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 2021  ottobre 22 Venerdì calendario

La Turchia taglia i tassi del 2%


Alla fine è andata persino peggio di quanto si aspettassero gli analisti. Le cui previsioni erano già improntate al pessimismo. Gettando un guanto di sfida ai mercati internazionali, e seguendo il copione “suggerito” dalla presidenza della Repubblica, la Banca centrale turca ha deliberato un nuovo taglio dei tassi di interesse, pari a 200 punti base, portando quello di riferimento dal 18 al 16 per cento.
Si tratta del secondo taglio in un mese (in settembre si era passati dal 19% al 18%). La decisione si è subito riflessa sulla valuta turca. La lira, che da inizio anno ha perso il 22%, ha accusato ieri un calo fino al 2,8%, toccando un nuovo minimo storico a quota 9,49 lire per dollaro americano. Un calo marcato è avvenuto anche nei confronti dell’euro, scambiato sopra quota 11 lire. Dal 2o18 il crollo della valuta turca sul dollaro ha superato il 60 per cento. Dieci anni fa per acquistare una lira era sufficiente un dollaro e ottantasei cents.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è dunque determinato ad andare dritto per la sua strada. Ovvero quella della crescita a tutti i costi, e con tutti i mezzi. Dalla sua parte ha un consistente rimbalzo del Pil, che nel 2021 dovrebbe registrare un vigoroso aumento pari al 9 per cento. La lira debole, aiutata dalla ripresa della domanda internazionale post Pandemia, gli ha comunque permesso di accrescere sensibilmente l’export.
Sono ormai anni che Erdogan, pur volendo combattere l’inflazione, si schiera contro gli alti tassi di interesse da lui stesso definiti «la madre e il padre di tutti i mali». Il problema è che gli effetti collaterali di questa politica economica non convenzionale si stanno facendo sentire da tempo. La galoppante inflazione e la svalutazione della Lira si sono infatti rivelate un connubio estremamente negativo per le famiglie turche, il cui potere di acquisto è stato mutilato.
Tutto ciò avviene a dispetto del monito lanciato di recente dalla Banca Mondiale sui pericoli di instabilità finanziaria in Turchia in caso di tagli dei tassi: «La continuazione di una politica monetaria espansiva potrebbe indebolire ulteriormente la fiducia degli investitori, aumentare la volatilità del mercato e minacciare la stabilità macrofinanziaria nel prossimo periodo», ha detto la Banca mondiale.
Eppure nonostante già in settembre l’inflazione superasse i tassi di interesse, la Banca Centrale ha preferito seguire la linea del presidente Erdogan. D’altronde dopo aver cambiato 4 governatori della Banca centrake in due anni e mezzo, lo scorso 14 ottobre Erdogan ha sollevato dall’incarico i vicegovernatori Semih Tumen e Ugur Namik Kucuk e a un altro membro dell’ente, Abdullah. Rei, secondo le indiscrezioni, di perseguire una politica favorevole a rialzi dei tassi.
L’inflazione resta l’emergenza nazionale. Secondo l’ufficio di statistica turco, nel mese di settembre è cresciuto ad un tasso annuo del 19,58 per cento (+1,25% sul mese precedente) Livelli alti. E queste sono le stime ufficiali. Secondo i calcoli del gruppo indipendente per l’inflazione (Enag), creato di recente da un manipolo di accademici turchi, il costo della vita ha già raggiunto il 40%, un livello insostenibile.
Agli occhi dei mercati, e degli analisti internazionali, la ricetta di Erdogan per battere l’inflazione – ridurre il costo del denaro per ridurre il caro vita – somiglia ad un ossimoro. In sostanza è il contrario di quello che fanno le banche centrali di mezzo mondo. Gli effetti si sono già fatti sentire; i flussi di capitale straniero si sono drasticamente ridotti, soprattutto nell’ultimo mese. La crisi di liquidità in valuta pregiata sta assumendo proporzioni preoccupanti.
Davanti all’ostinazione di Erdogan, la vigilia della riunione della Banca centrale è scesa in campo anche la Turkish Industry and Business Association, la maggiore associazione delle imprese turche. Che ha difeso con forza, definendola «essenziale», l’indipendenza della Banca centrale. «La cosa più importante e fondamentale per la prosperità del Paese- scrive il rapporto – non sono gli sviluppi a breve termine ma la traiettoria a lungo termine».
Tusiad rappresenta 4.500 aziende che generano l’85% del commercio estero turco. È raro vederla criticare l’operato del Governo. Ma questa volta sembra che non abbia potuto farne a meno.