Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 22 Venerdì calendario

Vi ricordate del Polesine?

ROVIGO. Sull’argine, nessuno. Chilometri di argine, da Porto Viro ad Adria, una sera di ottobre, se si apre il finestrino entra l’odore della laguna. Ma la gente, dov’è? Nel buio, poche luci lontane, eppure ci sono dei paesi là sotto, per strada solo nutrie grasse, più nutrie che persone, in Polesine, sicuro. Il buio è lo stesso di 70 anni fa, quando nel Delta arrivò la grande acqua, piovve undici giorni e il vento era scirocco. Nella memoria, Polesine significa ancora alluvione, la prima del 1951, poi nel ’57, nel ’60, nel ’66. Era la malora, non si faceva in tempo a rimettersi in piedi che arrivava un’altra piena e si ripartiva da capo. Emigrarono in 80 mila, uno su tre. Solo qualcuno tornò, e questo spiega i paesi vuoti, le case abbandonate nella pianura enorme che di notte mette paura.
Piatta, buia, è stata una terra di carestia, "la Cenerentola del Veneto. Poi è arrivato il riscatto. Il salto di qualità. Negli anni Duemila il Pil era già arrivato al livello di quello regionale" dice Francesco Jori, studioso, curatore della mostra che si inaugura domani 22 ottobre a Rovigo, a Palazzo Roncale. Cinquant’anni, ci hanno messo. Quest’area mista di acqua dolce e salata, campi e ponti, canali che si intrecciano, idrovore, è stata il Meridione del Veneto, i parenti poveri costretti ad andarsene. Migranti climatici, li si direbbe oggi. La loro terra non c’era più, migliaia di animali annegati nelle stalle, i contadini piangevano perché non potevano salvarli, una foto mostra le vacche con il muso a pelo dell’acqua, gli occhi impazziti dalla paura.
Nel racconto di una contadina che abbandonò la casa di Donada il 17 novembre 1951 c’è quella stessa disperazione grande. "Nessuno sparecchiò", tutti corsero verso il punto di raccolta. A gennaio lei tornò, la barca accostò alla finestra del primo piano: entrò in camera da letto, era in ordine come l’aveva lasciata. Si affacciò sul vano scala e vide l’acqua nera, ferma, che copriva il sotto. Così per chilometri, l’acqua sommerse tutto. Ci furono relativamente pochi morti, data la vastità della distruzione. Centouno vittime, quelle accertate. Di queste, 84 tra bambini, donne, anziani, morirono insieme sul "camion della morte", scrissero i giornali. Scappavano da un’acqua cattiva, ma l’autista non era del posto, sbagliò direzione. Li hanno seppelliti a Frassinelle, e sono ancora lì. 
"La prima semina della barbabietola fu nel ’52, ma il raccolto andò male. Le barbabietole avevano il ’bisso nero’, una malattia. Geremia Gennari aveva dieci anni, ricorda bene i dettagli, il Po che cresceva e suo padre che diceva: "Sarà come quando i tedeschi nella ritirata hanno tagliato gli argini. Si riempiranno i fossi...". Poi si spostarono in paese, poi portarono il bestiame sull’argine, poi attraversarono in barca il canale e si ritrovarono sfollati in Emilia.


Grandi opere e trivelle
Dopo Gennari studiò, entrò in politica, fece l’amministratore, fu dirigente della Coldiretti, vide da vicino il boom del Veneto dei Sessanta, e anche quello più lento dei suoi paesi. Lo Stato fece grandi opere, come la Transpolesana, e mise tre miliardi di lire per rinforzare gli argini, su terre che sono 3-4 metri sotto il livello del mare, come l’Olanda. Ci fu la riforma agraria, i poderi e le nuove vacche concessi alle famiglie, le case popolari, l’interporto di Rovigo, la centrale elettrica. "Ci fu la tenacia della popolazione, e un’onda di crescita", un’onda buona, infine.
Marco Gottardi, funzionario del Parco del Delta del Po veneto, ente che sta conducendo una battaglia contro il progetto delle trivelle per estrarre il gas dal mare, contro il rischio concreto di un ulteriore abbassamento della terra, conosce le onde buone e quelle cattive. Il padre emigrato a Torino, lui nato lì nel ’59, quartiere Pellerina: "Mio padre aveva nostalgia, voleva morire a casa. Tornammo nel ’66, e non c’era neanche l’acqua potabile". Quando l’acqua si ritirò, e ci vollero mesi di bonifica, la terra fu da subito fertile, ricca di minerali e sostanza organica. Lì si è impiantata una delle chiavi del successo del Polesine moderno. L’agricoltura, la barbabietola per gli zuccherifici che si stavano costruendo, poi le colture di qualità, la ricerca dell’eccellenza ovvero dei marchi Dop e Igp, che sono il riso del Delta (su novemila ettari), l’insalata di Lusia, l’aglio bianco, il melone, il miele, la zucca.
Oggi, ci sono stabilimenti dove si fa la "quarta gamma", si imbusta, si mette sottovuoto l’ortofrutta e si spedisce alle catene dei supermercati, e all’estero. Tutto fresco, da questi campi asciugati dall’acqua, è stata un’impresa epica e anche biblica, si racconta ancora di una mamma che mise il figlio neonato in un cesto e lo affidò alla corrente, perché almeno lui si salvasse. Non si è mai capito se è successo davvero, o se è una di quelle leggende che nascono nella paura.


Ostriche e computer
"Soffre di vertigini? No? Allora mi segua". Si sale sulla torre Donà, che è il grattacielo di Rovigo, seguendo il sindaco Edoardo Gaffeo, 54 anni, docente di Politica economica a Trento. La torre è medievale, è il simbolo della città, restaurata con una struttura di scale, 17 rampe da 17 scalini, si sale nel vuoto e infine si guarda sotto. Da una parte il Po, dall’altra l’Adige, in fondo c’è il mare. Una provincia piccola, "230 mila abitanti, territorio tra i più anziani d’Italia". Però c’è l’università, partita vent’anni fa con le sedi distaccate di Padova e Ferrara, duemila studenti che possono studiare qui invece di andare a Padova e a Ferrara, e "adesso si inaugura il corso di laurea magistrale in inglese, in Ingegneria idraulica: si comincia con cinquanta studenti, tutti stranieri", evidentemente all’estero sanno che la materia è di casa, "e poi serve una narrazione legata all’acqua, ma in chiave positiva e moderna". Il ricordo, certo, poi il futuro "su un territorio che dal punto di vista idrogeologico è il più sicuro del Nord Italia", adesso.
Gaffeo pensa che qui "si è trasformata la sfortuna in opportunità", poi c’è ancora così tanto da fare: "Una delle chiavi di volta di città così piccole è la cultura, la possibilità di formarsi e il potenziamento di quello che c’è, il teatro, il conservatorio e le grandi mostre, il turismo culturale ma anche l’Innovation Lab", che è poi il vecchio liceo trasformato in palestra digitale, con i laboratori per il co-learning, co-working, co-design. I corsi per i bambini, che imparano a programmare, e per i nonni analfabeti digitali, alle prese con il computer o la macchina a taglio laser. "Siamo una terra storica di emigrazione, perciò bisogna lavorare perché i giovani restino, per scelta".
Poi, c’è la vongola. Anche l’ostrica, che qui è rosa. Gli impianti in laguna, la mattina gli allevatori vanno a raccogliere, ed è tutto oro. Il distretto con base a Porto Tolle è cresciuto specializzandosi nei molluschi, e con i colleghi veneziani ne produce tonnellate, per milioni di euro. A Scardovari, nella cavàna di Alessio Greguoldo, si incollano le ostriche sul filo, poi si appendono in acqua, "sono l’unico a usare energia rinnovabile, con pannelli fotovoltaici e l’eolico", altri seguiranno. Le sue ostriche finiscono nelle cucine dei grandi chef, "e il futuro è nel territorio, nel prodotto di qualità, e in una vita di qualità. E come vede, noi viviamo già in un quadro". La laguna manda lampi metallici, c’è una grande quiete, e ci sono anche le barche della vigilanza per evitare furti di molluschi.


Da Bergantino a Coney Island
C’è un altro distretto importante, ed è quello della giostra. Nato nel dopoguerra a Bergantino, "dai meccanici di biciclette che dovevano campare", racconta l’imprenditore Giorgio Cuoghi davanti allo spritz. Un genio delle luci, sono sue quelle che illuminano Coney Island. Settanta imprese, 500 addetti, costruiscono ruote panoramiche e altre attrazioni gigantesche che esportano nel mondo, e anzi sono i primi nel mondo, avendo resistito all’alluvione, essendosi specializzati nella lavorazione del legno e delle resine. "Mio padre era meccanico, montava gli abbeveratoi nelle stalle. Siamo una categoria di spiriti liberi, di inventori che volevano correre, volevano una vita diversa". Nati in povertà, via dalla povertà, ma lasciando le radici tra la terra e l’acqua, dove adesso c’è il grande Parco di dune e boschi, ora Mab Unesco. Moreno Gasparini, presidente del Parco: "Un milione e centomila visitatori, quest’anno. Il nuovo turismo è eco, è slow, è fatto di bici, grandi spazi, archeologia, cultura, il Po". Poi, come dice Gottardi,  "per noi il fiume è sempre stato la casa", persino quando era cattivo.