Il Sole 24 Ore, 23 ottobre 2021
Auto, oltre ai microchip manca pure il magnesio
La carenza di microchip è ancora lontana dall’essere superata e ci sono già altri ostacoli che rischiano di fermare la produzione industriale, con un impatto particolarmente forte, anche in questo caso, sul settore dell’auto. Ora manca il magnesio, metallo impiegato in lega con l’alluminio per laminati insostituibili soprattutto nella produzione di veicoli, oltre che nell’aerospaziale e nel packaging: in Europa – dove per i rifornimenti ormai dipendiamo al 95% dalla Cina – non ne arriva quasi più da circa un mese e le scorte sono ormai così ridotte che rischiano di esaurirsi entro fine novembre, con conseguenze «catastrofiche».
A lanciare l’allarme sono ben dodici associazioni industriali europee, che hanno firmato un appello congiunto perché la Commissione Ue si prenda carico con urgenza del problema, che «se non risolto minaccia migliaia di imprese, tutte le loro catene di rifornimento e milioni di posti di lavoro».
Il rischio peraltro è aggravato dalla contemporanea presenza di molte altre criticità sul fronte degli approvvigionamenti e dei costi di produzione. La bolletta energetica è da record, così come i prezzi di molte materie prime – dai metalli ai polimeri – e la logistica continua da oltre un anno ad essere nel caos, senza che si intravveda una via di uscita a breve.
Intanto nascono nuove emergenze. In cima alle preoccupazioni, oltre magnesio, c’è sempre di più quella del silicio: ingrediente che in varie forme trova infinite applicazioni, sia in leghe metalliche (anche in questo caso importanti soprattutto nell’automotive), che nel vetro, nei processori, nei pannelli solari, nel silicone. Oggi il silicio non è introvabile come il magnesio, se non altro perché la Cina – benché di gran lunga dominante – non è il nostro unico fornitore. Ma c’è comunque una crescente scarsità, che ha fatto quadruplicare i prezzi nel giro di un paio di mesi.
I problemi all’origine della crisi del magnesio e del silicio (così come dei rincari di molti metalli) sono in parte riconducibili alle politiche energetiche cinesi: misure draconiane che Pechino ha adottato in parte per ridurre le emissioni di CO2 e in parte, più di recente, per risparmiare combustibili, necessità si sta facendo sempre più pressante nel Paese, che sta soffrendo blackout diffusi e in alcune aree rischia addirittura di non riuscire a riscaldare le case il prossimo inverno.
Le autorità cinesi hanno ordinato a molte industrie energivore di rallentare il passo, se non addirittura di sospendere del tutto l’attività. Per questo motivo è crollata negli ultimi mesi anche la produzione di acciaio e alluminio, con un impatto sull’offerta – e dunque sui prezzi – anche a livello internazionale.
Il magnesio è uno dei metalli colpiti in modo più drastico dalle misure, perché consuma moltissima energia: per produrne una tonnellata servono 35-40 Megawattora, che in Cina molto spesso sono generati da centrali a carbone super inquinanti. Le autorità hanno costretto 35 fonderie su 50 a chiudere almeno fino a fine anno, riferisce Argus.
Ad aggravare la situazione per gli utilizzatori c’è il fatto che il magnesio, a differenza di altri metalli, è difficile da conservare: si ossida in fretta, nel giro di tre mesi, dunque nessuno ne mette da parte grandi quantità. E ora che ha smesso di arrivare i magazzini si stanno pericolosamente svuotando, soprattutto in Europa dove non abbiamo più una produzione locale. Ce l’avevamo, un tempo. Ma l’ultimo impianto è stato chiuso nel 2001, «come conseguenza delle importazioni cinesi a prezzo di dumping», si lamenta Assomet, spiegando che «tra il 2000 e il 2021 la produzione di magnesio cinese è aumentata dal 12% dell’offerta globale all’87%, creando un monopolio internazionale effettivo sulle 1,2 milioni di tonnellate l’anno richieste dal mercato».
Nei laminati come quelli impiegati nell’automotive purtroppo non ci sono sostituti per il magnesio, ricorda Amos Fletcher di Barclays, confermando che l’allarme degli industriali europei è serio: «Se l’offerta di magnesio si ferma del tutto, potenzialmente l’intera industria dell’auto sarà costretta a fermarsi». Ma l’Acea, che rappresenta le case automobilistiche, non è l’unica associazione di settore in apprensione. A firmare l’appello ci sono anche European Aluminium, Eurofer, Eurometaux, industriAll Europe, ECCA, ESTAL, IMA, EUWA, EuroAlliages, CLEPA e Metals Packaging Europe.
«L’attuale carenza di forniture cinesi – affermano – ha già provocato prezzi record e distorsioni nella supply chain a livello globale. Le importazioni residue avvengono a prezzi da estorsione, tra 10mila e 14mila dollari per tonnellata, rispetto ai circa 2mila dollari che si pagavano in precedenza quest’anno, rendendo quasi impossibile per le società europee produrre materiali contenenti magnesio a condizioni sostenibili».