Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 23 Sabato calendario

Un iracheno al Bundestag

«Non vedo l’ora di incontrare Angela Merkel», ha confessato Muhanad Al-Alak poco dopo essere stato eletto al Bundestag. Si tratta di un desiderio non impossibile da realizzare, perché ci vorrà ancora qualche settimana prima che la cancelliera dei record lasci il posto a Olaf Scholz (se non ci saranno clamorosi colpi di scena) e alla coalizione «semaforo» formata da socialdemocratici Verdi e liberali, cioè proprio il partito che ha fatto diventare deputato questo ex ragazzo arrivato in Germania dall’Iraq quando aveva undici anni. Ora che ne ha trentadue il neo-parlamentare della Fdp è «il più vecchio dei giovani», come ha scritto il New York Times, se si pensa che la collega Emilia Fester, ventitreenne ecologista, sta finendo ancora l‘università.
La priorità di Al-Alak è chiara: «Vorrei promuovere – ha annunciato a Die Zeit – una migliore politica dell’immigrazione». Questo non vuol dire che sia un rivoluzionario. Tutt’altro. Altrimenti non avrebbe scelto i liberali, poco disposti a condividere un solidarismo incondizionato. Migliorare la politica dell’immigrazione significa per loro rendere soprattutto più efficiente e produttivo l’inserimento dei nuovi arrivati. Lui ci è riuscito: ha studiato, si è diplomato, è divenuto un esperto nella depurazione delle acque arrivando a incarichi di responsabilità nell’azienda dove era stato assunto. «Volevo – ha detto – essere un esempio per gli altri giovani: è possibile andare avanti nel mondo del lavoro indipendentemente da dove si viene, da che aspetto si ha e da quale religione si pratica».
La cosa positiva è che Al-Alak non si è mai sentito un emarginato, nemmeno nei primi tempi della sua vita di straniero: «Nella scuola di Grafenau, in Bassa Baviera, i mei compagni erano curiosi di me, non mi hanno mai tenuto in disparte, così ho potuto imparare rapidamente il tedesco». Una storia troppo edificante? Sarebbe ingiusto non credere a quello che ha raccontato. Ma il suo impegno contro il razzismo guarda al di là della sua esperienza personale. «Nella nostra società – dice – non ci deve essere nessun posto per l‘odio».