la Repubblica, 24 ottobre 2021
Se Charlie Chaplin tornasse tra noi
Si moltiplicano le inchieste sulle condizioni di lavoro nella logistica, e in specie sulla spersonalizzazione del rapporto tra sottoposti e gerarchia, con i salariati ridotti a numero, a ingranaggio, a pezzi di ricambio: come in Tempi moderni di Chaplin, pensato e girato negli anni Trenta del secolo scorso, sublime parodia del fordismo e della catena di montaggio. Chiunque passi accanto a quelle cattedrali orizzontali che sono i poli logistici, immani distese di merci spalmate lungo capannoni mai visti (ettari di estensione), tutti uguali a parte la mano di vernice, internamente definiti in centinaia di corridoi numerati, ha il diritto di domandarsi come potrebbero, luoghi simili, generare rapporti umani, non importa se conflittuali o amichevoli e solidali. La nostalgia della bottega, dell’impresa familiare, del “piccolo e bello”, è certamente passatista, e a rischio di essere reazionaria. Però, per aiutarci a una migliore sintonia con l’epoca, qualcuno ci spieghi meglio, per favore, come si costruiscono umanità e qualità (concetti che mi permetto di apparentare) dentro le sterminate cubature, gli infiniti numeri. C’è sicuramente una ratio economica, dentro l’accorpamento delle attività umane in enormi assembramenti, e con altrettanto enormi concentrazioni di potere e di denaro in poche mani. Ma se Chaplin tornasse tra noi, quasi un secolo dopo Tempi moderni, ci domanderebbe: ma qualche passo in avanti, come mai non l’avete fatto, in tutti questi anni?