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 2021  ottobre 26 Martedì calendario

Storia della band Extraliscio

Non è vero che la musica dice tutto, ci sono cose che la musica non dice. Perché le fa. «Se uno stona, in una canzone, lo senti subito che ha stonato. Invece nella vita là fuori a volte le persone stonano però fanno finta di niente, dicono che non è mica vero»: parole di Mauro Carlini fu Virgilio da Argenta provincia di Ferrara, in arte Mauro Ferrara per decisione di Raul Casadei nel 1974. Non solo un cantante: il più grande interprete di Romagna mia dopo il suo autore Secondo, lo zio di Raul. Insieme con Moreno Conficconi da Galeata provincia di Forlì, detto «il Biondo», dell’orchestra di Raul storico clarinetto leader, e il batterista (però poi chitarrista, mellotronista, sintetizzatorista e molto altro) Mirco Mariani da San Pietro in Bagno, stessa provincia ma più sull’Appennino, fanno quelli che oggi tutti conoscono come gli Extraliscio. Che sono (anche) una faccenda di musica, ci mancherebbe: una storia di punk e rock mescolati col valzer da balera, come è stato sintetizzato dopo il loro approdo ai Festival di Venezia prima e di Sanremo poi. Ma sono anche un bel racconto sociale. Di «benedetta mescolanza e rottura dei muri – dice Mariani – in un’epoca come la nostra che muri vorrebbe metterne ovunque». Una cosa che la musica fa da sempre senza dirlo, appunto. Ma a volte serve raccontarlo. 
Così è nato Extraliscio, il libro che hanno scritto insieme – introdotti dal poeta Ermanno Cavazzoni – per La nave di Teseo e per Elisabetta Sgarbi che da due anni li sta portando ovunque in Italia e in novembre li farà arrivare a Parigi. Libro che sarebbe tanto facile quanto riduttivo riassumere come «pieno di storie di una Italia che non c’è più» (e riduttivo davvero, ogni riga un aneddoto, non per dire) non solo perché in quell’Italia si suonava ancora una marea di musica dal vivo ma perché il «liscio» in particolare, e in particolare in quel pezzo d’Italia che è Emilia-Romagna, è sempre stato un fatto (anche) sociale: di locali da ballo stracolmi, di migliaia di Feste dell’Unità, di matrimoni ma anche di funerali, come quello di cui il libro regala una foto straordinaria, di quando in provincia c’era chi il jazz lo pronunciava giàzz come ghiaccio in dialetto, ma poi quel che contava era suonare. In realtà però è un libro che parla all’Italia di oggi. «Siamo in missione per conto del liscio», ripete Mariani citando i Blues Brothers: «E io con la mia storia di jazz-rock-punk mi son ritrovato a 52 anni dentro una storia di altri uomini – continua – che hanno dedicato la vita a un genere scoprendo che è molto più di un genere. Non si tratta di portare il liscio ai giovani. È rimescolare la parte sociale e umana di una terra che supera la musica ma in qualche modo è anche contenuta in quella musica». E fa un esempio: «Il liscio è sostanza, non è apparenza. È fatto di persone come il mio amico Mauro Ferrara il quale ripete sempre che fa il mestiere del musicista, non il fenomeno. Certo, questa è una buona regola per tutta la musica: ma il liscio in particolare, per i musicisti che lo fanno, è il contrario di quell’apparire che pare essere il comandamento del mondo oggi». 
«E poi – prosegue ancora Mariani – il nostro è un libro che parla di lentezza. Di musica cantata, di un tempo in cui la gente cantava. E che forse adesso, mi piace pensarlo, a maggior ragione dopo questi due anni di strade silenziose, sta ritrovando la voglia di cantare. Una voglia di verità». Interviene il Biondo: «Per me – dice – suonare il clarinetto nei locali ha sempre voluto dire una cosa molto precisa e cioè far ballare la gente. Arrivare alla fine della sera e vederli andare via contenti. Per ottenere questo la musica ti chiede un grande rigore. Il liscio è una cosa che ti scivola dalle mani, è tempo liscio. Ma le ultime otto battute di un giro di valzer, specie per la parte del clarinetto, devono essere estremamente riconoscibili per un ballerino. Altrimenti è perso». «A me piace la musica perché è quadrata», scrive dal canto suo il cantante Ferrara. E il Biondo riprende: «Ecco, oggi con Mirco io trovo che la sua libertà, la sua trasgressione delle regole, contiene una grande potenza perché sta dentro un sistema di regole. È questa la cosa difficile, che lo rende un genio. E a pensarci bene è questo il motivo per cui la nostra è una storia di oggi, non un revival».