il Giornale, 27 ottobre 2021
Ritratto di Judith Gautier
La madre, Ernesta Grisi, cantava divinamente in teatro, la zia, Carlotta Grisi, era la più celebre delle ballerine, il padre, Théophile Gautier, l’autore dello scandaloso romanzo Mademoiselle de Maupin, aveva sposato la prima, ma era sempre rimasto innamorato della seconda. «Ha due mogli perché è turco», aveva spiegato la decenne Judith alle sue compagne del convitto-convento di Notre-Dame de la Miséricorde che la interrogavano su quel triangolo libertino. Da bambina, il suo soprannome era stato prima Uragano, poi Shabraque, dal turco Tschaprak, la coperta di cavallo in pelle di montone degli ussari ungheresi, e quindi la piccola Judith non aveva tutti i torti nel fantasticare sulle turcherie paterne, nonché sule proprie: raccontava di essere stata in Oriente, forniva dettagli assolutamente veritieri su viaggi del tutto immaginari. Era febbrile e poi di colpo apatica, soffriva di sonnambulismo. Uscita dal convitto-convento e entrata finalmente nel salotto di casa, i soprannomi cambiarono, ma la sostanza rimase: «Dov’è Epilessia-Catalessia?» chiedeva il padre.
Nel 1830 Théophile Gautier era stato il capofila della battaglia romantica contro il classicismo e in difesa dell’Ernani di Victor Hugo. Con indosso un gilet rosso ciliegia aveva inveito e lanciato uova e ortaggi contro i reazionari in abito scuro che dalla platea gridavano allo scandalo. Era amico e complice di Baudelaire e di Flaubert, teorico dell’«arte per l’arte», generoso e goloso, superstizioso. Aveva come borsellino un pezzo di gilet di flanella appartenuto, diceva, a una persona fortunata e che attirava il denaro, si circondava di ciondoli e di amuleti, considerava il musicista Offenbach il più pericoloso degli iettatori e aveva preso a calci il figlio quando questi, pronunciando quel nome proibito, gli aveva fatto notare che non gli era successo niente: «Come vedi, adesso qualcosa ti è successo» aveva replicato assestandogli una pedata...
Tutta la vita di Gautier era stravagante, e non sorprende quindi il suo aver preso un cinese come precettore della giovane Judith. Si chiamava Tin-Tun-Ling, era arrivato in Francia al seguito del vescovo di Macao, Monsignor Callery, per lavorare alla redazione di un dizionario cinese-francese, il vescovo era poi morto e lui era stato messo alla porta. Non parlava francese, ma un linguaggio incomprensibile, era ridotto alla fame, portava scarpe legate con lo spago. Quando Gautier si offrì di aiutarlo a tornare in Cina, fu guardato con terrore: «Se tornare, tagliare me testa». Durante la rivolta di Taiping, a metà Ottocento, aveva cospirato e combattuto contro il potere imperiale, era rimasto ferito e poi braccato ed erano stati i missionari cattolici a salvarlo, a patto che si convertisse al cristianesimo... «Hai voglia di imparare il cinese» disse a quel punto Théophile alla figlia: «di studiare un Paese ancora quasi sconosciuto e che sembra prodigioso?». La risposta di Judith fu «una serie di piroette» e da quel giorno Tin-Tun-Ling divenne «il cinese di Théophile Gautier», ovvero «l’eminenza gialla del Parnaso»... Nel Journal dei Goncourt, Judith e sua sorella Estelle appaiono come «le orientali di Parigi, le figlie della nostalgia dei Paesi d’Oriente del loro padre». A ventidue anni, Judith scriverà il suo Livre de Jade, a ventitré Le Dragon impérial, giudicato da Mallarmé «una meraviglia»... Gautier aveva puntato sul cinese giusto, ma anche Judith ci aveva messo del suo.
La collana dei giorni (Robin Edizioni, a cura di Albino Crovetto e Ida Merello, pagg. 683, euro 21) è l’autobiografia che Judith Gautier scrisse a inizio Novecento e che ora esce per la prima volta in italiano, in un’edizione integrale, criticamente accurata e riccamente illustrata. Come il padre, anche Judith ebbe il suo salotto letterario, fu amica di Richard Wagner e di Reynaldo Hahn, di John Sargent e di Puvis de Chavannes, del barone e dandy Robert de Montesquiou, fu la moglie infelice e più volte tradita di Catullo Mendès, allora un astro giornalistico e poetico, ma ebbe anche lei amanti e spasimanti, fra cui addirittura Victor Hugo, che aveva una decina d’anni più del padre...
A Parigi Judith riceveva al 30 di rue Washington, in Bretagna nel suo villino di Saint-Enogat. Qui la sua passione per l’Oriente si concretizzò nei decori disegnati per lei dal pittore Yamamoto, nell’amicizia con Pierre Louys, che proprio lì scrisse Aphrodite, e con Pierre Loti, un vero e proprio colpo di fulmine quest’ultimo, anche se amicale e non sentimentale. Si erano conosciuti a un ballo mascherato, dove lei era Cleopatra e lui Osiride... Insieme scrissero La fille du Ciel per Sarah Bernhardt, una pièce ambientata in Cina e dove la grande attrice interpretava una sanguinosa imperatrice...
La collana dei giorni è un trittico autobiografico suddiviso appunto in tre fili, di cui l’ultimo è incentrato sulla passione wagneriana dell’autrice. Scritto benissimo, in uno stile elegante e non pretenzioso, ciò che lo rende ancor oggi interessante è il mondo ruotante intorno alla figura paterna. Gautier era già noto a vent’anni e morì che ne aveva appena sessanta. Era un bulimico nell’arte come nella vita, ossessionato e incalzato dallo scorrere del tempo. Un dipinto di Auguste de Chatillon lo ritrae a 28 anni, nel pieno della giovinezza e della forza. «Nessuno è stato più giovane di me» si lamentava a quaranta guardando quel quadro: «Ecco com’ero, ecco l’immagine che vorrei lasciare di me, di una rassomiglianza assoluta. Passati i trent’anni non bisognerebbe mai lasciarsi ritrarre. La reputazione arriva tardi, in genere e di sé stessi si lascia solo una maschera avvizzita e deformata dalla fatica e dalla pena della vita».
Nella sua cassa di Neuilly troneggiava all’ingresso un busto in bronzo dell’imperatore Lucio Vero, i mobili erano Luigi XIV, coperti di lampade rosse, porcellane cinesi, un piano Enard e un’immensa poltrona in damasco porpora «che fa pensare a una vasca da bagno», completavano l’arredamento dal lato della strada, alle pareti tele di Delacroix, Gérome, Rousseau, sculture di Préault, acqueforti di Chassériau. Nelle pagine di Judith Gautier, Baudelaire assomiglia a «un prete senza sottana», Flaubert rimanda a un Oriente d’invenzione, «pelli verdi e rosse, pipe, tappeti, un immenso piatto di rame riempito di piume d’oca. Scriveva su fogli di carta blu». Ogni giovedì, si presenta dai Gautier Gustave Doré: «Faceva la sua entrata camminando sulle mani, piedi in aria, e acconsentiva a salutare solo dopo aver eseguito, con molta eleganza e agilità, ogni sorta di clowneries». Ogni domenica Gautier lavorava al suo feuilleton settimanale, si trattasse di Le Serpent à plumes, Vermouth, Adélaide... Si riduceva sempre all’ultimo minuto: «Non si chiede a un condannato di farsi ghigliottinare prima del tempo» era la spiegazione. Ciò che veramente amava era la conversazione, «il grande, l’unico piacere di una persona di spirito» come diceva Baudelaire. Con Flaubert, Maxime du Camp e Louis Bouilhet, scrive Judith, «sentirli come davano anima alle idee, era una gioia rara. Sembravano seminare a piene mani grani di follia nei campi del sapere e, come nelle magie indiane, i semi germinavano e fiorivano all’istante. Niente di cupo né di pesante in quelle chiacchierate, che a volte punteggiavano di aguzzi epigrammi l’imbecillità e la cattiveria umane, ma più con pietà che amarezza».
Ritratto di un’adolescenza turbolenta e felice, di una educazione disordinata, libera e creatrice, La collana dei giorni è uno spaccato di vita culturale dove la dimensione di Théophile Gautier risalta nella dimensione familiare e amicale, più che in quella squisitamente artistico-letteraria. A Edmond de Goncourt che andò a dargli l’ultimo saluto lasciò l’impressione della «serenità selvaggia di un barbaro addormentato nel nulla. Non c’era alcuna cosa che mi richiamasse alla mente una morte moderna». Mai come allora l’industria culturale era stata potente, pochi come Gautier l’avevano aspramente combattuta per poi a malincuore dichiararsi vinti e accettarne le regole del profitto, della produzione, della mercificazione. Morendo, si riprendeva l’immagine del lottatore che era stato, il nemico della società moderna, il teorico dell’arte per l’arte e al diavolo ogni autorità costituita, ogni consumismo e ogni conformismo letterario...