Avvenire, 23 ottobre 2021
I melograni pugliesi sono a residuo zero
Il passato è l’Ilva, ed è un passato insostenibile. Il presente e soprattutto il futuro della famiglia De Lisi è la coltivazione del melograno a residuo zero. Uno degli esempi di buone pratiche di questa Settimana Sociale è la Masseria Fruttirossi, il più grande impianto italiano in una coltura che in questi ultimi anni ha visto esplodere la domanda sul mercato italiano. «Non siamo biologici perché non esiste un protocollo ad hoc che renda remunerativa questa scelta per il melograno, ma abbiamo rinunciato alla chimica, glifosato in primis» spiega Dario De Lisi, seconda generazione. Il padre Michele era un dirigente del gruppo siderurgico tarantino e con un socio proveniente sempre dal mondo dell’acciaio, al momento della pensione ha creato nelle campagne di Castellaneta Marina un’azienda gioiello, anche sul piano della sostenibilità. Il sistema di irrigazione è israeliano, per non disperdere neanche una goccia d’acqua; il concime è ricavato dagli scarti di lavorazione della frutta “digeriti” da un impianto di lombricoltura; l’energia fotovoltaica prodotta in azienda la rende autosufficiente. Solo i De Lisi hanno investito 50 milioni di euro per coltivare melograni su 350 ettari.
«La sostenibilità – dice Dario – è un fatto di cultura ma anche di gestione: le scelte che abbiamo fatto per realizzare l’economia circolare si ripagano». Anche perché la grande distribuzione da tempo cercava un fornitore in grado di consegnare frutta fresca da settembre ad aprile. Una capacità produttiva resa possibile da investimenti tecnologici di prim’ordine, come la macchina che pastorizza i succhi di melagrana
a bassa temperatura, utilizzando un’altissima pressione (pascalizzazione). Non è secondaria la formazione del personale, tutto locale. Qui lavorano sessanta dipendenti a tempo indeterminato e duecento stagionali. La forza dell’azienda risiede nelle dimensioni dell’investimento, seguito a un’analisi di mercato certamente ben informata. «Ma anche nel fatto – commenta il proprietario – che noi abbiamo rapporti diretti con la grande distribuzione, senza passare attraverso mediatori». Il punto debole va individuato nella pubblica amministrazione: il complesso agroindustriale è nato da un finanziamento privato, ma quando, per espanderlo ed attrezzarlo, è stato richiesto un contributo a Invitalia, i tempi del contratto di sviluppo non sono stati quelli che ci si attendeva. «Abbiamo aderito nel 2016 ma i soldi sono arrivati anni dopo l’investimento. Stiamo ancora aspettando il saldo» commenta l’imprenditore tarantino.