La Stampa, 26 ottobre 2021
La bimba afghana venduta per 500 dollari
È venuta al mondo da pochi mesi, nell’Afghanistan dei taleban, e la sua vita vale molto meno di iPhone. Cinquecento dollari. Quel mucchio di ossa che respira, fasciato dentro coperte colorate su una culla fai da te in una casa di Herat, papà e mamma l’hanno venduto a degli uomini che pagano “bene” per tenerselo. Hanno già dato anche un anticipo, i nuovi “padroni” della piccola. Che verrà consegnata non appena camminerà. Perché la sua famiglia d’origine muore di fame e non sa più come comprare olio e farina, la carne non la mangia da settimane. E allora è meglio sacrificare l’ultima arrivata, per far sopravvivere gli altri figli, secondo l’allucinante legge della povertà e della disperazione che in due mesi ha visto precipitare il Paese nella più grave crisi umanitaria del mondo.
Anche prima dei recenti disordini politici, l’Afghanistan era al secondo posto nella classifica degli Stati in emergenza estrema per carenza di cibo. Save the children stima che, entro quest’anno, la metà dei bambini afghani al di sotto dei 5 anni sarà a un passo dalla carestia e avrà bisogno di trattamenti specifici per non morire. Nell’ospedale di Medici senza Frontiere a Herat visitato dalla reporter della Bbc, Yogita Limaye, che ha testimoniato la storia della neonata messa in vendita per 500 dollari, un bambino su cinque tra quelli ricoverati non sopravviverà. La sanità, nella terra conquistata dagli ex studenti barbuti, è al collasso e da quattro mesi non ci sono i soldi per comprare le medicine di base, dottori e infermieri non ricevono alcuno stipendio. Il sistema di cura era finanziato quasi completamente dagli aiuti stranieri, ora ridotti a zero. Tanto che le Nazioni Unite e le Ong, con l’inverno alle porte, lanciano un avvertimento ai nuovi padroni di Kabul: 22 milioni di persone, tra cui 14 milioni di bambini, soffriranno la fame nei prossimi mesi, con i prezzi del grano raddoppiati, il 35 per cento in più dell’anno scorso.
La madre della piccola diventata merce per un pugno di riso non ha timore a raccontare la sua scelta davanti alle telecamere. La sofferenza estrema ha tolto ogni vergogna: «I miei figli più grandi stanno morendo perché non hanno da mangiare – dice –. Per questo dobbiamo dare via lei». Il marito prova a giustificarsi con brandelli di speranza, come se questa disumanità potesse servire a qualcosa: «Mia figlia non conosce il suo futuro. Non so cosa penserà da grande, ma abbiamo dovuto farlo». Gli uomini che l’hanno presa hanno fatto una promessa: sposerà il nostro bambino. Ma nessuno può dire se sarà davvero così, né che fine farà la neonata afghana. Che il codice d’onore medievale delle campagne, il “pashtunwali”, nato per regolare i rapporti tra famiglie, identifica senza problemi come un bene di scambio, in quanto donna. Domani moglie, per fare figli. Oggi pacco da vendere, in cambio dei soldi per non morire di fame per qualche mese. In attesa che passi l’inverno.