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 2021  ottobre 23 Sabato calendario

Storia della politica del figlio unico in Cina

Storie e illustrazioni di Figlio unico, graphic novel che affronta di petto il tema delle famiglie che in Cina si trovano a perdere l’unico figlio che per legge gli è stato concesso, provengono da mani diverse. Le storie le ha scritte Wang Ning,, produttore, divulgatore della cultura del fumetto cinese in patria e promotore di quello scambio virtuoso che ha messo in comunicazione il mercato dell’animazione e illustrazione Made in China con il mercato europeo. Classe 1971, Wang ha raccolto episodi di vita vissuta, anche in prima persona, e li ha affidati al talento di tre giovani fumettisti, Ni Shaoru, Xu Ziran e Qin Chang, che hanno dato forma e colore a singoli, tragici, racconti che diventano specchio di un solo, enorme, dramma collettivo che nasce dalla «politica del figlio unico». Se prima del 1979 in Cina si potevano infatti avere tutti i figli che si desideravano, dopo d’allora è stato attuato un controllo coercitivo delle nascite. In conseguenza di quella politica, che ha trovato posto ufficiale nel 1982 nella Costituzione, hanno iniziato a fiorire intere generazioni di figli unici. La sua rigida attuazione ha subìto un parziale arresto solo nel 2016 e poi nel 2021, concedendo ai cittadini di procreare rispettivamente due o tre volte.È valso anche per Wang quello che vale per tutti, ovvero che le cose non ci toccano finché non ci toccano. Morta la cugina ventisettenne della moglie, si è trovato d’un tratto a comprendere ciò che in Cina provano coloro che perdono quel solo figlio che hanno potuto allevare. Di lì, per molti anni e a fasi alterne, Wang ha sentito l’urgenza (e insieme il pudore) di raccontare quel sentimento di «dolore indescrivibile» che si traduce nelle famiglie in «una specie di disperazione mista a impotenza». Ha incontrato quelle che vengono definite in cinese «Famiglie che hanno perso il proprio figlio unico», ha raccolto le loro testimonianze, una ad una le storie. Figlio unico è proprio una miscellanea di quelle storie.
Il fumetto è bello, anche da un punto di vista puramente grafico. I colori invadono il foglio e la precisione del dettaglio non fa che acuire lo sguardo. Ci porta fisicamente nella quotidianità spezzata di madri che perdono figlie, di padri cui viene meno la discendenza, nell’impossibilità di riavvolgere il tempo e non dover allora abortire un figlio anche sano. Se non lo vedessimo svolgersi sulle pagine, ci resterebbe quasi impossibile immaginarlo, anche per via dell’epoca che attraversiamo, in cui il privato è rinforzo del pubblico e il pubblico è una massa composta da un micro-privato sempre esposto: siamo bombardati da video in cui si rivela gioiosamente il sesso del nascituro, baby shower pieni di panna montata e pupazzetti di colore pastello, clip di neonati presi teneramente in custodia dai fratellini e dalle sorelline più grandi.
«Dietro quei 400 milioni di nascite evitate, secondo le stime ufficiali, si intravedono un gran numero di drammi familiari» scrive Cédric Quennesson nell’introduzione al volume. «Intrusiva e malaccettata, la politica del figlio unico ha dato luogo a numerose derive: casi di infanticidio, traffico di bambini, nascite non dichiarate che condannavano i bambini a una sorta di erranza amministrativa (nessun diritto alle cure, nessuna scolarizzazione possibile)». Va letto.