Che idea si è fatto della dinamica dei fatti?
«Le posso dire questo, ho fatto molti film con le pistole e non è mai successo niente. È impossibile che ci siano pistole caricate con proiettili veri. La responsabile ventenne delle armi era inesperta, ma perché ha inserito pallottole vere in una delle tre pistole destinate a Baldwin? Non sarà facile stabilirne il motivo, ma dev’essere successo qualcosa che non è stato ancora detto. Purtroppo l’America è anche un Paese dove, come sappiamo, tutti possono prendere facilmente una pistola e i proiettili. Un Paese dove ci sono molti incidenti, disgrazie, stragi nelle scuole. Non a caso che anche l’altro caso eclatante di morte sul set, quello che ha avuto come vittima Brandon Lee, sia successo negli Stati Uniti. Ho girato centinaia di western in tutto il mondo, le pallottole erano sempre a salve. Un incidente del genere non sarebbe possibile non solo in Italia, ma da nessun’altra parte».
Anche con le armi caricate a salve non ha mai assistito a qualche incidente?
«A volte con le pistole a salve può succedere che con lo sparo partano delle schegge. Sul set di un western mi è capitato che, sparando vicino alla macchina da presa, un aiuto operatore sia rimasto ferito dalle schegge, ma non in modo grave».
Le è capitato di avere altri tipi incidente sul set?
«Certo, ne ho avuto diversi. Specie con i cavalli, che sono più pericolosi delle pistole. Girando Camelot in Spagna nel ‘67, interpretavo Lancillotto che in una scena chiama a raccolta i Cavalieri della tavola rotonda e poi combatte. Avevo un cavallo stupendo, l’armatura era vera, di ghisa. La sella era fissata con delle corde sotto la pancia, per renderla stabile. Mentre galoppavo a tutta velocità, lancia in resta, si è rotta la cinghia e sono caduto, il cavallo e la sella mi hanno schiacciato. Il costumista voleva le cose vere, sbagliando, perché poi il cinema è finzione. Ho rischiato di morire.
Un’altra volta in Jugoslavia, nel ‘93, giravo Il falcone, storia dell’eroe Banovic Strahinja. Durante il galoppo il cavallo si è bloccato, spaventato dalle luci: ho fatto un salto mortale, per fortuna ero molto atletico, mi sono salvato atterrando su un terreno morbido. Stessa situazione su un altro set, ma va meno bene: sono fermo, in sella, mentre mi tolgo i guanti il cavallo infastidito da un faro s’impenna, mi disarciona. Mi sono rotto diverse costole, sono stato male per due mesi. Sono sempre stato un buon cavallerizzo, non ho mai voluto la controfigura. Ma mi è capitato anche di vedere acrobati farsi male».
Come lei diceva, a volte tecnici o registi cercano disperatamente l’effetto più realistico, rischiando.
«Se sul set do un pugno vero, sullo schermo sembrerà falso: quello finto dello stuntman sembra vero perché chi lo riceve, l’acrobata, sa mimare la reazione. Non bisogna cercare il realismo a tutti i costi, è sbagliato e pericoloso».
Lei conosce Alec Baldwin.
«Sì, bene, anche se non siamo amici. Gli è capitato il peggiore degli incubi. È una persona distrutta. Ciò che gli è successo è una ferita che non si rimarginerà per tutta la vita. Ha comunque ucciso una persona. Lui poi è anche un attivista che si batte per il controllo delle armi. Su questa storia non ci sono parole, specie di fronte alla morte della direttrice della fotografia».