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 2021  ottobre 26 Martedì calendario

Le nuove rivelazioni della pentita di Facebook

Il “profitto a scapito della sicurezza”. È una delle ultime, gravissime accuse a Facebook, piombato nella sua più pesante crisi di immagine e credibilità dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, che avrebbe influenzato le elezioni Usa del 2016 vinte da Donald Trump. Ora, il nuovo imbarazzo per il fondatore Mark Zuckerberg fa di nome “Facebook Papers”. Sono stati chiamati così i circa 10mila documenti e “leak” che l’ex dipendente del social media, Frances Haugen, ha consegnato al Congresso americano, per poi essere pubblicati da un consorzio di giornali Usa ieri, quando Haugen è stata ascoltata in Commissione media al Parlamento britannico di Westminster. Che presto potrebbe votare una delle leggi più ostili di sempre contro Facebook e i social media. A Londra, la “whistleblower” ha ribadito il suo monito al mondo su quelli che lei considera i misfatti di Facebook, di cui sarebbero vittima circa 3 miliardi di utenti nel mondo. «Questo social network contribuisce ad aggravare l’odio nella nostra società», sostiene, perché «gli algoritmi di Facebook danno la priorità a contenuti estremi» e «il profitto viene prima di tutto», ha detto alla Camera dei Comuni.
Haugen ha poi aggiunto che «Facebook veicola racconti terribili che hanno un forte impatto nei Paesi più poveri» e che strutturalmente «non è possibile rendere Instagram», altro social della galassia Zuckerberg, «una piattaforma sicura per i ragazzini». Haugen ha ribadito così le affermazioni fatte a Washington, quando rivelò che Zuckerberg e i vertici di Instagram sapessero del disagio di alcuni ragazzini a causa dell’uso smodato della app, senza però muovere un dito: «Gli stessi studi interni di Facebook paragonano l’uso di Instagram dei teenager alle astinenze di un drogato».
Nel pomeriggio, poi, mentre la 37enne americana testimoniava a Westminster, sono stati pubblicati da giornali quali il Washington Post e il Financial Times i “Facebook Papers”, che hanno rincarato la dose contro Zuckerberg. Le rivelazioni sono diverse e inquietanti.
La prima è che Facebook avrebbe dedicato in questi anni pochissime risorse al filtraggio di contenuti violenti ed estremisti in lingue che non siano l’inglese e Paesi che non siano gli Stati Uniti, cui sono state dedicate l’87% delle risorse per la prevenzione di fake news e post pericolosi contro il 13% del resto del mondo, Italia inclusa. Questo aizzerà di nuovo le accuse di non aver saputo arginare la violenza e le minacce circolate nei post su Facebook in Paesi afflitti da uccisioni seriali, stragi su base etnica e in alcuni casi tentativi di genocidio come Myanmar, India, ma anche Arabia Saudita, Libia e Yemen e altri Paesi in via di sviluppo. Secondo i file, Facebook sarebbe stata cosciente delle potenziali conseguenze di questo approccio.
Non solo: dai documenti si evince come Facebook, dopo le elezioni di novembre negli Usa, abbia allentato il filtro alle fake news dilaganti, soprattutto per quanto riguarda estrema destra e formazioni eversive che poi hanno lanciato l’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill. Solo allora, Facebook avrebbe ristretto le maglie. Troppo tardi. Ciò perché la dittatura dell’algoritmo e degli ossessivi post simili ai nostri interessi sarebbe intoccabile nel social media di Zuckerberg. Che sostiene di aver rimosso il 94% dei post di odio su Facebook, Ma i file di Haugen ridimensionano questa cifra al 5%. Decine di documenti visionati dal Washington Post evidenzierebbero come l’ engagement (il “coinvolgimento” degli utenti per farli rimanere collegati più tempo possibile) sia stato spesso anteposto alla riduzione di post disinformativi o estremisti.
Facebook respinge tutte le accuse: «Sono decontestualizzate, non abbiamo mai messo in pericolo il benessere e la vita delle persone e la verità è che abbiamo investito 13 miliardi di dollari e 40mila impiegati per la sicurezza degli utenti online». Ma il governo di Boris Johnson non ci crede e ha in canna una legge draconiana. Qualora questa passasse al Parlamento britannico, se i social media non rimuovessero tempestivamente fake news, materiale di odio, terroristico, razzista, omofobo o pericoloso per i bambini, potrebbero pagare multe fino al 10% del loro fatturato mondiale. Stando ai suoi bilanci, per Facebook si tratterebbe di una sanzione fino a 10 miliardi di euro circa all’anno.