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 2021  ottobre 26 Martedì calendario

Quando Burroughs insultò Ian Curtis dei Joy Division


«Vaffanculo, ragazzo» disse lo scrittore William Burroughs a Ian Curtis, cantante dei Joy Division, la band di Manchester che, quel 16 ottobre 1979, era la novità più eccitante della scena musicale britannica. Siamo al Plan K, un locale multipiano di Bruxelles, dove si svolge un happening che potrebbe ricordare gli anni Sessanta. Burroughs, assieme all’artista Brion Gysin, ha appena presentato The Third Mind e firma le copie. Curtis è un lettore accanito di Burroughs. Non vuole lasciarsi sfuggire l’occasione per farsi regalare una copia autografata. Ian si fa sotto ma si becca un insulto tra le risate di Peter Hook, il bassista dei Joy Division. Poco dopo Ian e William sono seduti allo stesso tavolo assieme ai componenti dei Cabaret Voltaire, il gruppo di Sheffield che ha diviso il palco con i Joy Division. Curtis chiede al suo idolo cosa ne pensi dei Suicide, duo newyorchese di musica elettronica d’avanguardia. Burroughs non capisce e si lancia in una requisitoria contro chi si toglie la vita. Curtis si ucciderà il 18 maggio.
Quella notte resta memorabile per Curtis. Durante il concerto vengono scattate le foto che lo trasformano in icona e subito dopo prende quota la storia d’amore con Annik Honoré, organizzatrice della serata, impiegata al consolato belga di Londra e giornalista part time. Ian ha ventuno anni, è sposato, ha una figlia, soffre di epilessia, è il frontman dei Joy Division, passati nel giro di pochi mesi da ordinari teppisti ad aspiranti rockstar mondiali. La nuova relazione aggiunge un carico emotivo sempre più pesante da sopportare mano a mano che Curtis pianifica la separazione dalla moglie Deborah.
L’incontro con Burroughs, raccontato così dagli amici di Curtis, non convince i conoscenti dello scrittore. L’autore più trasgressivo degli anni Sessanta (e Settanta e Ottanta) era un uomo dai modi cortesi. Burroughs aveva ricevuto un’educazione all’antica, come si conviene al rampollo di una famiglia dell’alta borghesia di Saint Louis, e l’aveva raffinata grazie a una istruzione esclusiva, con studi a Harvard e Vienna.
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L’evoluzione di Curtis è rapida. La presenza di Burroughs si fa notare. L’incipit di Digital, «Feel it closing in» (Lo sento avvicinarsi) è uno scoperto richiamo a quello di Naked Lunch (Pasto nudo) capolavoro di Burroughs: «I can feel the heat closing in» (sento sul collo il fiato caldo). Il refrain «Day In Day Out», che si ricollega al titolo, Digital, proviene da un libro di culto nella Manchester degli anni Settanta: The Job di Daniel Odier, una antologia di interviste a Burroughs, con prefazione e altri testi d’autore, in cui lo scrittore richiama spesso la logica binaria del digitale: «To Stay Up / To Stay Down» e «To Stay In / To Stay Out». Interzone prende il titolo da una sezione del Pasto nudo e in origine (ma questo Curtis non poteva saperlo) era il titolo dell’intero libro. Tra le canzoni scartate, Johnny 23 richiama l’omonimo racconto, tra i più famosi (e belli) di Burroughs, incluso nella antologia Sterminatore!. Più importante, e anche più evidente, è la presenza di James Ballard nei testi di Curtis. Exercise One, nella antologia postuma Still, attinge a piene mani dal romanzo Crash. Lo scrittore inglese esplora un nuovo tipo di sessualità, che nasce dalla fusione violenta tra corpo e tecnologia. L’incidente stradale diventa una potente metafora. Le ferite inflitte dalle lamiere assumono un significato erotico.
Il rimando più ovvio è la canzone che apre Closer, intitolata Atrocity Exhibition come il romanzo sperimentale di Ballard. Curtis però ha sostenuto di aver scritto il testo prima di aver letto il libro.
La citazione cruciale (e letterale) è rimasta inosservata. Disorder nasce da un passo del romanzo Il condominio di James Ballard. I versi centrali «On the tenthfloor, down the / back stairs, it’s a no man’s land» (al decimo piano, giù per la scala / di servizio, è una terra di nessuno) si riferiscono proprio alle scene centrali della distopia suburbana di Ballard. Il grattacielo «modello» è travolto da una esplosione di violenza, piano contro piano, classe sociale contro classe sociale, famiglia contro famiglia, individuo contro individuo. Il decimo piano, quello riservato alle attività in comune, è sede dei primi scontri e presto diventa terra di nessuno. Ballard: «The 10th-floor concourse was now a no-man’s-land between two warring factions» (La galleria del decimo piano era ormai diventata una terra di nessuno fra due fazioni in guerra).
Curtis centra la poetica di Ballard e la fa sua. Disorder è la prima canzone del primo album dei Joy Division e si chiude con la morte del sentimento, il tema portante di Crash, un libro che aveva sconvolto Curtis. Nella postfazione di Crash, Ballard stesso scrive: «voyeurismo, disgusto di sé, la base infantile dei nostri sogni e dei nostri desideri questi mali della psiche sono ora culminati nella perdita più atroce del secolo: la morte del sentimento». Oggi osserviamo con occhio clinico i piaceri più inquietanti e raffinati: «quelli delle delizie del dolore e della mutilazione; del sesso come arena perfetta, come brodo di coltura di sterile pus, per tutte le veroniche delle nostre perversioni; della libertà morale di attendere alla nostra psicopatologia come a un gioco; della apparente illimitatezza delle nostre capacità di concettualizzazione». Ian Curtis si era stufato di giocare a questo gioco che capiva bene. Sfiancato dalla malattia e dalla depressione, straziato dall’amore e dal dolore, dopo aver perso il sentimento, Ian perderà anche la forza d’animo. E si impiccherà.