Corriere della Sera, 24 ottobre 2021
Totò e Sordi bocciati in «politicamente corretto»
«Prevenire è meglio che curare». Alessandro Chetta, giornalista e videomaker, deve essersi ispirato a questo principio prudenziale nello scrivere il saggio Cancel Cinema (Aras). L’idea è semplice: che cosa resterebbe del grande patrimonio cinematografico italiano, in cui ci sono Fellini e Leone, Totò e Peppino, Loren e Lollobrigida, Gassman e Sordi – per citarne solo alcuni – se per giudicarlo applicassimo le categorie della cancel culture che è una evoluzione fanatica del già radicale «politicamente corretto»? Nulla.
Eppure, possiamo immaginare di buttare a mare quell’immenso tesoro d’arte e di varia umanità perché attraverso lo schermo del politically correct non sappiamo più vedere neanche un film del passato e non riusciamo più a distinguere il bello e il brutto, il comico e il grottesco, l’attuale e l’«inattuale»?
Ecco, Chetta analizzando 200 film fa uno stress test al cinema italiano: «Un po’ per servire ai nuovi puritani un irridente divertissement, un po’ perché i film sono un barometro del costume nazionale – come siamo, come eravamo – e infine per mettere in chiaro quanto inconsistente possa essere l’incappucciamento del passato, se è vero che ogni universo storico contempla sempre un universo morale frutto del suo tempo».
L’esperimento di Chetta è efficace perché attraverso i film pensa il nostro rapporto con il passato e dice: come è possibile che non siamo più capaci di conoscere il passato e di giudicare l’arte?
L’esempio che usa è spiazzante: immaginate che RaiUno mandi in prima serata TotòTruffa ’62 con Nino Taranto ed Ernesto Calindri. Sarebbe il finimondo: Totò appare dipinto da nero (blackface), ha l’anello al naso, parla in modo ridicolo e interpreta il console del Catongo.
Allo stesso modo, da quanto tempo non vedete – nemmeno su Blob — la celebre scena in cui Sordi ammazza di botte per amore e gelosia Monica Vitti? Non la vedrete più perché l’autocensura corre più veloce della censura: la previene assumendola. Mentre Chetta fa il contrario: la previene neutralizzandola. Come? Recuperando i giusti criteri del giudizio o coltivando un più equilibrato rapporto con il passato.
Una volta Carlo Delle Piane, parlando del film di Pupi Avati Regalo di Natale, nel quale recitava con Diego Abatantuono, Gianni Cavina, Alessandro Haber, disse: «Il cinema è la vita». Forse, non è una gran frase, perché se il cinema è arte, allora, è vita espressa e, insomma, ci si è capiti: il cinema «rappresenta» la vita così com’è. E com’è la vita? Scorretta. E se abbiamo un patrimonio che la mostra nei suoi vizi e nelle sue virtù è bene che lo custodiamo prima che qualcuno trasformi Totò in Dumbo e ci appiccichi sopra un alert per i contenuti scorretti.