Il Messaggero, 24 ottobre 2021
Tutti pazzi per i prodotti esotici
L’arancione delle zucche domina alla vigilia di Halloween le campagne del Mantovano. Quasi nascoste – perché dello stesso colore – sono le quasi centomila piante di alchechengi messe a dimora da Giallo Grano di Monzambano, una delle tante aziende italiane che puntano sugli ottimi prezzi al dettaglio della frutta tropicale: un chilo di gustose bacche di origine asiatica vale fino a 15 euro a fronte degli scarsi due euro della zucca. Secondo Coldiretti, il 71% degli italiani sarebbe disposto a pagare di più per avere la garanzia dell’origine italiana della frutta esotica. «Lo switch verso nuove colture spiega Mirko Aldinucci di ItaliaFruit che a dicembre terrà un convegno proprio sul tema – è determinato da un mix di fattori in gran parte subiti: cambiamenti climatici, incidenza di agenti patogeni e nuove malattie, richieste del mercato, aumento dei costi. La produzione cerca di orientarsi verso colture più redditizie per recuperare marginalità, ma deve fare conti con la tropicalizzazione del Paese e con oneri sempre più elevati che per esempio in questa fase rendono dispendioso la realizzazione delle serre in campo». A spingere le nuove coltivazioni anche l’enorme consumo di frutta e verdura degli immigrati in Italia.
LA CRESCITA NEL MERIDIONE
Il paesaggio agricolo italiano sta quindi cambiando velocemente. La Sicilia è diventata patria di mango, frutto della passione, litchi, zapote nero (varietà messicana del cachi). Sotto l’Etna, a Giarre, Andrea Passanisi ha creato la maggiore coltivazione italiana di avocadi: 100 ettari dove c’erano arance e limoni. Nel palermitano crescono addirittura banani e c’è chi scommette – primo in Europa, il torrefattore Morettino – sul caffè a km zero, tanto da meritarsi un servizio sul Guardian. Un vero boom in tutto il meridione riguarda il melograno, con le aree decuplicate in otto anni: 1.000 ettari in Puglia, altrettante in Sicilia, 400 in Calabria e oltre 600 del resto d’Italia. Va letteralmente a ruba, sia come frutto intero che come spremuta per colazione. «Il nostro business plan spiega Maurizio Abate, presidente della cooperativa Kore indica per ogni ettaro coltivato una produzione di 21 mila euro di reddito annuo a fronte di un investimento complessivo nei primi due anni di soli 15 mila».
L’AIUTO DELLA REGIONE LAZIO
L’Agro Pontino è la capitale italiana del kiwi, anzi, potremmo quasi dire del mondo, perché l’Italia dopo la Cina ne è il maggiore produttore. Dalla provincia di Latina arriva il 30% del totale (il resto da Puglia, Veneto, Friuli, Emilia). Negli ultimi due anni le coltivazioni – colpite da una malattia ancora sconosciuta – hanno subito forti perdite. Gli agricoltori pontini stanno rispondendo alla crisi, piantando nuove varietà resistenti ai parassiti (a polpa gialla). In loro aiuto, giovedì scorso, è arrivato un bando della Regione Lazio che stanzia 3,9 milioni di euro. Ruspe in azione, invece, in molti frutteti nel Nord Italia, dove la cimice asiatica ha aggredito in particolare le pere. Abbattuti anche migliaia di peschi. «Purtroppo afferma Alfredino Pulcini che si occupa di movimentazione terra a Faenza – la stragrande maggioranza di chi estirpa non pianta più nuovi frutteti, ma sceglie di orientarsi su seminativi e colture stagionali come il girasole, con bassi costi di gestione. Nel paesaggio così si sono creati buchi pazzeschi». La frutta fresca tradizionale sta lasciando spazio a quella a guscio per la grande richiesta dell’industria di trasformazione e perché molto richiesta nelle diete. Nel Lazio, nei terreni di Maccarese del gruppo Benetton, è stata quasi ultimata la piantumazione del più grande mardorleto d’Europa: 130 ettari. Dovunque, da Nord a Sud, crescono i noccioleti: sono già 90mila ettari, in crescita dopo gli accordi di filiera delle aziende dolciarie con le associazioni dei produttori. Noberasco, leader nella frutta secca, ha favorito il ritorno tra Bologna e Ferrara delle arachidi. «Averne recuperato la coltivazione è un motivo d’orgoglio per noi e per il mondo agricolo», afferma l’ad Mattia Noberasco. Infine, c’è il ritorno della canapa dopo la legalizzazione di alcuni usi. Circa 10 mila gli ettari coltivati.