La Stampa, 25 ottobre 2021
L’ultimo giro di Valentino Rossi a Misano
E adesso? Alla fine della stagione di Grand Prix ne restano ancora due, ma quando chiudi la porta di casa il cuore cigola di più. Il suo popolo lo sa. E lo sa anche Valentino Rossi. «Ci sono ancora due gare per sfogarsi, ma ho pensato che oggi è stato così bello che quasi quasi alle ultime due gare non ci vado».
Il Dottore ha fatto la sua ultima visita a domicilio, un murales vivente e rombante dipinto di giallo sull’autunno della carriera: («Questa ultima Misano con le moto gialle è stata una bella sorpresa, non me la aspettavo e non lo sapevo. Normalmente non mi piacciono le sorprese, ma il giallo delle moto mi è piaciuto») e chi da venticinque anni era abituato a confondere uno sport con un volto è destinato a sentirsi dentro un piccolo vuoto.
«Io Valentino l’ho conosciuto grazie a mio padre quando ero ancora bambino», spiegava un po’ disorientato un tifoso ieri a Misano. «Non ho neanche memoria di una vita senza di lui».
Nelle moto c’è stata un’era, «a.V» avanti Valentino, che un under 30 fatica a mettere a fuoco; ora si apre il «d. V», il dopo Valentino. Elaborare il lutto per i fedeli del mito non sarà facile.
A festeggiarlo sono arrivati da tutta Italia («sono di Livorno, speriamo che passi a salutarci sotto la curva») e dall’estero. Tavullia, venti chilometri scarsi da Misano, ha sparato fuochi artificiali. I telegiornali lo hanno spiato, esaltato, celebrato, mettendo la sordina agli angoli bui – le magagne con il fisco, gli ultimi anni senza vittorie -, persino la politica lo ha omaggiato: «Sì, mi sono fermato davanti alla tribuna ed ho lanciato il casco. È stato emozionante, ed anche ricevere il premio dal Ministro degli Esteri di Maio, dal Presidente del Coni Malagò e dalla Vezzali. Sono uno degli sportivi italiani più famoso nel mondo nella storia, e ciò mi rende felice».
Oggi l’emozione è ancora calda, ma sulla sua eredità si può forse aprire un discorso, azzardare un orizzonte. Come per tutti i campioni che non solo vincono tanto, ma occupano per intero una generazione anagrafica e tre o quattro sportive – Schumacher, Federer, Jordan – il ritiro rischia di trasformarsi in uno sboom. Per Federer, che pure ancora non ha detto stop, le prefiche hanno già iniziato a stracciarsi le vesti, molti degli orfani di Jordan hanno accusato un calo della libido cestistica.
Il dubbio forte, nell’ambiente, è che nel post Rossi non ci sia un campione abbastanza capiente, come è capitato nel dopo Tomba per lo sci. Che, come Vale, non è stato solo una faccenda italiana, ma un trionfo del Made in Italy. È questione di carisma, oltre che di gas aperto: Marquez ne ha, ma in dosi minori, Dovizioso o Bagnaia ancora meno. Per Quartararo, rivolgersi in Francia. Rossi è un’icona pop – nel senso della riconoscibilità e del valore di mercato – e un fenomeno popolare che ha saputo trasformarsi in un’industria, anche senza avere dietro la Ferrari come Schumacher. Gli altri sono bravi piloti, campioni che trascorrono: provocano quantità variabili di tifo, non un culto.
Facile immaginare che senza più l’imam con i riccioli una buona fetta abbandoni la liturgia. Rossi, certo, ha seminato anche in altri modi. Si lascia dietro un’aura mediatica – a tratti virata in isteria – che probabilmente continuerà ad alimentare anche nella sua nuova vita, da manager dello Sky Racing Team VR46, da pilota automobilistico nell’endurance o nei rally, da commentatore o da dirigente. Ha accompagnato la MotoGp fuori da un’era genuina ma un po’ naif, meno attenta di ora alla formazione e alla professionalità imprenditoriale. «Al di là delle sue straordinarie capacità di pilota si sa gestire molto bene in ogni situazione – spiega il suo ex collega Luca Cadalora in un libro («Dottor Rossi», di Stefano Saragoni) costruito sulle voci di chi lo ha conosciuto da vicino. «Pensate all’Academy: ha dato una possibilità ai campioni del futuro, al motociclismo italiano, e al tempo stesso serve a lui per mantenersi competitivo. Allenandosi con tutti quei ragazzi rimane giovane di testa e gli piace essere rispettato e considerato come pilota e come persona». Il Dottore ha portato in pista riflettori che prima non c’erano, tutti quelli che hanno vissuto anche del suo riflesso ora dovranno confrontarsi con la sua ombra. Meglio: con una penombra gialla. «Io vado in moto due volte alla settimana, sempre, e sono io a decidere cosa guidiamo nella Academy, se cross, pista, ovale. Voglio continuare a girare in moto, quello non cambierà. Non farò il collaudatore perché i test sono la cosa più noiosa e faticosa del motociclismo, ma magari prima o poi la Moto GP mi mancherà, e la proverò». Senza la tentazione, si augurano i suoi tifosi più razionali, di andare oltre.