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 2021  ottobre 21 Giovedì calendario

Dieci anni senza Simoncelli. Intervista a Kate Fretti


Da quel 23 ottobre di dieci anni fa, quando Marco Simoncelli morì in pista a Sepang, «è finita anche la mia leggerezza». Ogni giorno l’ex fidanzata Kate Fretti pensa a Sic (nella foto in una delle ultime vacanze assieme) e all’incidente in moto che lo ha portato via.
«Dieci anni senza Marco. Penso che sia passato davvero molto tempo ma non è che un anniversario porti a ricordare. Accade ogni giorno». Kate Fretti era la fidanzata di Simoncelli. Insieme sempre, con l’idea di mettere su casa a Coriano, dove si era trasferita da Bergamo per amore, dove è rimasta per amore. Si occupa della Fondazione intitolata al Sic, morto in pista a Sepang, Malesia, il 23 ottobre 2011; viaggia tra le terribili intensità del suo ieri e le concretezze di oggi con una dolcezza preservata e la percezione del dolore. Proprio e altrui.
«Poco dopo la tragedia, mi scrisse una ragazza. Anche lei aveva perso il fidanzato. Siamo diventate amiche. Nel 2014 mi confessò che erano passati dieci anni dal suo lutto e che si era abituata a sopportarlo. Disse una cosa molto carina: se potessi far tornare qualcuno, farei tornare il tuo Marco. Ecco, forse sono più egoista ma non cambierei Marco con nessuno».
Ha 32 anni. Ne aveva 17 quando conobbe Marco, ne aveva 22 quando lo perse. Se guarda indietro cosa trova?
«Ho sempre tenuto dei diari e un giorno scriverò un libro anche se non l’ho mai detto a nessuno. Li ho riletti per dare un contributo al docufilm su Marco e mi sono resa conto che ho vissuto quegli anni come una bambina, senza pensare al futuro. Mostravo una leggerezza che adesso mi manca perché ho capito che le cose brutte accadono. La mia vita cambiò in una manciata di secondi. Da allora ho a che fare con un’ansia permanente. Se mio fratello non risponde al telefono penso al peggio. Prima di quella tragedia i brutti pensieri non avevano spazio».
Il tempo cura le ferite. È proprio vero?
«Mostra la realtà in modo diverso. Se avessi continuato a vivere come ho vissuto l’anno successivo alla morte di Marco mi sarei ammazzata. Ero tagliata in due, mi mancava un pezzo della mia esistenza. Per fortuna siamo fatti per sopravvivere, la mente cerca di allontanare il dolore. Non lo annulla, lo attenua un po’».
C’è stato Marco con il quale condividere una intimità e poi c’è il Sic, una figura che appartiene a tutti noi. Dove le due immagini coincidono?
«Il Sic fa parte della mia vita oggi. Quando qualcuno mi parla di Marco penso al lavoro nella Fondazione. Poi ci sono i ricordi, il suo modo di essere affettuoso, anche se il lato romantico era ai minimi termini. Avevamo vent’anni, sul romanticismo, un disastro. Ora con Andrea, il mio ragazzo, vado meglio, mi impegno di più».
«Casa Simoncelli» è una struttura che accoglie disabili; casa Simoncelli è diventata casa sua…
«La prima è un centro diurno che abbiamo finanziato per donarlo alla Comunità di Montetauro. Il progetto mi spaventava, era molto costoso. Ce l’abbiamo fatta e frequento la Casa per dare una mano ad alcuni ragazzi in difficoltà. Poi, parlare di casa Simoncelli significa parlare della mia famiglia. Dopo l’incidente rimasi a vivere con loro, mi hanno accolta. Potevamo sostenerci a vicenda e così è stato».
Paolo Simoncelli è rimasto in pista. Mamma Rossella e Martina, sorella di Marco, che strada hanno percorso?
«Rossella continua ad assistere Paolo, come ha sempre fatto. Martina ha studiato, ha viaggiato, lavora in Spagna. Credo che non sia pronta per lavorare con suo padre e che non desideri che si parli di lei».
La Fondazione è attivissima. Il dolore restituisce energie?
«Forse sì. Abbiamo costruito una casa in un orfanatrofio nella Repubblica Domenicana per ospitare ragazzi disabili. Poi abbiamo deciso di agire qui anche perché i donatori sono italiani, aiutando il pronto soccorso e la Croce Rossa di Rimini ad acquistare un ecografo e una ambulanza pediatrica, stiamo cercando di sostenere un centro per ragazzi affetti da autismo a Ferrara».
Motomondiale. Incidenti, morti in pista, con dinamiche simili a quella che ha portato via Marco...
«La Fondazione esiste perché esistono le gare. Il team Simoncelli, lo stesso. Io e tanti miei amici lavoriamo grazie alle moto. Ma talvolta di fronte a tutte queste tragedie mi viene da dire: chiudiamo tutto subito. È un pensiero che cancello quando penso che in fondo questo è il mio mondo».
Rossi corre per l’ultima volta sulla pista intitolata al Sic nel decennale della scomparsa. Il filo che lega Valentino a Marco resiste sempre?
«Sono stati due ragazzi che si sono voluti molto bene. Come capita tra amici veri».