio, e ho molto da fare. Tornerò domattina’. Era un chiaro invito a sparire. Così salimmo sul Pratomagno, la montagna nell’ansa dell’Arno, un posto bellissimo. Ogni quindici giorni un poliziotto passava da mia madre Ida a chiedere dove fossi» [Cazzullo, cit] • «Sono scappato in montagna con Luigi Orsi Battaglini, il cugino di Spadolini. Nello zaino militare avevo con me due libri, Ossi di seppia di Montale e La scuola dell’uomo di Guido Calogero. Braccati da un reparto nazista, mi chiesero di tornare in città a dirigere il giornale clandestino del Partito liberale, L’Opinione» [Vecchio, cit.] • Poi diventa giornalista e subito dopo direttore: «Fare un giornale e distribuirlo, a quei tempi, significava rischiare la vita» [Manca, Fatto] • «Accettai di dirigere il giornale clandestino dei liberali, L’Opinione. A Firenze la guerra civile aveva una sua moderazione. Fino a quando non fucilarono cinque renitenti alla leva, e i partigiani risposero uccidendo Giovanni Gentile […]. Un episodio della guerra partigiana. Deciso a Firenze, non ordinato da Togliatti. Come studente di filosofia ammiravo Gentile, ma aborrivo le sue idee politiche. Fu un grande maestro; ma fu un cattivo maestro» [Cazzullo, cit] • Dopo la Liberazione lavora per il Giornale del Mattino: «Fu il primo giornale moderno: grandi foto, titoli secchi, inserto della domenica, pagina dei ragazzi, e pure il cruciverba. L’editore non era la Dc ma Montini, il futuro Papa: era stato lui a trovare i soldi; però collaboravano laici come Manlio Cancogni e Carlo Cassola. Io ero il caporedattore, mi affidavano anche lunghe inchieste. Nel 1952 passai tre mesi negli Stati Uniti, evitando con cura New York e la California. Mandai 26 articoli, tutti dall’America sconosciuta: il Kentucky, l’Illinois. Lavorai per due settimane al quotidiano di Florence, Alabama. Mi chiesero un articolo su Firenze e lo misero in prima pagina, con la mia foto: il mattino dopo, per strada, mi salutavano tutti. Poi mi chiesero un articolo sulla loro città [scrissi] che le ragazze erano tutte belle ma tutte uguali: stessi sorrisi, stessa pettinatura, stesse scarpe da tennis bianche con striscia colorata... Il mattino dopo per strada la gente si voltava dall’altra parte. Dovetti andare nell’aula magna del college a chiedere scusa alle studentesse» [Cazzullo, cit] • Per qualche tempo fece il portavoce di Amintore Fanfani, poi nel 1958-59 divenne capo del Servizio stampa della presidenza del consiglio. La passione politica però viene a mancare e accetta la poltrona da direttore dell’Ansa, vacante da due anni. «Non la voleva nessuno: lo stipendio era basso, la redazione piccola» [Cazzullo, cit] • «Ho assunto più di seicento giornalisti. Diventammo la quarta agenzia al mondo, davanti alla Dpa tedesca e all’Efe spagnola, con corrispondenti da tutte le capitali» [Cazzullo, cit] • Ai redattori che assumeva ripeteva le stesse due raccomandazioni nel suo italiano perfetto, appena addolcito dall’accento toscano: «Figlioli, dovete scrivere una notizia che possa essere pubblicata sia dal Popolo democristiano che dall’Unità comunista. Cioè una notizia che sia notizia, che racconti il fatto, senza interpretarlo». La seconda raccomandazione è diventata proverbiale: «Non conosco le sue idee politiche e non le voglio conoscere. Soprattutto non le voglio conoscere dalle notizie che scrive» [Manca, cit.] • Raccoglieva le notizie che secondo lui erano scritte male in un librone rilegato, il terrore di tutti, fino a quando il comitato di redazione chiese, imbarazzato, di metterci la parola fine [ibid.] • In un’intervista a L’Indro ha raccontato che quando è entrato all’Ansa c’era già una donna tra i redattori, Maria Teresa Di Maio, e negli anni Sessanta potevano già vantare l’11% di giornaliste. Anche alla buvette preferiva mandarci una donna: «La prima giornalista a insediarsi nella sala stampa di Montecitorio era dell’Ansa. Nei templi della politica mi fidavo più delle giornaliste. I maschi, nel giro di due o tre giorni, tessevano alleanze e simpatie che rischiavano di favorire, sia pure freudianamente, gli amici. Le donne mai!» [ibid] • Si vanta di aver dato l’annuncio dell’elezione di Papa Paolo VI ben 21 secondi prima delle altre agenzie internazionali: alla prima sillaba del secondo nome, “baptistam”, l’Ansa aveva già inviato il flash. Le altre aspettarono di sentire la parola “Montini”: quando tutto il mondo è in attesa, 21 secondi sono un’eternità» [ibid] • Lepri era fiero e felice quando la paternità di uno scoop era attribuita all’Ansa, amareggiato quando (il più delle volte) i giornali si guardavano dal riconoscerle il merito [CdS] • Celebre una telefonata di Aldo Moro: «Mi chiese se avrei dato la notizia dell’attacco di Malagodi al centrosinistra. Risposi che l’avrei fatto di sicuro. Seguì un lungo silenzio. Pensavo avesse riattaccato. Invece Moro disse: “Mi rendo conto”. Appena tre parole, ma importanti. La politica si rendeva conto che le notizie non si potevano censurare. Allora nessuno pensava di poterle manipolare o inventare, come fanno i politici di oggi» [Cazzullo, cit.] • Tra le scelte più difficili che ricorda quella di diffondere o meno i comunicati delle Br durante il sequestro Moro: «Fu la decisione più sofferta» [Manca, cit.] • Uno scontro con Nilde Iotti: «Lei voleva essere definita il presidente della Camera, ma io avevo dato disposizione di scrivere la presidente. Si adattò. Susanna Agnelli invece venne a protestare: “Sono il senatore Agnelli, non la senatrice!”. Risposi che senatore era suo nonno. Se ne andò senza salutare» [Cazzullo, cit.] • «Il giornalismo, per Lepri, non è né letteratura né storiografia. Non è un esercizio di bello stile né tantomeno di persuasione, bensì una responsabilità civile: deve rendere conto solo ai cittadini, che hanno il diritto di informarsi, di sapere e di capire. Ha insegnato il mestiere a quasi due generazioni di praticanti: indirettamente, con i suoi manuali, e direttamente, nelle sue lezioni alla Scuola superiore di giornalismo Luiss, dov’è stato docente dalla fine degli anni ’80 ai primi 2000. Erano gli anni in cui la rivoluzione digitale bussava alle porte: il mondo cambiava confini e Internet trasformava radicalmente la professione. Ma Lepri è sempre stato consapevole che l’unico modo per far fronte allo strapotere del web è quello di garantire ai lettori un’informazione accurata, completa e imparziale, l’unica via per riconquistare la fiducia del pubblico, messa in crisi ben prima del web» [Manca, cit] • Ama la tecnologia: «Il bello di questi mezzi è che posso scrivere una mail ai miei amici e loro possono rispondere subito. È interessante che siamo tornati a scriverci, avevamo smesso. Tutto ci aiuta a sentirci amici, a vincere la solitudine. Un giorno sì e un giorno no sento e posso anche vedere mia nipote che studia in Olanda» [SkyTg24] • «Sergio Lepri è stato davvero un cittadino, ancor prima che un giornalista, che ha onorato la Costituzione, nella lettera e nello spirito. Prima lo ha fatto come partigiano assetato di giustizia e libertà; poi, insieme a Ettore Bernabei, partecipando alla ricostruzione della libertà di informazione in Italia. Quindi dirigendo con un equilibrio proverbiale l’agenzia Ansa; un equilibrio, tuttavia, che non è mai scivolato nell’omissione, nella censura, nel servilismo, perché, a differenza di tanti altri, Sergio Lepri ha sempre tenuto la Costituzione nel cuore e nella mente, anche nei tempi più difficili e bui» (il presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, Giuseppe Giulietti, in occasione dei festeggiamenti a Palazzo Vecchio per i suoi 100 anni) • Ogni mattina legge Corriere Repubblica e Stampa sull’iPad, in tv guarda solo Rai Storia. Di giorno legge o scrive.
Curiosità A 71 anni ha scalato il Cervino. Ho sciato fino a 96 anni «fino a quando camminando con gli scarponi sono scivolato e mi sono rotto la testa» [Cazzullo, cit]. Ha giocato a tennis fino ai suoi 95 anni • Fa due passeggiate al giorno ma «se piove, faccio sei volte le scale di casa. Ma la cosa più importante è continuare a scrivere. In rete, ovviamente» [Cazzullo, cit] • Inviato in Russia andava per cimiteri: «Il comunismo annunciava l’avvento dell’uomo nuovo; e io volevo capire come moriva, quest’uomo nuovo. Nei cimiteri c’era moltissima gente. Le tombe erano interrate, e attorno c’erano sedie su cui vedove e orfani passavano intere giornate, a far compagnia al defunto; siccome non si trovavano fiori, portavano quelli di carta. Non parlavo il russo; ma tanto loro non dicevano nulla. Restavano lì. E mi sembravano uguali a noi uomini vecchi» [Cazzullo, cit] • E di noi cosa resta? «L’aspetto straordinario della rete è l’immortalità. I nostri articoli di carta venivano gettati via dopo poche ore. Il mio sito resterà anche dopo la mia morte» [Cazzullo, cit].
Frasi «Una volta leggevamo come mucche, muovendo gli occhi da sinistra a destra; ora siamo come stambecchi, che saltano qua e là. La rete annulla la dimensione temporale» [Cazzullo, cit] • «Nulla torna. Tutto muta: anche la morale, i valori. La storia cambia ogni giorno. E va scritta con la “s” minuscola: perché è la storia di tutti noi, dei miliardi di esseri umani che abitano la Terra» [Cazzullo, cit] • «Il passato è passato, il nostro compito è fare il possibile per inventare il futuro» [Nazione]
Politica Era iscritto al Partito d’Azione, «unica tessere mai avuta». Votava, «all’inizio, Pri. Negli anni 70 e 80, scheda bianca. Poi l’Ulivo» [Cazzullo, cit] • «Salvini mi fa paura. Sono un liberale; non mi piace la democrazia illiberale» [Cazzullo, cit].
Religione «Non sono credente, non per motivi religiosi ma filosofici: non credo nella trascendenza. L’unica realtà è l’individuo. Sopra e al di là dell’individuo non c’è nulla»
Amori Una moglie, Laura, che se ne è andata nel sonno dieci anni fa, «conosciuta nella redazione dell’Italiano, dove c’erano Eugenio Garin, Carlo Cassola, Manlio Cancogni: 64 anni di meraviglioso matrimonio. Abbiamo avuto tre figli, Stefano, Paolo e Maria, tutti giornalisti» [Cazzullo, cit].
Titoli di coda Durante la guerra si commuoveva ascoltando la Marsigliese oggi si emoziona «ogni volta che sento cantare da qualche parte Bella ciao» [Vecchio, cit].