Il Messaggero, 26 ottobre 2021
Intervista a Paola Egonu
È una prima volta, lo dicono tutti, tranne lei. «Non è vero», si oppone la stella dell’Italvolley Paola Egonu, dall’altro capo del telefono, quando le si fa notare che alla conduzione, lei che ha sempre vissuto sui campi di pallavolo, non c’è mai stata. «Ho fatto Amici, sono stata a Verissimo», dice troncando l’argomento: eppure stasera sarà per la prima volta alla guida di un programma, Le Iene, e il suo esordio in prima serata su Italia 1 non passerà inosservato. Prima puntata, prima pallavolista in studio, prima Iena non caucasica e apertamente omosessuale a condurre: Egonu, veneta 22enne di origini nigeriane, miglior giocatrice agli scorsi Europei, è donna da record. Non solo nello sport, ma anche nel costume. Ma spuntarla, con lei, non è facile nemmeno davanti all’evidenza. Come sa chi l’ha incontrata sul campo.
Che Iena sarà Paola Egonu?
«Sarà quella che sono. Semplicemente me stessa. Spero di essere la più naturale possibile, di portare davanti alle telecamere quella che sono. Sarò una iena buona che diventa cattiva se si trova davanti a un’ingiustizia».
Per esempio?
«Nel mio servizio mi occuperò di discriminazione, di quanto sia sbagliato dare etichette alle persone».
Etichette di che tipo? Parlerà di gender? Di colore della pelle?
«Di discriminazione, in generale. Vorrei tenere segreto l’argomento preciso». Per il resto in cosa consisterà la sua partecipazione al programma di Italia 1?
«Sarò una co-conduttrice, assisterò (attimi di incertezza, cerca il nome, ndr) Nicola Savino. La puntata sarà basata sul format di sempre».
È la prima conduttrice di colore del programma: sente la responsabilità?
«No. Le Iene non si pongono il problema e nemmeno io a dir la verità. Cerchiamo di divertirci».
È emozionata?
«Mi sento a mio agio. Non è la prima volta che vado in tv, glielo ripeto. Farlo mi piace, perché è un modo per farmi conoscere e per trasmettere ciò che penso, i miei valori. Questa è la cosa più importante. Non vedo l’ora di condividere ciò che sono».
A proposito, la troppa condivisione sui social sarebbe stata, secondo il ct Davide Mazzanti, una ragione del flop olimpico a Tokyo. Si è pentita di quello che è successo in Giappone?
«La scusa secondo cui i social ci avrebbero distratte è molto stupida. Siamo tutte professioniste che facciamo questo lavoro da anni, e non sono certamente i social a distrarci, altrimenti non saremmo mai entrate in un club. Coi social ci lavoriamo. Le persone intelligenti e mature lo sanno».
Con Mazzanti, quindi, è tutto chiarito?
«Non c’è stato bisogno di chiarire nulla. Penso che si sia solo spiegato male. Ma non abbiamo discusso di questo».
Le Olimpiadi non sono andate bene. Cosa ha imparato?
«Che bisogna saper essere lì nel momento giusto, né un attimo prima, né uno dopo. Ci siamo allenate, ma al momento giusto non eravamo abbastanza pronte. E siamo state eliminate, giustamente. Lo sport non si improvvisa, non a quei livelli».
Poi è arrivato il trionfo all’Europeo. Lei dove vuole arrivare?
«Posso diventare tutto quello che voglio. Dove arriverò, lo scopriremo insieme».
E l’Italia della pallavolo?
«È una nazionale forte. Stiamo crescendo e può solo migliorare. Parigi non è poi così lontana».
Il pubblico torna nei palazzetti: effetto Italvolley o reazione alle chiusure?
«Credo che dipenda solo dal fatto che la gente ha voglia di tornare a vivere».
A lei cosa manca per tornare a vivere?
«Il cinema. Mi piacciono i film di genere, avventura e horror. Mi manca la sala».
Molti grandi campioni lottano contro stress e depressione. Lei?
«I momenti di difficoltà li viviamo tutti, vanno affrontati. È normale. I miei salvavita sono il riposo, andare in giro con le amiche e fare passeggiate con il mio cane».
Se non avesse giocato a pallavolo cosa sarebbe diventata?
«Una pediatra. O un avvocato. Ma sa, cambio idea molto spesso».