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 2021  ottobre 21 Giovedì calendario

Non c’è mai pace per chi è in esilio


C’è una globalizzazione che non conosce crisi. È la repressione senza frontiere: cittadini costretti all’esilio dai loro governi e da questi stessi governi poi perseguitati all’estero. Il caso più noto è quello di Jamal Kashoggi, il giornalista ucciso nel consolato saudita di Istanbul da agenti inviati da Riad nel 2018. Lo scorso maggio, un aereo di Ryanair fu costretto ad atterrare a Minsk dal governo bielorusso che così ebbe modo di arrestare il dissidente Roman Protasevich che era a bordo diretto a Vilnius, Lituania. Gli omicidi e i tentativi di omicidio condotti nel Regno Unito contro fuoriusciti politici russi sono altrettanto famosi. Questi sono casi che hanno fatto i titoli dei giornali. Ma la realtà è molto, molto più diffusa: minacce fisiche e digitali, spionaggio, pedinamenti, abusi servendosi dell’Interpol, intimidazioni alle famiglie, assalti. L’organizzazione non governativa Freedom House ha pubblicato quest’anno uno studio globale sulla repressione transnazionale e ha individuato 31 Stati che ne fanno uso regolarmente intervenendo in 79 Paesi che ospitano esiliati. E hanno illustrato 608 casi tra il 2014 e il 2020: 3,5 milioni di persone sono a rischio fuori dal loro Paese.
Molti altri episodi avvengono nel silenzio – sottolinea l’organizzazione. Quelli noti all’opinione pubblica non sono, insomma, casi isolati: sono parte di azioni repressive elevate a sistema. Servono a colpire direttamente alcuni e a intimidire tutti gli altri esiliati per ragioni politiche. Freedom House racconta di un russo fuggito negli Stati Uniti dopo che i servizi segreti gli avevano sequestrato l’azienda: raggiunto lì, attraverso l’Interpol, da un’accusa insignificante e detenuto negli Usa per 18 mesi. Di una donna uigura, fuggita in Canada, la cui famiglia finisce in un campo di detenzione. Di un leader dell’opposizione ruandese rapito mentre transitava dagli Emirati Arabi e riapparso a Kigali accusato di terrorismo. Proprio l’accusa di terrorismo è la più usata (58% dei casi) dai regimi repressivi per spiegare (quando devono farlo) le loro azioni. Il rapporto di Freedom House dice che «la Cina conduce la campagna di repressione transnazionale più sofisticata, globale ed esauriente al mondo». Ma anche Russia, Arabia Saudita, Turchia, Ruanda, Egitto, Iran sono tra i maggiori protagonisti di questa nuova normalità.