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 2021  ottobre 22 Venerdì calendario

Sostiene Tabucchi. Intervista a Riccardo Greco


Professor Riccardo Greco, suo padre Lorenzo fu il più grande amico di Antonio Tabucchi e lei ne è stato allievo. Che cos’ha provato scorrendo i suoi vecchi registri, poi gli appunti, le lettere autografe e i giudizi sugli allievi di quando, nel lontano 1969, insegnava italiano nell’ex scuola media di Gavorrano?
«Appena appreso del sorprendente ritrovamento, la memoria è andata agli anni in cui fui appunto allievo di Tabucchi all’Università di Siena,e quando sviluppai una certa confidenza con il suo modus operandi, con la sua calligrafia e alcuni temi ricorrenti che compaiono anche nei registri scolastici maremmani. Le assicuro è stato molto emozionante».
Che cosa ha ritrovato del carattere di Tabucchi in quel materiale? Era un professore severo? È vero che si sentiva stretto in quel programma ministeriale e spesso portava in classe autori come Cervantes?
«Tabucchi nell’anno scolastico 1969-1970 aveva 26 anni e si è ritrovato catapultato in un mondo alieno. E non parlo del paesaggio e della gente, a lui familiari in quanto toscano verace, ma del mondo della scuola. Ho avuto la sensazione che colmasse con il cuore la distanza che avvertiva con l’intelletto. Tabucchi si era appena laureato e a breve avrebbe vinto una borsa di perfezionamento alla Scuola Normale, e questo mi fa pensare che in quel periodo fosse immerso nei suoi approfondimenti e che il dover insegnare epica e il Foscolo a ragazzi tra gli 11 e i 13 anni diventasse un’impresa».
Lei ha percepito questo disagio anche dai registri?
«Sì, una certa necessità di allargare gli stretti orizzonti imposti dai programmi si avverte e infatti si trovano annotati, tra gli argomenti trattati, Cervantes, il Barocco spagnolo, Camões, e poeti moderni come Paul Éluard. Sarà interessante approfondire se c’è un legame tra ciò che spiegava in classe a Gavorrano e le pubblicazioni accademiche di quel periodo e degli anni a venire».
E con gli alunni com’era?
«Il Tabucchi maremmano sembrava tutt’altro che rigido sia nelle valutazioni sia nel rapporto umano con i ragazzi. Immaginarlo in quelle vesti mi fa ripensare ad Alberto Manzi, quando di alcuni suoi studenti scriveva «fa quel che può, quel che non può non fa».
All’Università di Siena, e lei ne sa qualcosa, diventò più severo?
«Giunto al massimo grado del suo magistero diventò severo e la stesura della tesi era una vera iniziazione al lavoro culturale: quello rigoroso, instancabile, da autentico filologo».
E tornando al faldone con sopra scritto a pennarello Antonino Tabucchi che ci avete trovato?
«Oltre ai registri di classe e del professore, ci sono lettere indirizzate al preside in cui Tabucchi chiede perlopiù dei giorni di permesso per le sue ricerche, qualche volta spedite direttamente dal Portogallo, oppure certificati medici. Va anche ricordato che nel gennaio del 1970 si sposò e a novembre nacque suo figlio Michele, il primogenito».
Nel suo primo romanzo Piazza d’Italia lui parla proprio di questo scorcio di Maremma in cui cominciò a insegnare ai ragazzi letteratura italiana.
«Sì, uscì nel 1975, e vi ritroviamo paesaggi che possono rimandare alla Maremma, ma sappiamo che c’è molto anche della campagna vecchianese, con i suoi paduli, gli anarchici, i tagliatori di cannelle».
Che ne sarà di questo preziosissimo materiale?
«Se ne prenderà carico la nostra associazione. La volontà, a partire da quella dell’ex moglie di Tabucchi Maria José de Lancastre è digitalizzarlo e studiarlo, e poi dedicheremo alla scoperta un convegno. Ma vorremmo pure che nascesse un progetto all’interno della sua vecchia scuola, chiedendo agli studenti di oggi di andare a cercare i vecchi allievi di Tabucchi del 1969-1970. Anzi, prendo l’occasione per lanciare un appello, sarebbe bellissimo. —