Corriere della Sera, 24 ottobre 2021
Biografia di Letizia Paternoster
«Due anni fa mentre mi allenavo con la Nazionale proprio nel velodromo di Roubaix sono caduta in allenamento a 50 all’ora. Una caduta stupida ma terribile: il pedale ha bucato il pavimento, alcune schegge di legno appuntito mi si sono conficcate nella schiena. In cinque ore passate al Pronto soccorso me ne hanno tolte metà, le altre sono state rimosse un po’ alla volta nei mesi successivi. Due frammenti sono ancora dentro, troppo profondi per essere tirati via. La pista di Roubaix ce l’ho nel cuore ma anche nel corpo: era destino che vincessi qui il mio primo Mondiale». Letizia Paternoster da Cles, Val di Non, 22 anni, neo campionessa della corsa ad eliminazione, ha imparato a pedalare quasi prima di camminare. Colpa della passionaccia di papà Paul, un australiano tornato in vacanza in Trentino a cercare tracce dei suoi avi e rimasto in valle per amore di Maria, conosciuta nel villaggio dei genitori. «Papà e mamma – spiega Letizia – sono i miei fari. Lui lavorava nei campi di giorno e in fabbrica la notte, come suo padre. Mia madre è la mia guida e il mio spirito: senza di loro, senza la testa dura di noi trentini io non sarei nulla».
Paternoster – occhi di ghiaccio, corpo da modella – è una delle sportive italiane più seguite sui social. «Tanti credono – spiega – che io abbia una personalità doppia: quella dell’atleta che vedono in televisione e quella dell’indossatrice o dell’influencer che spara foto a ripetizione su Instagram. Mi fa sorridere chi pensa che i social distraggano dalle gare e andrebbero vietati: a me postare e leggere i messaggi degli altri diverte, rilassa e aiuta a gestire lo stress. Mostro il mio viso, mostro me in bici, la mia collezione di scarpe: è un gioco».
Dopo una valanga di titoli giovanili su strada e in pista, quello di Roubaix è il primo oro a livello assoluto e nella prova che Letizia ama di più. «Quando me la raccontarono da ragazzina – racconta – non vedevo l’ora di buttarmici. L’Eliminazione è semplice e crudele: si pedala in tondo per mezz’ora e ogni due giri l’ultima viene fatta fuori. Alla fine si resta in due, vince la più viva. Pedalando vedo la corsa come se indossassi un casco 3D: io qui, le altre attorno, pronte a fregarmi. È come negli scacchi ma si gioca a 50 all’ora e contro 15 avversarie: muovono loro e devo muovere subito anch’io. È adrenalina pura che scorre in circolo».
Il pianto senza freni di Letizia giovedì sera dopo la vittoria nasce da un anno di incubi. «Tutto è cominciato con un dolore al ginocchio che doveva passare in un paio di giorni e invece è durato sei mesi. Non mi muovevo, non camminavo, non pedalavo. Ero disperata. Poi il Covid che forse ha avuto vita più facile su un fisico già debilitato. Quella che doveva essere una febbriciattola leggera mi ha tenuto a letto per quaranta giorni, trascorsi completamente da sola per via del lockdown in una stanza di Riva del Garda, piangendo e senza riuscire a dormire la notte: le mie colleghe si allenavano e gareggiavano, le Olimpiadi si avvicinavano inesorabili. Le prime uscite in bici sono state anche peggio: non respiravo, avevo dolori dappertutto. Senza i miei, senza i miei maestri Dario Broccardo e Manuel Quinziato e senza Alessandro Graziani, il mio ragazzo, non ce l’avrei fatta». Letizia ce l’ha fatta, è andata alle Olimpiadi («Risultato appena decoroso, ma esserci è stato già un grande successo») e poi due mesi dopo è riuscita a chiudere il cerchio aperto da ragazzina.
«Come mi vedo? La polizia penitenziaria mi assicura il futuro, la Trek-Segafredo mi porta alle Classiche, la nazionale alle Olimpiadi e ai Mondiali: Parigi 2024 è il mio sogno. Sono una ragazza che pedala, consapevole che nel ciclismo noi donne guada- gniamo dieci volte meno degli uomini e siamo quasi invisibili in tv. Ma pian piano ci stiamo avvicinando: abbiamo ottenuto la Parigi-Roubaix, l’anno prossimo avremo il Tour de France. Un giorno noi cicliste potremmo guadagnarci lo stesso spazio che Federica Pellegrini, il mio idolo assoluto, ha nel nuoto. Lei è un mito indipendentemente dal fatto di essere donna».