Il Sole 24 Ore, 24 ottobre 2021
L’Agnelli editore
Per anni la vera inaugurazione del Salone internazionale del Libro di Torino era la visita, di buon’ora, prima dell’apertura dei cancelli per il pubblico, di Gianni Agnelli, accompagnato da Gianluigi Gabetti e da una piccola scorta di collaboratori. Poi in mattinata sarebbe arrivato il ministro o il sottosegretario di turno con il codazzo di autorità locali e giornalisti, all’insegna, a suo confronto, dell’irrilevanza. Noi, che lavoravamo per le “sue” case editrici, prima del Gruppo editoriale Fabbri e poi anche della RCS Libri, ce lo immaginavamo scendere dalla fantascientifica Bolla del Lingotto, con annesso mini eliporto, che gli aveva fabbricato Renzo Piano. Nel frattempo s’era provveduto agli ultimi ritocchi degli stand in modo che figurassero in bella mostra le novità di Rizzoli, Bompiani, Bur, Fabbri, Sonzogno, Etas e noi sulla soglia, con il blazer d’ordinanza, pronti, con un mezzo sorriso, a rispondere a eventuali richieste di informazioni. Ma le sue visite erano tanto mattiniere quanto rapide e prevedevano invariabilmente un’unica sosta allo stand Adelphi (non ancora sua ma fin dall’inizio con una cospicua partecipazione di minoranza).
L’ingresso nell’editoria libraria di Agnelli, tramite l’IFI, avviene nel 1971, l’anno in cui il prezzo di un barile di petrolio viene triplicato e il conseguente scatto dei prezzi delle materie prime e dell’energia costringe un primo drappello di fondatori eponimi di storiche case editrici a passare la mano: tra questi, i Fratelli Fabbri e Valentino Bompiani. Non era solo questione di costi, beninteso, ma anche di evoluzione del mercato, di temperie culturale contagiata dalle tensioni sociali, di carente ricambio generazionale nella stirpe editoriale... L’integrazione successiva con RCS, tramite la finanziaria Gemina, che riguardava, come vedremo, anche l’editoria dei giornali e dei periodici, diede alla Fiat e al suo Presidente una rilevanza internazionale culminata con l’acquisizione del gruppo Flammarion (2001). Passato il momento del mugugno sciovinista per l’ingresso degli italiani, ma mieux que le boches (meglio dei crucchi) si diceva a parziale consolazione, i francesi dovettero riconoscere, per voce anche di «Le Monde», che la nostra gestione aveva risanato e rilanciato la prestigiosa acquisizione. Importanti sinergie nella progettazione editoriale derivavano, per esempio nell’ambito dei libri d’arte, tra le redazioni italiana, francese e americana di Rizzoli NY (Anni dopo, una mutata strategia industriale in ambito Fiat portò alla cessione di Flammarion, preludio di una cessione totale del settore libri, ma l’Avvocato se ne era andato da tempo).
Nel campo delle arti, molto familiare a Gianni e Marella Agnelli, avevamo vissuto, con un significativo indotto editoriale, la fastosa stagione del veneziano Palazzo Grassi (1986-2005), sede di memorabili mostre di arte, archeologia e architettura: i cataloghi Bompiani, spesso vere opere di riferimento al di là della contingenza dell’esposizione, avevano una diffusione in mostra, nelle librerie e nel mercato internazionale oggi impensabile. Altre pubblicazioni riguardavano l’attività di mecenate di Agnelli, come il catalogo degli arazzi restaurati della Battaglia di Pavia di Capodimonte su disegno di Van Orley e il catalogo della Pinacoteca del Lingotto che contiene la sua collezione messa a disposizione del pubblico. Qui si può ammirare, tra le altre opere, la Baigneuse blonde di Renoir, futura moglie dell’artista, di una fisicità molto curvy, che Donna Marella mal sopportava appesa alla parete della loro camera da letto, e due magnifiche vedute di Dresda di Bellotto in precedenza nel suo ufficio nel Seagram Building di Park Avenue.
Diverso l’impegno di Agnelli editore in prima persona nella stampa quotidiana, con particolare riguardo al casting dei direttori, ma non solo. Marcello Sorgi, ex direttore della «Stampa», ci ha raccontato delle sue visite estemporanee nel tardo pomeriggio, magari nei momenti cruciali dell’impaginazione della prima e della scelta dei titoli, del suo garbo e della sua acuta attenzione temperata di ironia. Il suo primo approccio al «Corriere della Sera» risale al 1973 in società paritaria con Giulia Maria Crespi e i Moratti, ma l’anno seguente cede la sua quota ai Rizzoli che avvieranno un decennio di gestione dalla conclusione tribolata con il dissesto del Banco Ambrosiano, l’Amministrazione controllata e il carcere per il presidente e l’amministratore delegato. Dal 1984 ha inizio l’era Agnelli che in breve detiene, tramite Gemina, la maggioranza della «Rizzoli Corriere della Sera» onnicomprensiva di libri, quotidiani e periodici. La prerogativa, che subito gli viene riconosciuta, della scelta di un direttore procede anche dalla abituale frequentazione e dalla conoscenza del mondo giornalistico. Quando è a New York suoi interlocutori abituali, oltre a politici, industriali, finanzieri, banchieri, membri riluttanti dello Yachting Club e bellissime donne, sono i corrispondenti delle maggiori testate italiane. Non è un caso quindi che due valorosi veterani in questo ruolo, Ugo Stille e Gaetano Scardocchia, diventino, nel giro di pochi mesi, direttori rispettivamente del «Corriere» e della «Stampa». Gianni Riotta, subentrato a Stille, diventerà vicedirettore, in sequenza, di ambedue. A volte funziona l’osmosi dei direttori tra i due giornali, come, in direzione opposta, Paolo Mieli e Giulio Anselmi. Anselmi, vicedirettore al «Corriere», sostituisce alla «Stampa» Mieli che va al «Corriere» per sostituire il veterano Stille. Però Mieli in due anni alla «Stampa» aveva impresso qualche novità nella cronaca e nel costume, «aveva messo la minigonna», chioserà Agnelli, all’austero quotidiano sabaudo; il passaggio al «Corriere» poteva avere un obiettivo anche di innovazione. A Mieli subentrerà Ferruccio de Bortoli in una prima frazione di staffetta dei due dioscuri che continuerà anche dopo l’Avvocato. Sulla causa dell’avvicendamento tra i due non era certo estranea la mancanza di benevolenza nei loro confronti, et pour cause, da parte del primo ministro Berlusconi: Agnelli era certamente un editore liberale, che lasciava la libertà di scelta ai suoi direttori, ma la Fiat non poteva permettersi l’ostilità del governo in carica.