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 2021  ottobre 21 Giovedì calendario

Caterina Caselli si racconta

 Nell’angolo di un locale chiuso, dietro una fila di sedie impilate sul tavolo, una ragazza di spalle, un caschetto biondo e una band. Lei inizia a cantare: «La verità mi fa male, lo so…». Parte da lì, in bianco e nero, Renato De Maria, per tracciare la traiettoria esistenziale e artistica di quella che definisce una “icona della musica e del costume”. Per Caterina Caselli – Una vita, 100 vite, doc evento alla Festa di Roma (in sala con Nexo il 13, 14, 15 dicembre) «sono partito proprio dalla verità – spiega il regista – ordinando il flusso di ricordi senza filtri che arriva dritto alle emozioni insieme alla musica e a un pezzo di storia del nostro Paese». I compagni di viaggio sono Paolo Conte e Guccini. Dal travolgente successo della ragazzina beat alla carriera da produttrice che si incrocia con artisti come Giuni Russo, Elisa, Bocelli, Gualazzi, Negramaro. All’incontro all’hotel St. Regis di Roma Caterina Caselli, 75 anni, indossa un abito longuette sui toni dell’azzurro, capelli bianchi dal taglio sbarazzino.
Cos’è per lei questo film?
«Con Renato ho sentito che potevo esprimermi con la stessa libertà di quando la sera a letto mi racconto delle storie belle da sola.Ho tolto il velo alla memoria, raccontato la mia vita, i grandi dolori».
Il suicidio di suo padre, l’incidente in cui rischiò la vita, il tentato rapimento di suo marito, il produttore Piero Sugar...
«Ho sempre avuto grande pudore di parlare dei dolori, della morte di mio padre. Per la prima volta l’ho condiviso. È stato liberatorio».
È stata una ragazza “beat”, idee chiare sull’uguaglianza di genere e sul fatto che i giovani dovevano cambiare tutto.
«A diciott’anni hai poche idee ma forti, i pensieri arrivano con il tempo. Anche al primo Sanremo mi sentivo forte, più di quelli successivi. Avevo voglia di imparare, ce l’ho ancora. Ho sempre ascoltato quelli che sapevano più di me».
Ha avuto forza anche nell’imporsi con sua madre.
«È stata una battaglia, non voleva. Ma il confronto mi ha fortificato».
Ha avuto presto fiuto per il talento, ma anche la capacità di dare forza agli altri.
«Alla scuola di musica, quando gli altri erano in crisi avevo per loro le parole giuste. La notte dell’incidente due ragazze mi tennero la mano fino all’alba.
A una dissi che doveva studiare, fare l’avvocato. Anni dopo alla Rai una signora mi dice “sono quella ragazza, e sono un avvocato”. Mi sono commossa».
Ha fatto debuttare in tv Guccini e scelto “Insieme a te non ci sto più” di Conte.
«Gli artisti vanno compresi, stimolati. Il talento si riconosce, anche se gli errori si fanno. Ricordo quando Giuliano Sangiorgi venne nel mio ufficio, cantò su una poltroncina ed era tutto nel suo mondo. Mandai Elisa a fare esperienza in uno studio inglese: quando si è esibita con Luce a Sanremo dietro le quinte cantavo anch’io».
Il suo rapporto con il cinema?
«È iniziato con i musicarelli, mi doppiavano. E poi tanti omaggi: Nanni Moretti ha usato due volte Insieme a te non ci sto più. Quando mi sono ammalata, al mio oncologo dicevo quanto il suo mestiere fosse più utile del mio, lui mi raccontò di un piccolo paziente che era felice quando sentiva Vamos alla playa».
Usava il caschetto biondo perché ha i capelli ricci.
«Sì, poi ho imparato a stirarli.
Durante un Cantagiro mi diedero una parrucca bionda come la Deneuve, mi andava larga e la fissavo con le forcine, un dolore... Nel volo da Rimini a Mosca le tolgo, scendo dalla scaletta e vedo la hostess che gesticola. Mi giro e vedo la mia parrucca al vento, bagnata.
Sembrava un polpo...».