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 2021  ottobre 21 Giovedì calendario

Il pianeta va a carbone


inviato a new york
Leggendo il rapporto “Production Gap” del 2021, appena pubblicato dallo United Nations Environment Programme, sembra di vivere in due realtà parallele. Nella prima albergano le promesse dei politici, che vogliono dare l’impressione di essere ad un passo dalla svolta definitiva per salvare la Terra dagli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Ché poi uno può credere o meno alle responsabilità degli esseri umani nel favorirli, epperò sono innegabilmente evidenti, così come l’inquinamento che certo non fa bene alla nostra salute. Nella seconda, invece, si va a sbattere contro la realtà, scientificamente misurata dallo studio di Unep: «Mentre i paesi fissano gli obiettivi di emissioni nette a zero, e aumentano le loro ambizioni climatiche nell’ambito dell’accordo di Parigi, non riconoscono esplicitamente o pianificano la rapida riduzione della produzione di combustibili fossili che questi obiettivi richiederebbero. Piuttosto, i governi del mondo prevedono di produrre più del doppio della quantità di tali combustibili nel 2030, rispetto a quanto sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento a 1,5 gradi centigradi. Il divario produttivo è rimasto sostanzialmente invariato dalla nostra prima analisi nel 2019». Capito? Da una parte ci si vede a Glasgow a fine ottobre, per cogliere l’ultima occasione di salvare la Terra; ma dall’altra si fa l’esatto contrario di quanto sarebbe necessario a raggiungere l’obiettivo, raddoppiando la produzione dei combustibili fossili.
Lo United Nations Environment Programme ha analizzato 15 paesi, Australia, Brasile, Canada, Cina, Germania, India, Indonesia, Messico, Norvegia, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna e Usa, per verificare se la loro produzione è compatibile con gli obiettivi della Cop26. I risultati sono stati disarmanti: tra il 2019 e il 2030, solo Indonesia e Gran Bretagna ridurranno le estrazioni di petrolio, mentre sul gas a loro si aggiungerà soltanto la Norvegia. Il carbone verrà ridotto da Cina, Usa, Germania e Canada, ma l’aumento di India e Russia compenserà in negativo. «I governi – nota il rapporto – stanno pianificando in modo aggregato di produrre il 110% in più di fossili combustibili nel 2030, rispetto a quanto sarebbe coerente con la limitazione globale del riscaldamento a 1,5° C, e il 45% in più di quanto servirebbe per contenerlo a 2°C, su scala mondiale. Entro il 2040, questo eccesso salirà rispettivamente al 190% e all’89%». L’opposto di quanto servirebbe, e degli impegni presi con i contributi nazionali volontari (NDC): «La produzione globale di combustibili fossili deve iniziare a diminuire immediatamente e rapidamente, per limitare il riscaldamento a 1,5°C. Tuttavia i governi prevedono collettivamente un aumento globale di petrolio e gas, e solo una modesta diminuzione del carbone nei due decenni successivi». Il divario nel 2030 sarà più ampio proprio per il combustibile fossile più dannoso: «I piani di produzione dei governi porterebbero a circa il 240% in più di carbone, il 57% di petrolio, e il 71% di gas». Ma non basta: «Questa disconnessione potrebbe essere anche peggiore della nostra analisi. La stima infatti dipende dalle ipotesi sul modello di transizione, tipo quanta anidride carbonica potrà essere catturata e immagazzinata. Se la rimozione dell’anidride e le altre tecnologie non riusciranno a svilupparsi su larga scala, o le emissioni di metano non si ridurranno rapidamente, il gap produttivo risulterà più ampio».
E i principali colpevoli siamo noi, i più ricchi, che ci vedremo a Roma il 30 ottobre: «I paesi del G20 hanno indirizzato quasi 300 miliardi di dollari in nuovi finanziamenti per le attività relative ai combustibili fossili dal inizio della pandemia di COVID-19, più di quanto destinato all’energia pulita», mentre le banche multilaterali e le istituzioni finanziarie per lo sviluppo hanno fatto il contrario. Dunque predichiamo bene ma razzoliamo male, fingendo di avere a cuore il futuro del pianeta.