Corriere della Sera, 23 ottobre 2021
Süddeutsche Zeitung intervista Angela Merkel
«Mario Draghi per l’Italia è il premier giusto al momento giusto». Lo dice Angela Merkel, nella sua intervista di commiato alla Süddeutsche Zeitung. Legata da stima e amicizia al presidente del Consiglio sin dai tempi in cui Draghi era alla guida della Banca centrale europea, la cancelliera conferma di vedere in lui la migliore garanzia per il futuro dell’Italia in Europa: «Egli sta cercando impeccabilmente di usare i soldi del Next generation Eu in modo sensato, trasparente e responsabile verso i contribuenti».
Merkel, che si appresta a lasciare il suo incarico dopo 16 anni, assicura di sentirsi serena all’idea che sia il socialdemocratico Olaf Scholz il suo successore: «Ci saranno differenze, ma posso dormire sonni tranquilli. Non ho mai avuto l’impressione che Scholz sia uno che spende facilmente i denari pubblici».
Tuttavia, ammette che il prossimo cancelliere prendere la guida del Paese in un clima politico molto più arroventato e polemico: «Quando arrivai al potere non c’erano gli smartphone, Facebook era appena nato, Twitter non era ancora stato creato. Viviamo in un mondo mediatico completamente trasformato. E temo che diventi sempre più difficile trovare compromessi, che sono indispensabili in una democrazia». In generale, per Merkel, è «difficile dire se la Germania sia più divisa di 16 anni fa. Dobbiamo combattere razzismo e antisemitismo, ma vedo una grande maggioranza della popolazione che vuole la coesione della nostra società».
Anche parlando dell’Europa, la cancelliera si è detta molto preoccupata dello stato delle cose, a causa della «sempre maggiore difficoltà a forgiare una posizione comune». «Dobbiamo fare però di tutto per tenere insieme l’Unione», ha aggiunto. Ieri in conferenza stampa, al termine del suo ultimo Consiglio europeo, dove le è stata tributata una standing ovation, Merkel ha anche affrontato specificamente il caso polacco: «Ciascuno sa cosa vale la Ue. I trattati erano conosciuti e tutti hanno ratificato quello di Lisbona. Malgrado ciò dev’essere possibile discutere, perché colloqui e incontri permettono di contestare ogni teoria della congiura: noi non vogliamo fare qualcosa contro alcuno Stato membro». Fedele al proprio passato, Merkel ha comunque detto di capire «benissimo», guardando la storia della Polonia, l’importanza della «questione dell’identità nazionale in un momento di libertà e di pace» per i Paesi che hanno vissuto sotto la dittatura comunista dopo la Seconda guerra mondiale. Il suo appello finale all’Europa è accorato: «Abbiamo superato numerose crisi, grazie al rispetto e allo sforzo di individuare soluzioni comuni, ma abbiamo davanti a noi una serie di problemi gravi e non risolti».
Nell’intervista al quotidiano bavarese, Merkel affronta anche il tema della pandemia e della campagna di vaccinazione, che in Germania procede piuttosto lentamente. Alla domanda perché in Germania la linea verso i no vax è più morbida rispetto a Paesi come la Francia o l’Italia, la cancelliera risponde: «Io credo alla forza della ragione. E penso che dobbiamo fare di tutto per impedire la polarizzazione della società. Se poi guardo a posti cone la Sassonia, dove la percentuale dei vaccinati e particolarmente bassa, allora penso che un eventuale obbligo scatenerebbe reazioni e polemiche ancora più forti».
La prima cancelliera della storia tedesca parla anche delle donne: «Non siamo riusciti a entusiasmarle abbastanza per la politica. E dobbiamo lavorare perché acquistino sempre più fiducia. Perché anche quando ci sono, difficilmente succede che si battano per conquistare la guida di un partito. E questo, un partito guidato da soli uomini, nella nostra epoca non è accettabile. Ecco, io posso soltanto incoraggiare le donne a lanciarsi di più nella mischia».
Merkel, la donna dei cinquanta blazer tutti uguali e tutti di colore diverso nell’armadio, ammette che più volte nella scelta della tinta, ha cercato anche di «lanciare un messaggio politico». Ma alla domanda se ne donerà qualcuno al Museo di Storia tedesca, come il cardigan di Kohl o il vestito macchiato di vernice rossa di Joschka Fischer, risponde di no: «Non do i vestiti ai musei, i blazer dismessi vanno regolarmente alla raccolta di abiti usati».
Infine, la prospettiva della pensione e i rapporti col marito: «Non penso che si preoccupi che io mi aggirerò troppo spesso per casa». Perché lui non c’è spesso o perché la conosce, chiede l’intervistatore. «Entrambi. Primo perché anche lui ha molto da fare e secondo perché non sono mai stata una che sta solo in casa», è la laconica e misteriosa risposta.