Corriere della Sera, 25 ottobre 2021
Rivelazioni dal libro autobiografico di Di Maio
La scena è alla Casa Bianca, Washington, ottobre 2019. «“Voi state dalla parte di Giuseppi (Conte) o siete contro di lui?”, chiese inarcando le sopracciglia. Trattenni un sorriso. Realizzai che non aveva la minima idea di chi avesse davanti. Quando lo invitai a considerare la qualità del nostro impegno nelle missioni Nato mi rispose con sarcasmo: “Questi erano discorsi per Obama. Per me contano solo i dollari”». Chi parla è Donald Trump, all’epoca presidente degli Usa. Davanti a lui Luigi Di Maio. Con loro c’è il capo dello Stato, Sergio Mattarella, in visita ufficiale accompagnato dal ministro degli Esteri. Scorci di dietro le quinte che si intervallano a riflessioni personali sulla vita e la politica. Uno spaccato che racconta la stagione dei Cinque Stelle vista da una prospettiva inedita e privilegiata: è questo anzitutto il libro autobiografico di Luigi Di Maio — Un amore chiamato politica (edizioni Piemme, in libreria da domani) —, ma non solo. Di Maio traccia una parabola del suo percorso politico partendo dall’ingresso in Parlamento, svelando aneddoti finora rimasti sconosciuti e spiegando l’evoluzione del M5S dal suo punto di vista.
E nel percorso si fa largo anche il lato personale, umano, dell’uomo politico. Dal rapporto conflittuale con il padre (con cui c’è «una lunga, forse eterna ed estenuante competizione»), agli anni del liceo con i due professori suoi primi mentori, al rapporto con la fidanzata Virginia Saba che lo sostiene e lo incoraggia nelle scelte (anche sul libro: «È stata lei a esortarmi»), alla stima per chi fa parte o ha fatto parte del suo staff (da Pietro Dettori, ad Augusto Rubei – che cita nei ringraziamenti— a Peppe Marici, solo per dirne alcuni).
Da cittadino a deputato, da vicepresidente della Camera a capo politico del Movimento, da vicepremier a ministro degli Esteri: molte tappe, molte «vite» trascorse in soli otto anni. Nelle prima fase emerge con prepotenza l’importanza, al centralità che avevano Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo tra i Cinque Stelle. Di Maio si sofferma sulla figura dello stratega scomparso nel 2016, confuta l’immagine del «guru eremita». «Era solo un uomo che aveva un progetto ben definito». Lo ricorda con affetto nei passaggi cruciali della crescita del M5S, ne svela il pragmatismo come quando voleva candidare Alessandro Di Battista a sindaco di Roma o come quando convoca i parlamentari a Milano per istruirli su come muoversi in tv. Di Grillo invece riconosce la leadership («rimane in assoluto la figura di maggiore rilievo del Movimento») e la «verve dissacratoria», come quando – verso Natale 2018 – visita gli alloggi del premier a Palazzo Chigi: «Bello qui, sembra la casa dei Casamonica».
Ma è soprattutto sugli ultimi anni, quelli dei governi targati M5S, su cui si sofferma. La rinuncia (due volte) al ruolo di premier, il pentimento per l’«abolizione della povertà» e la foto sul balcone di Palazzo Chigi («sbagliai a salire su quel balcone. E sbagliai a pronunciare quelle parole»), le parole di Mattarella dopo la richiesta di impeachment («per me negli ultimi due giorni non è successo niente») sono parte del suo processo di «formazione». Così come il confronto con gli altri leader. Ecco allora i complimenti di Silvio Berlusconi nei corridoi di uno studio televisivo, qualche frecciata a Di Battista e i rapporti burrascosi con i due Matteo, colpevoli a suo dire di aver orchestrato le crisi dei governi Conte. A Renzi Di Maio rinfaccia anche il fallimento di una prima trattativa per costruire un governo nel 2018. Con Salvini («una delle persone più false che abbia mai conosciuto») il rapporto è più altalenante e si conclude con una lunga telefonata nell’agosto della crisi gialloverde raccontata da Di Maio perfino nelle pause e nei silenzi. Erano poco di due anni fa, sembra passato un decennio.