il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2021
Russia, lo Stato virile è fuorilegge
Fitness, steroidi, nazismo e “patriarcato nazionale”. La gang digitale dei misogini russi di Muzhskoe gosudarstvo, “Lo Stato virile”, che ha minacciato e ricattato in questi anni donne, femministe, minoranze e perfino catene di sushi, è stata finalmente dichiarata “organizzazione estremista” dal tribunale di Nizny Novgorod il 18 ottobre scorso. “L’organizzazione ha l’obiettivo di cambiare l’ordine costituzionale e pensa che le autorità russe stiano organizzando un genocidio contro la popolazione maschile” ha scritto nella sua sentenza la giudice Anna Belova, dichiarando fuorilegge il movimento nato sul web.
A guidare questa legione di xenofobi che vogliono istituire “il patriarcato di Stato” c’è Vladislav Pozdnyakov, 30 anni, che ha fondato il movimento su Vk, il facebook russo, nel 2016. Muscoli sempre pompati e luccicanti, con il sorriso in ogni selfie, il bodybuilder che ha abbandonato gli studi di medicina – ma molte volte si è presentato come dottore –, ha cominciato sette anni fa a ingrossare le vene del web russo di odio contro donne, gay, caucasici, definendoli “spazzatura biologica” e malati mentali. L’obiettivo delle centinaia di migliaia di ragazzi che lo hanno eletto loro leader era quello di ripulire la Russia e “tornare al patriarcato delle famiglie bianche, per non far infettare le menti dei bambini dai liberali”. Assetato di soldi e celebrità, riferisce ora il suo ex braccio destro Dmitry Popov, Pozdnyakov cominciò a farsi seguire sui social condividendo foto di ragazze senza il loro consenso. In seguito ha capito che il traffico e i suoi introiti aumentavano se minacciava femministe, blogger e attiviste che sono state poi aggredite non solo nel mondo virtuale, ma anche per le strade della Federazione dai suoi seguaci. “Le donne usano il potere accumulato dagli uomini da secoli”. Tra le citazioni preferite dell’allenatore di fitness c’è quella dell’attentatore del massacro del Politecnico di Montréal, che nel 1989 uccise 14 studentesse che “avrebbero rubato lavoro agli uomini”. Quando Vk ha chiuso la sua pagina nel 2020, Pozdnyakov e i suoi 160mila membri si sono trasferiti su Telegram. Già nel 2017 a Khabarovsk, grazie a un infiltrato dell’Fsb, servizi di sicurezza russi, furono arrestati quattro membri del gruppo. Ma perché finora “Stato Virile” abbia operato con impunità lo ha chiesto anche Oksana Pushkina, vicina alla causa Lgbt nonostante sia un volto noto di Russia Unita, il partito del presidente. L’accusa che parte del Mvd, ministero dell’Interno russo, collaborasse con loro è partita da alcuni attivisti che hanno cominciato a chiedersi come facesse un gruppo di radicali ad avere accesso ai dati personali dei cittadini che diventavano loro bersagli. I loro indirizzi venivano diffusi online insieme a incitamenti alla violenza.
In questi anni “Stato Virile” è sceso in strada chiedendo di eliminare le leggi contro la violenza domestica e ha minacciato di morte una cittadina russa che aveva sposato un uomo di colore: il nigeriano Eluemunor Richard Okasia, deceduto per salvare una ragazza che stava affogando a Kaliningrad. Nel 2018, mentre la Russia dava l’immagine migliore di sé agli stranieri in arrivo per tifare ai Mondiali, Pozdnyakov cominciò a postare foto di donne che facevano amicizia con fan di altre nazioni chiedendo ai seguaci di attaccarle. Le autorità decisero di muovergli un’accusa di incitamento all’odio “con azioni che hanno lo scopo di umiliare la dignità umana delle donne”, una condanna ben presto depenalizzata e dimenticata. Dopo i campi da calcio, a finire nel mirino dello “Stato Virile” sono stati i supermercati Vkusvill, colpevoli di aver fatto pubblicità evidentemente favorevoli ai diritti Lgbt usando, per reclamizzare i prodotti, una famiglia di sole donne. Qualche settimana dopo, sommerse da minacce di morte, la madre Yuma, le figlie Mila e Alina e la sua fidanzata Ksysha sono scappate a Barcellona e l’azienda ha fatto retromarcia scusandosi “per l’errore”. Non hanno seguito lo stesso percorso due catene di sushi che hanno acceso la miccia di una protesta poi finita sotto il martello della giudice nel tribunale di Novgorod. Il primo ristorante di cucina giapponese a essere attaccato è stato “Yobidoyobi”, dopo aver usato modelli di colore sui suoi social, seguiti da migliaia di persone che mangiano nelle sue filiali sparse nella Federazione. Ha fatto lo stesso la catena siberiana Tanuki, che ha usato ragazzi neri per le sue promozioni. Pozdnyakov ha minacciato le aziende di “paralizzare” i ristoranti se non si fossero “scusate con la nazione russa, a cui hanno tentato di imporre valori alieni”: i fan del bodybuilder ordinavano in massa cibo a ogni latitudine, rifiutandosi di pagare quando veniva consegnato il sushi. Le sedi di Tanuki sono state minacciate di esplosioni imminenti. È stato allora che, pubblicamente, le società hanno chiesto al Cremlino di vietare “l’organizzazione medioevale” e chiudere i suoi canali social. Pozdnyakov, re delle messinscena che nel 2020 è riuscito a far credere a tutti di essere morto e solo qualche mese fa ha millantato di essere stato arrestato al confine azero, nessuno sa dove sia. Il personaggio ha riferito recentemente di trovarsi prima in Germania, poi in Polonia, poi a Cipro. Il suo gruppo, che ha gemelli digitali quasi identici in Serbia e nei Paesi della ex Jugoslavia, risulta adesso in Russia ufficialmente fuorilegge. Le idee che ha propagato fino a ieri, purtroppo, ancora no.