la Repubblica, 21 ottobre 2021
La verità su SanPa. Intervista ad Andrea Muccioli
«Ecco, arrivano i Dallas», diceva Vincenzo Muccioli quando Gianmarco e Letizia Moratti entravano a casa sua. «Dov’è mio padre?». «È stato portato in carcere».
Il “ciocco” e il “sole piatti”, gli arresti e le catene, i soldi, i processi, i segreti. E soprattutto l’amore di un figlio per il padre, un amore fatto anche di sfide.
C’è tutto questo, in “Fango e risate.
Storia di San Patrignano, 1975-1995”, scritto da Andrea Muccioli. Una storia che inizia con un ragazzino di 12 anni che apre una porta che non doveva aprire. Scopre il padre in trance che «parla con una voce non sua». «Mio papà era un medium! Ero sconvolto ma rimasi lì, dietro quell’uscio appena socchiuso». Era l’estate del 1976, San Patrignano doveva ancora nascere e sulla collina c’era il Cenacolo, gruppo esoterico e mistico guidato da Vincenzo Muccioli.
Perché questo “Fango e risate”?
È sempre stato difficile parlarle, soprattutto quando, dopo la morte di Vincenzo, lei è diventato il capo della comunità.
«Il libro lo sentivo dentro da molto tempo ma avevo una remora. Vede, mio padre ha vissuto sotto processo 15 dei 17 anni in cui ha guidato Sanpa.
Speravo che con il passare del tempo un po’ di pace gli fosse dovuta. Poi una serie televisiva (su Netflix, ndr ) ha riproposto un’immagine deliberatamente falsificata, profondamente lesiva dell’onore e della dignità dell’uomo e della sua opera. E allora ho deciso: scrivo il libro e spalanco la porta a chi vuole conoscere la verità».
Lei dà un giudizio pesantissimo su chi guida oggi la comunità. “I continuatori hanno rinnegato i patti e tradito lo spirito di Sanpa”.
«L’ho scritto e lo confermo. Forse il mio libro è la prima puntata. Ma dei primi 17 anni ho raccontato tutto ciò di cui sono stato testimone. Non ho nascosto nulla. Sì, c’era il “ciocco” che più che un confronto era un’esecuzione. Mio padre si alzava da tavola e nell’immensa sala da pranzo calava il silenzio. Piano piano si intuiva chi fosse il prescelto per la punizione e gli altri si allontanavano da lui. Poteva essere una sgridata oppure partiva un “sole piatti”, un doppio schiaffone simultaneo. Tutto questo può sembrare truculento ed esecrabile. Il ciocco non era però il fine ma un mezzo per scardinare maschere e scudi altrimenti impenetrabili che i tossici riescono a mettere fra se stessi e il mondo.
Anche a me è toccato il “ciocco”».
I ragazzi legati con le catene, l’omicidio di Roberto Maranzano, i suicidi, le fughe, i ricatti…Forse San Patrignano era diventata troppo grande?
«C’è stato un tempo in cui i ragazzi in crisi potevano parlare con mio padre ogni giorno. Ma non puoi più farlo – sto parlando degli ultimi anni con Vincenzo – con duemila ragazzi e cinquanta settori di lavoro. C’erano molti responsabili preparati ma anche quei quattro o cinque settori in cui si sperava di non capitare, guidati da persone cui non avrei affidato il mio cane per più di un’ora.
Figuriamoci trenta o quaranta ragazzi. Non puoi dare il potere a chi non ha equilibrio e preparazione».
Dal 1980 alla fine della sua direzione del Sanpa nel 2011 Gianmarco e Letizia Moratti hanno
“Tentai di convincerlo che non potevamo accogliere tutti
Ma lui era così, voleva salvare chiunque gli chiedesse aiuto”
donato alla comunità l’equivalente di 286 milioni di euro. C’è un rapporto fra questa mega donazione e l’ampliamento forse non più controllabile della comunità?
«Certo, i soldi hanno spinto la crescita. Avevamo 30 ettari di terra e siamo arrivati a 230. I Moratti arrivarono nel luglio 1979. Vidi auto blindate in cortile, fui subito curioso di conoscere questi strani miliardari esoterici con la passione del recupero di tossicodipendenti. Avevano conosciuto mio padre al Cenacolo di Milano. Li vedevo davanti a mio padre, quasi in adorazione. Lui li chiamava “i Dallas”. Nacquero una vera amicizia e un pieno sostegno economico. Mio padre chiedeva e Gianmarco dava. Ma era un rapporto sbilanciato dal carisma di mio padre e dalla venerazione dei Moratti.
Gianmarco arrivava a portare le foto dei dirigenti della sua azienda per chiedere a mio padre di valutarne capacità o punti deboli. Come fosse uno sciamano o un guru».
Per qualche mese c’era anche una familiare dei Moratti in comunità.
«Lei non terminò il percorso terapeutico. Riuscì a mandare un messaggio a Massimo, il fratello di Gianmarco, che inviò subito una macchina con personale e istruzioni precise per recuperare ad ogni costo la familiare, come fosse un’operazione da Navy Seals. Ma il Patto fra Vincenzo e Gianmarco non si ruppe. Io tentai di convincere mio padre che non eravamo in grado di aprire il cancello a chiunque si presentasse perché non c’erano sufficienti capacità e competenze. I suicidi di Gabriele e Natalia avrebbero dovuto far aprire gli occhi ma diventarono “spiacevoli incidenti” che si potevano risolvere mettendo le sbarre alle finestre. Ma mio padre era così, voleva salvare tutti quelli che gli chiedevano aiuto».
Ci furono anche inchieste che rivelarono truffe e ruberie.
«Per l’acquisto di terreni e di cavalli fino al 1994 ho visto girare tanti contanti ma solo perché chi vendeva pretendeva quel tipo di pagamento.
Si scoprì che uno dei nostri responsabili aveva rubato un miliardo di lire. Una volta vennero occultati un centinaio di milioni in un sottofondo predisposto nella Mercedes di mio padre per passare i confini con la Francia e la Svizzera.
Robertino e Walter furono scoperti. E oltre alle conseguenze fiscali e penali, facemmo una clamorosa figura di merda».
Nel 1994 Letizia Moratti diventa presidente della Rai.
«E sulla terrazza della nostra casa assisto al Risiko delle nomine Rai e alla costruzione della nuova mappa del potere della tv di Stato. Casa nostra è diventata un via vai di conduttori, giornalisti e dirigenti, tutti impegnati a raccontare il loro antico legame con San Patrignano. In testa c’era Alda D’Eusanio, brava ma di un’invadenza insopportabile».
Nella fiction SanPa ci sono riferimenti espliciti alla misoginia di Vincenzo, alla sua malattia, all’omosessualità… Nel suo “Fango e risate” non c’è nessuna smentita.
«Non parlo di cose che non esistono.
Non possono essere dentro un libro che ha un solo obiettivo: raccontare la verità».