la Repubblica, 24 ottobre 2021
Una serie tv su Muhammad Ali
Non esiste una versione breve della vita. Soprattutto della sua, troppo extralarge. Questo dicono le otto ore di documentario su Muhammad Ali, ex Cassius Clay, proiettato in due giorni alla Festa del cinema di Roma. Un film di quattro episodi su un tre volte campione mondiale dei pesi massimi nel ’64, ’74, ’78. Anni in cui i re del ring contavano (e guadagnavano) molto più del principale inquilino della Casa Bianca. La durata è sempre un problema per chi deve raccontare e inquadrare un’epoca, anzi un secolo: il ventesimo. E per chi dentro quel secolo vuole metterci gli uomini. «C’era una volta in America» di Sergio Leone, durava 3 ore e 50 minuti, «I cancelli del cielo» di Michael Cimino 3h e 40’, Barry Lyndon di Stanley Kubrick 3h e 23’, «Apocalypse now» di Francis Ford Coppola 3h e 20’. Senza dimenticare «Heimat 2» di Edgar Reitz, 25 ore in 13 parti. Dietro al film c’è uno staff composto da professionisti di biografie illustri: Ken Burns, la figlia Sarah con il marito David McMahon. «Siamo partiti dalle 15mila fotografie che ci ha dato ilproduttore, ma noi ne avevano altrettante. Abbiamo finito di scrivere il terzo episodio e ancora non eravamo arrivati al match con Foreman. Ali era un performer, amava stare sul palcoscenico, le telecamere, dare spettacolo. Potevi amarlo o odiarlo, non ti permetteva l’indifferenza». Parlano anche le figlie, Hana e Rasheeda, della difficoltà di dividere il padre con il mondo, ma si capisce anche che Ali non riusciva a mettere nello stesso quadro il suo essere genitore e marito. Quando sei un’icona del pianeta, quando sei occupato ad essere Muhammad Ali anche fuori dal ring, non porti fuori la spazzatura. Tanti gli intervistati: la seconda moglie, Khalilah, la terza, Veronica Porsche, suo fratello Rahman Ali, Angelo Dundee, suo allenatore, che diceva: ««Se cerchi di capirlo ti farà diventare matto. Non provarci». E Kareem Abdul- Jabbar, il gancio-cielo più famoso del mondo, Larry Holmes, pugile, suo ex avversario, l’attivista per i diritti civili Jesse Jackson, l’amico e business manager Gene Kilroy, l’organizzatore Don King, lo scrittore Walter Mosley, David Remnick, direttore del New Yorker.
Ali lo sapeva, l’aveva detto. « Look, there ain’t never been another fighter like me, ain’t never been no nothing like me ». Tradotto: non ci sarà più nessuno che combatte come me. Aveva ragione. Ha lottato per tutto e per tutti, per i diseredati, per I vecchi negli ospizi, per i pugili rotti e malati, per chi aveva bisogno. È uscito dal ring e ha camminato nel mondo. Riuscendo ad essere un mito anche negli angoli più nascosti del pianeta, ha fatto sentire i neri fieri di se stessi e della loro bellezza, ha preso in giro il mondo dei bianchi dove tutto quello che è bello è white, «anche Biancaneve». Ha cantato, ballato, protestato, sul ring e fuori. Non è voluto andare in Vietnam a sparare contro i Vietcong (non ce lo avrebbero mandato, ma lui si è comunque fatto arrestare), ha sofferto, è stato derubato del titolo e boicottato per più di tre anni. Gli hanno tolto soldi e gloria e credito proprio nel momento più importante della sua carriera, quello del decollo, ma lui ha trovato altri modi per volare. L’hanno detestato in molti, per il suo radicalismo, per aver abbracciato l’Islam, per Malcom X, perché non stava mai zitto, per le polemiche, per la sua ironia, perché era eccessivo, ma dopo l’accensione di Atlanta 1996 quando ebbe il fegato per mostrare quello che la malattia aveva fatto al suo corpo, l’hanno amato tutti. Il Parkinson gli aveva portato via la parola, i ricordi, l’autonomia. Non era più veloce: né con la lingua, né con le gambe. Ricorda la figlia: «Mi sono accorta che papa aveva qualcosa che non andava perché un giorno è tornato a casa barcollante, faceva fatica stare in piedi, con lui c’erano dei poliziotti, credevano fosse ubriaco, ma non lo era». A chi gli chiedeva di fare la guerra alla boxe per i tanti troppi colpi presi quando era evidente che non doveva più salire sul ring, rispondeva: «Lasciate perdere». Era ormai un uomo che predicava la pace. Walter Mosley, lo scrittore preferito da Bill Clinton, dice nel film: «Solo lui riusciva a tirarti fuori emozioni violente». E Odessa Clay, la madre di Cassius: «Già a un anno era un chiacchierone». Ali se n’è andato a 74 anni nel 2016. La sua è stata una vita interminabile. E se riassumi la grandezza alla fine la rimpicciolisci.