Tuttolibri, 23 ottobre 2021
Yanis Varoufakis parla di libri
Non vuole che i deboli siano vittime per sempre. E con le metafore del mito, in Grecia ben fertili, spiega che il debito è un Minotauro che esige continui sacrifici umani. Yanis Varoufakis, 60 anni, economista, professore universitario, mente di poliedrica cultura (tra Sex Pistols e Kavafis) crede ancora che l’economia possa essere orientata dalla politica verso la giustizia, l’etica, il benessere collettivo. Nel 2015, ministro delle finanze al tempo della crisi greca, cercò una soluzione diversa dal rigore delle banche. Magari con la vecchia dracma. Alla fine si dimise dal governo con un tweet. Ma non ha rinunciato alla lotta. Ha fondato un partito che propugna «disobbedienza realistica». Combatte per un’Europa di popoli e non di banchieri, pubblica libri con la stessa verve ludica con la quale porta la teoria dei giochi nella pancia dell’economia. E naturalmente lancia bordate continue all’establishment in attesa di un nuovo futuro. O meglio di un «Altro presente» come prefigura nella sua fantautopia.
Meglio disobbedire, sempre e comunque (come l’Iris del suo romanzo) piuttosto che costruire la società perfetta?
«Dal momento che nessuna società può essere perfetta (fortunatamente!) dissentire costantemente da ciò che ci circonda è un requisito indispensabile tanto per vivere bene quanto per costruire una società accettabile».
Il capitalismo nel suo mondo utopico è morto: crede che ciò sia possibile?
«A rischio di far inarcare più d’un sopracciglio, affermo la mia salda convinzione che stia morendo in ogni caso – non in un "Altro presente," ma nel nostro. Lasciate che vi spieghi: il capitalismo, in tutte le sue forme (capitalismo competitivo ottocentesco, capitalismo oligopolista del primo Novecento, capitalismo finanziario post-Bretton Woods...), ha due caratteristiche: è guidato dalla ricerca del profitto e lo ricava dai mercati. Ma dopo il 2008, e soprattutto nell’era post-pandemica, l’economia non è alimentata dal profitto, bensì dal denaro delle banche centrali. Inoltre, i mercati vengono sempre più rimpiazzati da piattaforme (Amazon, Facebook etc.) che sono feudi digitali. In breve, si sta già imponendo una sorta di tecnofeudalesimo. Se ho ragione, la domanda non è se il capitalismo sopravvivrà, ma quale sistema ne prenderà il posto: uno che democratizza il lavoro e il tempo libero? O uno che permette a una nuova stirpe di signori tecnofeudali di dominare tutti gli altri? In Un altro presente ho provato a delineare un modello del primo scenario».
Il modello sovietico è stato un fallimento: con l’anarcosindacalismo spagnolo sarebbe andata meglio?
«È vero, il modello sovietico ha fallito. Però in alcuni ambiti ha funzionato, e possiamo trarne importanti lezioni. Il modello di crescita giapponese nel dopoguerra aveva un profondo debito con la pianificazione centrale sovietica (Gosplan) e dovette buona parte del proprio successo (oltre a vari fallimenti) alle teorie e prassi mutuate dal Gosplan. E lo stesso vale per il modello cinese. Comunque, come dimostrano in modo diverso le esperienze sovietiche, giapponesi e cinesi, gli anarcosindacalisti catalani avevano perfettamente ragione a temere allo stesso tempo (e nello stesso modo) il potere della burocrazia statale da una parte, e il potere delle aziende private dall’altra. Nell’Altro presente, ho tentato di tratteggiare un quadro di come le aziende potrebbero funzionare oggi, sfruttando gli odierni strumenti tecnologici, per consentire alla produzione di coniugare la libertà dal potere statale a quella dalle oligarchie capitalistiche».
Perché ha scelto una forma fantascientifica per scrivere un romanzo politico?
«Perché la fantascienza è l’archeologia del futuro».
La guida per la società migliore non è più Marx, bensì l’ammiraglio Picard di Star Trek?
«Marx avrebbe amato Picard! Pensiamo all’episodio 26 della prima stagione di Star Trek - The Next Generation, La zona neutrale, in cui Picard parla con un uomo d’affari del ventesimo secolo (appena scongelato) che non riesce a capacitarsi della notizia che, nel ventiquattresimo secolo, la tecnologia ha permesso agli umani di liberarsi del denaro, della proprietà privata, della povertà, etc. Picard spiega quindi che, una volta soddisfatti bisogni e desideri con la tecnologia dei replicatori, il profitto privato perse qualunque senso e l’aspirazione delle persone divenne migliorarsi, non accumulare beni. Lo scaltro uomo d’affari gli risponde: "Capitano, lei ha frainteso tutto. L’importante non è mai stato il possesso di beni o denaro. È sempre stato il potere." Al che Picard risponde: "Il potere è sempre stato un’illusione." Se avesse potuto vederlo, Karl Marx si sarebbe alzato ad applaudire Picard!»
Nell’Altro Presente l’Eurovision Song Contest è un modello per stabilire il giusto stipendio: come le è saltata in mente una simile idea?
«Non sono stato io ad avere l’idea. L’ho vista messa in pratica da un’azienda americana basata sul management orizzontale. Mi dissero di aver preso dall’Eurovision l’idea di dare a ogni dipendente una certa quantità di "punti" che poteva assegnare ai colleghi (ma non a sé stesso)».
Ma è per caso appassionato di musica pop?
«Se mi piace l’Eurovision? Neanche un po’. Però devo ammettere che in passato mi sono divertito a saltare le canzoni orrende per osservare il procedimento di voto! »
Le depressioni economiche possono essere humus su cui crescono mostri politici: dalla pandemia che cosa sta nascendo?
«Già nel 2007 mettevo in guardia dal rischio che la deflazione diventasse l’humus di mostri politici, una profezia tristemente trasformata in realtà dalle politiche post-2008 di "socialismo per i banchieri e austerità per tutti gli altri" generate dall’Internazionale Nazionalista (da Trump a Salvini, da Modi a Bolsonaro) che ha a sua volta generato il nostro presente post-democratico, post-capitalista – un processo che è stato accelerato dalla pandemia. È così che è nato il nuovo regime, che chiamo tecnofeudalesimo. È la realtà cui adesso dobbiamo sottometterci o che, come consiglio, dobbiamo tentare di rovesciare».
Lei si è vaccinato?
«Certo che sì: sono un fanatico fautore dei vaccini come bene comune».
Nel finale del romanzo il protagonista inforca la moto e se ne va. Che cosa rappresenta per lei la motocicletta?
«Felicità! Ho sessant’anni, ma ancora oggi, tutte le volte che salgo sulla mia moto, sento lo stesso brivido, lo stesso sorriso sul volto di quando ne avevo sedici».
Oltre le due ruote, che cos’è la felicità?
«Uno stato di beatitudine che si può raggiungere soltanto se non ci si sforza di raggiungerlo. Uno stato che, con un po’ di fortuna, si può ottenere come effetto collaterale di una vita creativa e virtuosa. Non diversamente dal fare del bene, che si può fare davvero soltanto se non lo si fa per un motivo, ma per il gusto di farlo».
Il mito di Efesto ci ammonisce: la tecnologia è la rovina dell’uomo?
«La tecnologia, come sappiamo tutti, è sia una benedizione sia una maledizione. Ma ha questo di bello: ci costringe a essere responsabili del grande potere che scateniamo inventandola».
Dobbiamo rivalutare i luddisti?
«Sono il movimento più frainteso della storia. Non furono mai contro la tecnologia, bensì contro l’uso della tecnologia da parte dei proprietari delle macchine, che andava a discapito della maggioranza dei lavoratori. Dobbiamo recuperare il loro progetto: trasformare le macchine nei nostri schiavi, e non viceversa».
Che errore ha commesso da ministro e non commetterebbe mai più?
«Lavorare duramente in favore di un periodo di quattro mesi per "calmare le acque" e dare ai nostri negoziati con la troika una chance per il raggiungimento di un accordo accettabile. Invece avrei dovuto staccare la spina fin dal primo giorno».
Che cosa accadde invece nel 2015?
«Quando diventai ministro, la troika aveva già cinicamente spostato il debito della Grecia dalle banche private (che avevano scioccamente prestato montagne di denaro al nostro stato corrotto) alle spalle dei contribuenti europei. Berlino, la BCE e la troika architettarono un assalto agli sportelli in Grecia, spianando la strada alla chiusura delle banche, in modo da abbattere un governo che diceva di no all’ennesima carta di credito. Quando ci riuscirono, ci venne data un’altra carta di credito. E poi un’altra. E adesso, durante la pandemia, un’altra ancora tramite la BCE. Il risultato? La Grecia e i greci sono più che mai in bancarotta, e la nostra bancarotta costa più che mai agli europei, ma nessuno ne parla. Omertà!»
La Grecia dunque non si è mai ripresa?
«Sta scherzando? Nel 2010 fummo dichiarati (correttamente) in default perché il nostro reddito nazionale era sceso da 220 a 200 miliardi di euro, mentre il debito pubblico era salito a 295 miliardi. Oggi il nostro reddito nazionale è meno di 170 miliardi e il debito pubblico è di 360 miliardi!»
Ha mai comprato azioni (magari con senso di colpa, come il protagonista del suo romanzo che vende allo scoperto future intuendo il crack prima dell’high tech e poi di Lehman Brothers)?
«No, ma il mio fondo pensione australiano ha comprato azioni con i miei contributi pensionistici. E senza chiedermi il permesso!»
Cita molti poeti.
«La poesia è l’unica arma di cui disponiamo per impedire ai sogni di mutarsi in incubi».
Il libro più importante della sua vita?
«L’Odissea».
Quello che la faceva sognare da bambino?
«L’isola misteriosa di Verne».
Che libro tiene sul comodino da notte
«Il principe nero di Iris Murdoch».
Il testo più importante per la sua formazione politica?
«I Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx».
Il debito è uno dei grandi peccati del capitalismo: lei si è mai indebitato? (carta di credito, mutui, etc etc…)
«Certo. Ho vissuto gran parte della mia vita, da studente e in seguito da docente a contratto, sprofondato nei debiti. Ho un’esperienza diretta di cosa significa avere questo peso sulle spalle».
Che cosa fa per rilassarsi?
«Suono il pianoforte. Trovo meravigliosa la rapidità con cui mi fa dimenticare chi sono, dove sono, tutto. Sarò eternamente grato della possibilità che mi offre di sfuggire al mio "ego," alla mia situazione».
Smetterà di fare politica?
«No, mai. Ogni mio respiro è quello di un animale politico, per usare l’espressione di Aristotele».