Corriere della Sera, 22 ottobre 2021
Totò contro i nazifascisti
L’attore sfuggì di poco all’arresto nella Roma occupata
«Il Mezzogiorno non esisteva per noi. Io, da “nordista”, pensavo che nell’esperienza settentrionale ci fossero dei valori specifici superiori. Era una stupidaggine». Vittorio Foa, uno dei padri della Repubblica, a distanza di anni sintetizzava così il vuoto di memoria delle vicende dell’Italia meridionale già liberata, tra il 1943 e il 1945, mentre al Nord si combatteva la Resistenza. A partire dallo sbarco in Sicilia, con la progressiva avanzata degli angloamericani nelle regioni meridionali fino alla liberazione di Roma nel giugno del 1944, per una parte di italiani inizia quello che è stato definito un «dopoguerra anticipato». Di cui però si ha poca conoscenza, se non per alcuni eventi come le Quattro giornate di Napoli.
In quella pagina di storia c’è molto altro, come racconta Paisà, sciuscià e segnorine. Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile (Il Mulino), il nuovo libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri. Scontri violenti, bombardamenti, stragi, rappresaglie, stupri (tra cui le «marocchinate»), rastrellamenti, saccheggi e sfollamenti accompagnano la ritirata tedesca e la liberazione da parte degli Alleati, la cui presenza sul territorio e la convivenza forzata con la popolazione civile non sempre è pacifica e gioiosa.
La fame, le macerie e la disperazione – di cui si è nutrita la stagione del cinema neorealista, lasciandocene testimonianza in film come Paisà di Roberto Rossellini e Sciuscià di Vittorio De Sica – scandiscono la quotidianità. Mancano alloggi e trasporti, il caro-vita è aggravato dalla robusta emissione di am-lire, il mercato nero e la disoccupazione dilagano, mentre molte famiglie soffrono la mancanza dei reduci. «Mi piacerebbe venire a trovarti – si legge in una lettera da Crispiano (Taranto) del 15 settembre 1944 – ma come faccio? Non posso uscire perché non ho scarpe. Sono andato a Taranto con le scarpe di mio cugino. Lavoro giorno e notte ma non sono riuscito a comprare un paio di scarpe perché devo aiutare in famiglia». Una disperazione diffusa, che alimenta tensioni sociali, recrudescenze criminali, delinquenza minorile, prostituzione.
Ma ci sono anche i primi sprazzi di libertà e di democrazia, la ripresa del dibattito politico e sindacale: in tutte le regioni del Sud i partiti dell’epoca pre-fascista e quelli nuovi iniziano a riorganizzarsi, aprendo sezioni e tenendo affollati comizi nelle piazze. C’è voglia di tornare alla vita dopo il buio della dittatura e della guerra e un carico di speranze e aspettative – non tutte mantenute e non tutte a buon mercato – legate all’arrivo degli americani con il loro pane bianco, cibo in scatola, caramelle, chewing-gum, gli occhiali Ray-ban, le jeep, il jazz, i balli. Una presenza che con il passare dei mesi sarà percepita come sempre più ingombrante, accompagnata da degrado morale, sociale e anche economico per il loro ruolo di liberatori-conquistatori-occupanti. «Quante ragazze – si legge in una lettera segnalata dalla censura militare nella relazione del gennaio 1945 – si stanno sposando con gli americani. Sono tutte donne illuse di andare in America non appena finisce la guerra, ma non pensano che verranno lasciate in abbandono. E poi cosa faranno? Ormai non c’è più la donna italiana ma bensì la madama o la Miss». Ed è anche il Sud della protesta del «non si parte», contro i richiami alla leva, e delle lotte contadine, in qualche caso con la costituzione di effimere repubbliche.
Mario Avagliano e Marco Palmieri hanno compiuto una lunga e meticolosa ricostruzione storica, attraverso una pluralità di fonti coeve: lettere, diari, corrispondenza censurata, relazioni delle autorità italiane e alleate, giornali, canzoni, film. Il nuovo libro della coppia di storici, che con questo metodo ha indagato varie pagine del periodo tra fascismo, guerra e dopoguerra, è un racconto corale in cui le vicende istituzionali e militari restano sullo sfondo, mentre viene ricostruito dettagliatamente quel clima che Curzio Malaparte in Kaputt esemplifica così nella frase citata nella quarta di copertina del volume: «Tutti fuggivano la disperazione, la miserabile e meravigliosa disperazione della guerra perduta, tutti correvano incontro alla speranza della fame finita, della paura finita, della guerra finita, incontro alla miserabile e meravigliosa speranza della guerra perduta. Tutti fuggivano l’Italia, andavano incontro all’Italia».
La forza di questo libro è la ricchezza di frammenti di storie individuali che catturano e avvincono, ricostruendo in presa diretta la vita del Mezzogiorno e del Centro Italia dopo la liberazione e dimostrando come al Sud la transizione dal fascismo alla democrazia sia avvenuta in anticipo, anche se con modalità assai differenti rispetto al Settentrione. Roma e il Sud sotto il controllo degli Alleati sono un laboratorio della democrazia dopo il ventennio, con un percorso di discontinuità rispetto al passato, con un primo abbozzo di Resistenza, sia attraverso i tanti militari che dopo l’armistizio rifiutano di consegnare le armi ai tedeschi e ingaggiano furiosi combattimenti contro la Wehrmacht, sia attraverso i vari episodi di resistenza spontanea e popolare o la costituzione di bande partigiane, soprattutto in Campania e in Abruzzo, ribaltando l’opinione comune che la Resistenza sia stata appannaggio solo del Nord.
Sullo sfondo – ma vera protagonista del libro di Avagliano e Palmieri – c’è la popolazione che ha voglia di ricominciare a vivere, di divertirsi, di sperimentare la libertà, anche di fondare radio e giornali: nascono in questo periodo Radio Bari e Radio Napoli, l’Ansa, la Rai, periodici come «Rinascita», «Noi donne», «Mercurio», «l’Uomo Qualunque».
Straordinario l’ultimo capitolo del libro che racconta la rinascita della cultura, del cinema, del teatro e dell’informazione. Nella capitale occupata dai tedeschi Totò e Anna Magnani, con un coraggio che rasenta l’incoscienza, non perdono occasione ad ogni replica di strizzare l’occhio al pubblico con allusioni e battute a doppio senso, che si riferiscono alla situazione politica, alla Rsi e ai tedeschi. Rappresentando il pastore Aligi ne II figlio di Jorio, una parodia del testo dannunziano scritta da Eduardo Scarpetta, Totò si scatena letteralmente ripetendo in tono implorante alla soubrette «Vieni avanti! Vieni avanti! E vieni avanti!», riferendosi chiaramente agli americani sbarcati ad Anzio, che non si decidono ad avanzare verso Roma.
La sera del 2 maggio 1944, Totò, che è appena rientrato a casa con la bicicletta, riceve una telefonata: una voce anonima gli comunica che è in partenza a suo nome un telegramma di convocazione al comando di polizia e che è stato già firmato un mandato di cattura da eseguirsi il giorno dopo per lui, Eduardo e Peppino De Filippo. Totò abbassa il ricevitore ed esce subito di casa, inforca di nuovo la bicicletta e va al Teatro Eliseo, dove i tre fratelli De Filippo stanno recitando nel Berretto a sonagli di Pirandello, per avvertirli che i fascisti hanno preparato una lista di persone da deportare, nella quale ci sono anche i loro nomi. Quella stessa sera Totò assieme a Diana e alla piccola Liliana va a nascondersi fuori Roma, per ripresentarsi solo dopo l’arrivo degli Alleati nella capitale, dove ripropone con la stessa compagnia, la stessa coprotagonista Anna Magnani e lo stesso regista Michele Galdieri, una nuova rivista, Con un palmo di naso, al Teatro Valle, il 26 giugno 1944. Nello spettacolo un pirotecnico Totò veste i panni di Mussolini e viene sbeffeggiato dalla Magnani (nei panni di Salomè, ovvero dell’intera Italia) sulle note di Ciccio Formaggio, la canzone di Nino Taranto. Strepitosa anche la sua caricatura di Hitler, sul tema di Lili Marleen.