Accompagnata dal pianista Pavel Kolesnikov, balla a 61 anni un assolo sulla partitura di Bach.
Nella sua carriera ha lavorato con le musiche di Coltrane, Brian Eno, Steve Reich, Beethoven, Bartok... ma ben sei volte solo su Bach. È una ossessione?
«Penso che Bach sia un unicum nella storia della musica occidentale, l’esempio concreto di quella che chiamerei “astrazione incarnata”.
Le sue partiture sono organizzate nel tempo e nello spazio, come una coreografia. La sua musica è danza e non solo perché ci troviamo gighe, sarabande, minuetti.... E poi è una celebrazione della vita ma consapevole della morte, forse perché c’è stata tante volte nella sua esistenza. Aveva perso i genitori da bambino, la giovane moglie e dei venti figli ne morirono dieci.... In questo, la sua musica mi sembra sia incisa nell’esperienza che abbiamo appena passato con la pandemia».
E perché ha scelto proprio di ballare le “Variazioni”?
«La partitura è una melodia che si sviluppa in trenta variazioni. Ogni terza variazione è un canone che aggiunge ampiezza al tema.
È come se da una melodia semplice e tranquilla si aprisse un universo musicale di straordinaria varietà e ineguagliabile complessità».
Che lei esegue da sola.
«La musica sfida la coreografia nello stesso esercizio di ampiezza, nel creare una danza flessibile pur mantenendo un canone. Quest’anno per me sono 50 anni di danza e 40 da coreografa: lo spettacolo è il mio giubileo d’oro. È l’occasione per scrivere un vocabolario e una coreografia riguardando citazioni, editing dei pezzi passati… vivendoli in modo differente. È un po’ guardare indietro, vedere dove sono e creare un percorso per il futuro. Senza malinconia o sentimentalismo».
61 anni: l’età vuol dire qualcosa?
«Ovviamente balli in modo diverso a 21 anni rispetto a quando ne hai 60.
Le cose cambiano perché il corpo è la casa in cui ci svegliamo ogni giorno.
E in modi differenti, in modo meccanico, sensuale, emotivo, sociale, intellettuale, spirituale, la danza tocca il nucleo di chi siamo come esseri umani».
Il futuro come lo vede?
«Penso che stiamo vivendo tempi difficili. Con il Covid, negli ultimi due anni abbiamo dovuto diffidare dei corpi, non solo degli altri. La pandemia ci ha reso dipendenti da scienza, medicina, politica. Penso che il vero problema non risolto sia cosa sta succedendo a velocità elevata con il pianeta. Siamo a un punto cruciale e la domanda è quale sia il posto dell’umanità, 7 miliardi di persone, e come andare avanti. Come cittadini e consumatori abbiamo il dovere di agire e impegnarci in azioni politiche. Penso che le arti, in particolare dello spettacolo, come danza e musica vocale, si debbano confrontare con questo, per un sia pur modesto impatto curativo».
Cosa devono fare?
«Penso che l’atto stesso di coreografare sia già un atto politico, come lo era fin dall’antichità nel teatro greco. Coreografare significa letteralmente “scrivere le persone”, nel senso di riorganizzare la vita insieme sulla Terra, creando un senso di armonia tra esseri umani, animali e piante, salvando la biodiversità, facendo scelte individuali.... Come puoi spiegare per esempio che l’Europa stia facendo un patto verde, ma un aereo per Roma è molto più economico del treno?».
Ha programmato un’età in cui smettere di ballare?
«No. Sono abbastanza brava a organizzare il tempo e lo spazio, e li organizzerò a mio piacimento. Amo ballare, è un modo di stare al mondo».
Ha ricevuto nel 1996, dal suo paese, il titolo di baronessa: si è mai fatta chiamare così?
«Ovviamente no. Tanti amici mi hanno criticata, ma l’ho accettato perché veniva dato prevalentemente a persone che avevano una carriera militare. Darlo a una coreografa e ballerina mi è sembrato un segnale diverso».