Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2021
L’Europa del pallone ha perso 9 miliardi in 2 anni
I destini della Super Lega, la ripartenza del progetto media company per la Serie A, le trattative con i fondi di private equity e i cambi di proprietà con l’arrivo sulla scena internazionale di nuovi attori, molti americani. Nel post Covid19 il sistema del calcio appare improvvisamente fuori controllo. Ma non potrebbe essere altrimenti alla luce di un dato preoccupante: la pandemia ha causato un buco tra gli 8,5 e i 10 miliardi di euro che non si riesce del tutto a sanare.
Il Sole 24Ore ha ricostruito sulla base di dati, documenti e colloqui con fonti vicine ai principali clubs il precario equilibrio su cui si regge lo sport più popolare al mondo.
Nuova cassa per 8,5-10 miliardi
La fragilità del sistema del calcio è stata messa a dura prova da un mix micidiale: la pandemia e la distanza sempre più marcata delle nuove generazioni dal calcio sono i due elementi nuovi che si sono aggiunti a gestioni forse non sempre oculate e prezzi dei giocatori diventate vere e proprie scommesse al rialzo con l’impossibilità di fissare un salary cap. Da qui la ricerca affannosa di “ricette” capaci di ristabilire un equilibrio, non solo nel bilancio ma più in generale nel rapporto delicato tra clubs, proprietà, giocatori e tifosi andato improvvisamente in tilt. E non regge più. Due numeri forniscono una idea della complessa situazione in cui ci si trova.
Secondo quanto elaborato da IlSole24 Ore sulla base di documenti Uefa e report interni agli stessi clubs, nel solo biennio 19-21 la necessità di nuova cassa per i player europei si aggira tra 8,5 e 10 miliardi. Un buco finora coperto da aumenti di capitale e nuovo debito solo per il 60-80%, con il rischio dunque, nel caso in cui non si dovessero reperire le restanti risorse, che molte squadre possano dover mettere in conto la sopravvivenza.
Secondo la Uefa sono almeno 120 i clubs in Europa a rischio. Le proiezioni assumono che il debito entro la fine del 2021 crescerà di almeno il 35% e contemporaneamente le ricapitalizzazioni copriranno per il 30/40% questo “need cash”. Non solo. Gli aumenti di capitale, necessari per colmare per il 30% le perdite del pallone, ammonteranno nel biennio almeno a 3 miliardi di euro, dice la Uefa. Questo significa, di riflesso, che il totale delle perdite generate negli ultimi 24 mesi viaggia nell’ordine di 9-10 miliardi.
Operazioni per 5 miliardi
Nove, dieci miliardi di nuova cassa, si diceva. Ma finora quanto è stato fatto? Mettendo in fila le ristrutturazioni più recenti finora sono state perfezionate operazioni sul fronte del debito per circa 3 miliardi di euro. Le più importanti hanno riguardato il Manchester City e il Barcellona che insieme hanno “assorbito” più di un miliardo di euro, ma anche il Tottenham (300 milioni di euro) e l’Inter (275 milioni) hanno contribuito a colmare una fetta significativa.
Il capitolo delle ricapitalizzazioni parla invece di 1,2 miliardi di euro già versati dalle proprietà. Un valore che sale a 1,6 miliardi se si tiene conto della ricapitalizzazione da 400 milioni annunciata dalla Juventus ma non ancora perfezionata. Oltre alla squadra della famiglia Agnelli l’iniezione più importante ha riguardato il Liverpool (circa 628 milioni di euro). Ma a battere cassa sono state costrette anche diverse squadre italiane, dalla As Roma, passata sotto la proprietà del gruppo Friedkin che nell’ultimo anno ha alzato l’asticella dell’aumento di capitale fino a 210 milioni.
Complessivamente, dunque, tra nuovo debito e aumenti sono stati messi in pista più di 4 miliardi di risorse, che salgono tenendo conto anche dei cambi di proprietà e superano i 5 miliardi considerando le operazioni annunciate ma non ancora perfezionate come la ricapitalizzazione della Juventus e il nuovo bond da 400 milioni finalizzato al rifinanziamento del debito dell’Inter. Mancano dunque “all’appello” almeno 3-4 miliardi per colmare il buco che si è venuto a creare secondo gli studi del settore.
Superlega al bivio
Proprio in questa chiave sarebbero così da leggere formule alternative come la Superlega che altro non è se non il tentativo più rumoroso per creare un sistema capace di compensare le enormi perdite finanziarie con una ristrutturazione delle competizioni internazionali e la revisione di una governance più accentrata nelle mani di questi stessi club. La Superlega si propone, nella sostanza, di sostituire la Champions League, con le big d’Europa che cambiano ruolo: da attori a registi. In estrema sintesi, la creazione di questa lega garantisce entrate tra 4 e 6 miliardi di euro in termini di ricavi complessivi della competizione da distribuire per larga parte tra i 15 fondatori. Quegli stessi 4 miliardi di euro che mancano all’appello per sanare il buco del sistema.
I destini della SuperLega si decideranno nei prossimi mesi con il verdetto della Corte di Giustizia Ue, chiamata a “valutare” la posizione dominante della Uefa. L’impressione però è che qualunque sia il verdetto in questione, il mondo del calcio sarà chiamato a fermarsi e avviare una riflessione su una riforma ampia e condivisa. Tanto più che, in alternativa alla stessa Super Lega, anche le iniziative a livello locale si moltiplicano, come per la Serie A: secondo indiscrezioni potrebbe vedere la luce entro fine anno la Media company con un consiglio a maggioranza di indipendenti.
Un contenitore, quest’ultimo, che evidentemente con l’ingresso di nuovi attori come i fondi di private equity, aiuterebbe i club italiani a incassare flussi di cassa futuri legati alla vendita di quei diritti. E non si parla di spiccioli, se si pensa che quella stessa Media Company in termini di valutazione potrebbe viaggiare intorno ai 15-17 miliardi.
Le partite mai giocate dal ‘92
La necessaria riforma del sistema che regge il calcio europeo, oltre che da questioni essenzialmente economiche e di governance, appare poi dettata anche dalla necessità di riconquistare un interesse da parte delle nuove generazioni di fans sempre più distanti da questo sport. Più attenti al calcio spettacolo e agli eventi, questa fetta di tifosi oggi è guidata da criteri diversi da quelli che hanno storicamente avvicinato il pubblico al calcio. Se si esclude un 25% di tifosi “tradizionali”, il restante 75% del pubblico è profondamente cambiato negli interessi e nelle preferenze. Il segmento più giovane da 13 ai 34 anni è mosso non più dalla squadra del cuore, ma dai fuoriclasse, i vari Neymar, Mbappé e Messi “arruolati” nelle squadre da loro costruite con i giochi elettronici; sempre negli under 35 una ampia fascia preferisce seguire le grandi squadre europee piuttosto che i campionati locali, mentre un’altra è rappresentata da fans occasionali più interessati all’evento.
La rappresentazione, fatta dall’Eca, l’associazione dei club europei, rappresenta anche lo spirito con cui è stata concepita la Super League, orientata a gestire big match capaci di raccogliere una audiece sempre più alta.
Interessante, in proposito, mettere in fila i principali incontri a livello europeo da più di 15 anni e scoprire che ci stati alcuni big match che non si sono mai visti. Qualche esempio? Dal ’92 ad oggi il Manchester United non ha mai incontrato in Champions l’Atletico Madrid e nemmeno il Liverpool, così come il Milan e l’Inter non hanno affrontato il Manchester City. E ancora: la Juventus non si è mai misurata con il Psg o con la stessa Inter in Europa e il Real Madrid, infine, ha giocato per la prima volta in Europa con il Chealsea solo nel 2021.