24 settembre 2021
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Biografia di Niccolò Ammaniti
Niccolò Ammaniti, nato a Roma il 25 settembre 1966 (55 anni). Scrittore. Regista. Vincitore del Premio Strega 2017 con il romanzo Come Dio comanda (Mondadori 2006).
Vita Figlio dello psicoanalista Massimo (Roma 1941) e dell’architetto Fausta Gaetani. Una sorella, Luisa. • «Dal genitore psicoanalista ti aspetti molto più che da un padre normale. Pensi di essere capito in modo speciale. E invece il mio era un papà come tutti gli altri, amorevolissimo e dunque pieno di paure, di ansie, di attese che temevo di deludere» • Dice che ha cominciato a scrivere ispirato dai giri in motorino, compiuti tra i 14 e i 25 anni. «A scuola andavo malissimo in italiano, mi hanno rimandato tre volte. Il massimo che riuscivo a prendere era un sei meno meno, anche se avevo una passione per la letteratura. Divoravo romanzi in maniera ossessiva, classici inglesi soprattutto. Ma non avevo capito che quella roba fosse collegata alla scrittura. Ci chiedevano di fare temi sul Risorgimento e io non sapevo da dove cominciare. A me interessavano le trame. Le storie le ho sempre avute in testa, fin da bambino, ma non sapevo a che cosa servissero. Un giorno ci venne assegnato un argomento libero. Presi un nove per la prima volta, raccontando come avevo fatto le modifiche al motorino per arrivare nei posti più lontani dal centro. Mi piacevano soprattutto i luoghi abbandonati: una ex fabbrica di paracadute sulla Tiburtina, un palazzo che era imploso su se stesso, dove si entrava scavalcando tre metri d’ acqua con pezzi enormi di polistirolo galleggianti. Oppure le scarpate lungo le ferrovie. O i paesaggi che si vedevano dal Tevere, scendendo in gommone fino a Fiumicino. Fu un lungo periodo in cui osservavo tutto, ma non sapevo come raccontarlo, se in prima o terza persona, se al passato o al presente. Come succede a qualcuno che ha la passione per i mobili: li compra ma non sa come costruirli, come farli stare in piedi e rinforzarli. L’ illuminazione è avvenuta intorno ai 25 anni, quando ho scoperto che poteva esserci una fusione tra le cose che vedevo e quelle che avevo letto. Avevo visto un film sugli zombi e ho pensato che si poteva riscrivere I promessi sposi con un’infezione di zombi a Milano, invece della peste» (a Lauretta Colonnelli) • Studi in Biologia. «“Mio figlio voleva diventare etologo, sognava di fare le osservazioni dei lupi in Abruzzo. Io gli dissi che capivo, ma che la biologia era principalmente molecolare. Lo spinsi così a frequentare un laboratorio”. E lui? “Andò. Oggi mi ringrazia perché se non lo avessi mandato al laboratorio, non avrebbe mai interrotto biologia per mettersi a scrivere. Senza il laboratorio sarebbe ancora sulle montagne a osservare lupi”» (Massimo Ammaniti a Teresa Ciabatti) • «All’università avevo superato 15 esami, ma avevo detto d’averne fatti 18. Dopo il diciannovesimo devi cominciare la tesi. Io ero molto lontano da poter scrivere una tesi. Quando mio padre mi ha proposto di andare a scriverla nel suo ufficio ho detto di sì, perché mi sembrava una specie di punizione. Il mio stato mentale era completamente disturbato, fino a quando ho deciso di accendere il computer e scrivere. Ho scritto la storia di un malato terminale, che aveva tre mesi di vita. Era abbastanza autobiografica, perché dopo tre mesi avrei dovuto dire a mio padre che non mi sarei laureato. Era una storia tristissima. Poi incontrai un ex mio compagno che lavorava per una casa editrice. Doveva fare una collana di scrittori esordienti. Gli ho subito mollato la prima parte, lui mi ha detto che se finivo il romanzo lo avrebbe pubblicato. Così ho cominciato a essere di ottimo umore e, quindi, Branchie ha una prima parte molto triste e una seconda che fa molto ridere» • Branchie è del 1994, nel 1995 pubblicò col padre Nel nome del figlio, nel 1996 la raccolta di racconti Fango. Lo si dice “cannibale” perché Einaudi lo inserì in una raccolta di racconti che raggruppava, con quel nome, giovani scrittori italiani. Nel 1997 Ti prendo e ti porto via, nel 2001 Io non ho paura (premio Viareggio, più giovane vincitore della storia). Nel 2009 Che la festa cominci, nel 2010 Io e te (da cui è stato tratto il film omonimo del 2012: «Ho mandato Io e te a Bertolucci, mi son detto: mah, può darsi che gli piaccia. L’ha letto subito, mi ha chiamato e ha detto: lo voglio fare io. Sono rimasto a bocca aperta, non ci potevo credere....»). Del 2012 la raccolta di racconti Il momento è delicato (Einaudi). Il titolo si riferisce alla frase di rifiuto che gli venne rivolta anni prima: «La prima short story è metafinzione. Una pagina di diario. In E se... Niccolò Ammaniti ricorda quando si presentò in Mondadori con i racconti di Fango sottobraccio, sentendosi dare picche da Gian Arturo Ferrari: “Lasciamo perdere, il momento è delicato”. Il sassolino tolto dalla scarpa diviene una chicca per i fan, una caramella per gli addetti ai lavori. In realtà è una deliziosa excusatio non petita. I racconti non tirano? Dimostratemelo voi, lettori» (Michele Lauro). • Ultimo libro: Anna (Einaudi, 2015), da cui ha tratto una serie tv (scritta con Francesca Manieri), da lui diretta e andata in onda su Sky nel 2021. «Niccolò Ammaniti ha uno zio d’America, Stephen King. Non ne aveva bisogno. È già ricchissimo di suo di storie che fanno paura e hanno per eroi i bambini (la scaletta kinghiana). La summa, che riassumeva tutte queste storie e poneva loro fine, doveva essere Anna, il romanzo del 2015. Non fu così, il libro era scritto col braccino (si dice dei campioni di tennis che non riescono a vincere la partita decisiva). Così diedi un bruttissimo voto a quello che doveva essere il più bel romanzo di Ammaniti e non lo era stato. Mi dispiacque: adoro Ammaniti. Lui, sei anni dopo, è tornato sul luogo del delitto e dall’impianto profetico di Anna (un virus si impadronisce del mondo e stermina gli adulti; in Sicilia un gruppo di ragazzi lotta per sopravvivere in un mondo senza più tetto né legge) ha immaginato una serie televisiva (la farfalla imprigionata nel bozzolo del romanzo). Anna, il film, è bellissimo, girato (cioè narrato cinematograficamente) come Dio comanda. Ammaniti dirige i bambini con la sapienza di Vittorio De Sica in Ladri di biciclette; dipinge un affresco post-apocalittico che mixa La storia della colonna infame e Pinocchio; prega recitando un sequel del Padre nostro: nel nome della figlia (Anna) e non più del genitore» (Antonio D’Orrico) • Già nel 2018 aveva ideato, sceneggiato, coprodotto e diretto (insieme a Francesco Munzi e Lucio Pellegrini) la serie televisiva di Sky Il miracolo. «Nella serie Il miracolo di misteri, dolorosi o gaudiosi, ce n’è una quantità, intrecciata con la sapienza di uno scrittore di successo che forse ha studiato le migliori fiction americane, italianizzandole. […] Il suo primo approccio alla regia è stato con il documentario The good life. Se per chi guarda la televisione, stroncato dalla noia delle trasmissioni politiche, è quasi impossibile resistere alle fiction su qualunque schermo possibile, per chi sia creativo, scrittore o regista o altro, l’attrazione deve essere irresistibile; come per Sorrentino, come per Ammaniti, raccontare per immagini, con tempi lunghi che possono diventare infiniti» (Natalia Aspesi) • «Non è piacevole per nessuno l’idea di un autore che fa due cose diverse, perché ciascuno tendenzialmente deve stare nel proprio recinto. Non è cattiveria, è naturale che sia così. Sei uno scrittore? E allora fai lo scrittore. Sei un regista? E allora fai il regista. Il regista, o il musicista, o il generale dei carabinieri che scrive un libro però dà meno fastidio, perché scrivere è un istinto primario, chiunque di noi lo può fare anche senza avere i mezzi. Fare il regista è una cosa più complessa, richiede più soldi, più conoscenze. Quindi, in qualche modo, sembra che strafai. E magari è così. Però io ho capito tardi, nella vita, che c’era qualcos’altro che mi interessava» (a Mattia Carzaniga) • Per l’autunno del 2022 è stata annunciata la pubblicazione del nuovo romanzo La vita intima per Einaudi Stile Libero • «Se non fossi uno scrittore alleverei pesci. O farei lo scalatore. Mi piacerebbe anche scriverci un libro. Non c’è niente che il corpo detesti di più che andare a ottomila metri; tutto di te, tutte le cellule ti dicono “ti prego, smettila”, eppure la volontà ti spinge a fare una cosa che potrebbe ucciderti. Mi affascina la volontà che combatte contro la biologia, è ciò che ci distingue dagli animali» (ad Antonella Lattanzi) • Vive tra Roma le la campagna toscana • Dal 2005 è sposato con l’attrice Lorenza Indovina (1966).
Scrittura «Mi sveglio presto, guardo un film, gioco con la playstation, leggo. Poi mi metto a scrivere fino al pomeriggio, in un dialogo continuo con i personaggi delle mie storie»• Dice che fare lo scrittore «è il solo mestiere che ti permetta di continuare a giocare. Ma anche di stare a casa, di annoiarti e di fantasticare. In fondo continuo a fare oggi quel che facevo da bambino, quando d’una trama reinventavo innumerevoli finali, sempre attratto da storie di solitudine e incomprensione» • «Lo scrivere in se stesso è bruttissimo, la letteratura è una cosa fantastica. Scrivere è faticoso e diventa sempre più faticoso col tempo. Se ti prefiggi di fare ogni volta uno scalino magari con la mente ci arrivi, ma ti accorgi che forse i tuoi mezzi espressivi non sono abbastanza raffinati» • «Cominci a essere un personaggio alla moda. Vai a una cena e vieni riconosciuto da persone importanti, che dimostrano curiosità per te e i tuoi libri. È allora che scatta la regressione: il successo finisce per riportarti indietro, come una zavorra che ti spalma sul passato, impedendoti di guardare al futuro. Un delirio narcisistico che può farti male, perché il tuo mestiere è guardarti intorno, osservare gli altri. Guardare quelli che ballano, non stare tu al centro della pista» • «A volte penso che dovrei smettere. Non riesco a dire: basta, non scrivo per un anno. Io sono definitivo, se smetto devo smettere completamente. Il fatto è che sto male quando non scrivo, mi viene un cattivo umore basico su cui galleggio. Poi quando scrivo la gioia è tale che non riesco a condividerla con gli altri. Quindi o sono depresso o sono autistico. Il che è molto difficile anche per chi ti sta vicino. Poi il libro esce, sei contento e hai due mesi liberi in cui puoi fare quello che vuoi» (a Cristina Taglietti).
Critica «È bravissimo...» (Cesare Segre). «Non sbaglia un colpo» (Massimo Onofri) • «Qualche tempo fa sentii da qualcuno (Cesare Garboli) dire che Ammaniti possiede il talento naturale di raccontare come Francesco Totti di giuocare a pallone e Marco Pantani di correre in bicicletta» (Angelo Guglielmi, a cui però non è piaciuto Come Dio comanda) • «Una scrittura coatta a una paratassi implacabile: dal lessico spento, monotono, inesorabilmente “Cesira”, per dirla con Carlo Emilio Gadda» (Andrea Cortellessa recensendo Come Dio comanda) • È citato nel film di Paolo Sorrentino La grande bellezza (2013). Un personaggio dice: «Proust è il mio scrittore preferito. Ma anche Ammaniti».
Vizi Grande appassionato di videogiochi: «Tutto è cambiato con la playstation: quando ho visto che esisteva la possibilità di una narrazione ho cominciato a guardare i videogiochi con un altro occhio» • «Ho una grandissima passione per i pesci e per gli acquari, ho moltissima musica, i miei film, tutto quello che mi astrae dalla scrittura». Da ragazzo aveva venti acquari in camera • Non prende mai appunti («Le idee o restano, o se vanno via vuol dire che non erano buone»), è indisciplinato («Mi metto a tavolino solo quando ho voglia) e non naviga sui social («Devo conservare la scrittura per il mio lavoro, tutto il resto significa sprecare colpi, anche le mail mi costano fatica») • Non gli piacciono i bambini: «Li sento come dei despoti, perché bisogna dargli sempre attenzione. Al contrario i bambini e gli adolescenti timidi ed introversi mi piacciono, forse perché assomigliano a me quando ero piccolo» (a Irene Bignardi).